Turchia: la protesta libertaria contro il conservatore Erdogan

Turkey's PM Erdogan addresses members of parliament from his ruling AK Party during a meeting at the Turkish parliament in Ankara A guardare da vicino la protesta di Gezi Park che sta animando Istanbul ci si accorge che le ragioni della mobilitazioni e degli scontri sono più complesse, che il cuore vivo della dissidenza turca non è solo quello di preservare i 600 alberi di Gezi Park per scongiurare la costruzione di un centro commerciale, ma è animato da una stanchezza del popolo turco contro l’arroganza del partito AKP del premier Erdogan, partito islamico-conservatore. Ovvia, per un paese cresciuto nell’aspirazione di una modernanizzazione laica, sotto l’ala protettrice del mitologico Mustafa Kemal Atatürk, la difficoltà di fare i conti con il nuovo corso islamista di Erdogan, basti pensare a quello che è successo al pianista Fazil Say, accusato di un reato di blasfemia per due tweet ironici sull’Islam, reato che è tornato in auge solo con Erdogan. In Turchia Atatürk rappresenta ancora una specie di mito nazionale, e del resto come si può non comprendere la grande controtendenza di quest’uomo che ha lottato fortemente per una Repubblica di Turchia laica, in una zona – quella mediorientale – dove la religione e la politica spesso tendono ad intrecciarsi. Fu lui a chiudere le scuole religiose in favore di un sistema di istruzione pubblica, fu lui a cancellare il divieto di vendita e consumo di alcool. Proprio qualche giorno fa, a proposito della legge sull’alcool, Erdogan si è lasciato scappare questa dichiarazione: ”“Una legge fatta da due ubriachi è rispettabile?”, ovviamente alimentando innumerevoli polemiche. Del resto siamo davanti a due figure, Atatürk ed Erdogan, completamente diverse: il Padre della Patria morì di cirrosi epatica, si narra fosse amante del tabacco e delle belle donne, un vitalista insomma, in sprezzo ad ogni morale islamica. Il partito conservatore di Erdogan fa battaglie di carattere opposto in questo senso, come per esempio quella sulla famosa bevanda turca, il raki, che per legge non sarà più venduto nei pressi delle moschee, e in nessun luogo dalle 22 alle 6 del mattino (come non si potesse fare scorta fino alle 22). A chi ha fatto notare ad Erdogan che il raki fosse la bevanda nazionale turca, Erdogan ha tuonato così: ”la nostra bevanda nazionale è l’ayran” (uno yogurt salato).

Anche per queste ragioni la protesta si è animata nella notte di sabato in una maniera singolare a Istanbul, tanto che è stata definita la notte della birra: molti dissidenti tenevano in mano simbolicamente una bottiglia di birra come forma di protesta e resistenza contro il partito islamico moralizzatore. E’ una vera e propria protesta laica quella che sta avvenendo ad Istanbul in queste ore, che ha trovato sfogo nella difesa di Gezi Park, ma che sta allargando i suoi temi a tutta una serie di controversie che mettono a confronto l’idea di Repubblica fondata da Ataturk, e il tentativo di Erdogan di re-islamizzare la nazione. Pensare come può reagire un uomo profondamente educato alla libertà alla censura nelle soap opera di immagini dove si bevono alcolici o ci sono richiami sessuali: ovviamente rivendicherà i suoi vecchi diritti di bere una birra, o di comprare il raki alle 2 di notte. Qualche giorno fa un’altra forma di protesta libertaria è stata quella del bacio: le autorità turche avevano invitato il popolo a tenere un comportamento morale nelle strade, ed in particolare sui mezzi pubblici, ed è scattata l’iniziativa Free Kisses nella metropolitana di Kurtulus. Insomma, il dissenso popolare nei confronti del premier conservatore monta in Turchia. Secondo Amnesty International i morti negli scontri di queste giornate calde in tutto il paese sono già due, mentre gli arresti sono centinaia, i feriti un migliaio. Intanto la protesta si sta allargando, da Ankara a tutto il paese.

La protesta sin dall’inizio ha assunto i contorni di una movimento anti-AKP anche se è iniziato con pochi giovani e le loro tende, in maniera del tutto simile ai movimenti di OccupyWallStreet o al movimento degli Indignados a Madrid. Come questi movimenti infatti non ha una leadership. Grazie ai social network si è immediatamente ingigantito e radicalizzato soprattutto di fronte alla reazione spropositata delle forze dell’ordine. A differenza però di questi movimenti quello di #OccupyGezi ha una richiesta concreta. Non le dimissioni del governo ma in particolare le dimissioni di Erdoğan perché ha trasformato l’AKP in un partito a voce unica, in un «one man party», e soprattutto perché ha imposto una politica restrittiva in materia d’alcool ma anche in altri ambiti della società. (Emre Kizilkaya, redattore del quotidiano Hürriyet)

Dimostranti puliscono la piazza dopo la protesta

Si sta parlando di una vera e propria primavera turca, anche se in questo caso le dinamiche sono diverse, perchè Erdogan è stato eletto democraticamente (a differenza di come accadeva in Libia o in Egitto prima delle proteste). Ad ogni modo quello che è interessante notare è che l’onda libertaria stia attraversando i paesi che vivono sotto pressioni autoritarie in questi anni. Queste piccole storie di lotta di difesa di alcune libertà non devono andare dimenticate. Che siano per il diritto di bere una birra, o per la quotidiana lotta della resistenza siriana che continua a perdere pezzi morendo (o fuggendo, per esempio proprio verso la Turchia) in una sorta di mezzo silenzio assenso internazionale oggi.

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