Tre Allegri Ragazzi Morti, Inumani
La Tempesta Dischi, 2016
“Inumani” (“Inhumans”) è un’epopea a fumetti che racconta, grazie alla maestria di Jack Kirby e Stan Lee, le avventure di individui geneticamente superiori alla specie umana a causa di esperimenti compiuti dagli extraterrestri Kree. Una civiltà che si è evoluta parallelamente a quella degli uomini, edificando la propria città in un luogo nascosto tra le vette dell’Himalaya.
Oltre a essere un’interessante saga pubblicata dalla Marvel Comics, “Inumani” è il titolo del nuovo disco dei Tre Allegri Ragazzi Morti e non a caso: il connubio musica-fumetto non è certo una novità per il trio di Pordenone, data la parallela e fiorente attività di Toffolo nel mondo della nona arte.
I personaggi che animano gli undici sketch che formano la track list di quest’ultimo lavoro hanno effettivamente la levità di figurine di carta, il racconto pare tracciato in punta di matita in un album il cui imperativo appare essere quello dell’eterogeneità. In “E invece niente” i TARM riprendono infatti il flirt con la musica in levare, proseguendo idealmente l’avventura iniziata con “Primitivi del Futuro”. C’è tanto rock, ci sono le ballate dai toni soft (“C’era una volta ed era bella”, “Ruggero”) ed è presente persino un’incursione nella musica popolare colombiana grazie alla cumbia di “In questa grande città (La prima cumbia)”, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album. È proprio in questo brano a fare la sua comparsa il tanto chiacchierato featuring di Jovanotti, ospitata già anticipata, all’interno del disco, dalla conclusione di “Persi nel telefono”. Altrove viene dato spazio alla chitarra di Adriano Viterbini mentre Maria Antonietta, Vasco Brondi, Alessandro Alosi (Il Pan del Diavolo), Alex Ingram (Lupetto), Letizia Cesarini e la scrittrice Peris Alati danno il loro contributo per quanto riguarda gli aspetti contenutistici (compositivi e testuali). Le premesse per un bel disco, insomma, ci sarebbero tutte e se non bastassero quelle sopraelencate potremmo sempre affidarci alla scrittura di Toffolo per tenere alte le aspettative.
Eppure qualcosa non funziona: in “I tuoi occhi brillano”, brano rock’n’roll che porta con sé la memoria delle vecchie glorie dei TARM , si dice “È vero che le canzoni sono fatte di parole/ Ma la logica sta tutta dentro la musica” e se dobbiamo dar retta a questa affermazione l’ossessivo incedere di “C’era una volta ed era bella”, ballatona pop dal sound patinato, non può che farci storcere il naso. Da ascoltatori, ci troviamo di fronte a un panorama piatto, il cui mood rimane uguale a se stesso dall’inizio alla fine del pezzo.
Riguardo invece alle parole, che nell’ambito del cantautorato in lingua italiana qualche rilevanza dovrebbero pur rivestirla, se lo stile TARM è spesso caratterizzato dall’uso del nonsense, da ritornelli bizzarri e accostamenti stranianti, un tale approccio è più che apprezzabile quando il divertissment diviene funzionale a dare indizi sullo scenario -per quanto surreale possa essere – sui personaggi in campo e sulle emozioni che li muovono, a condurre l’ascoltatore verso territori semantici imprevedibili. In qualche caso (anche se i risultati più felici non mancano e “Libera”, scritta da Vasco Brondi, ne è la prova) invece, durante l’ascolto di “Inumani”, si ha la sensazione che la leggerezza sfumi nella superficialità e che la band si trovi in una fase di stanca a livello creativo. Sorge insomma il dubbio che, dietro la pretesa ironica, dietro un certo buffo ermetismo, non ci sia poi molto da scoprire.
Del resto, anche l’eterogeneità dei modi sui quali si muovono le melodie non appare essere pienamente giustificabile né dal punto di vista estetico né particolarmente funzionale ai messaggi veicolati e alcuni brani finiscono per rappresentare episodi isolati che hanno il gusto dell’esercizio di stile. Forse, se una coerenza la si volesse a tutti costi individuare, essa potrebbe ben definirsi attraverso il target di riferimento, gli arrangiamenti e la veste che hanno assunto i brani in studio di registrazione: per quanto ne tradisca qua e là gli stilemi, “Inumani” s’inserisce bene nel grande contenitore del pop-rock italiano. Un’appartenenza che ne sminuisce le incursioni di genere banalizzandone la varietà, barattandone l’ecletticità con l’eclatanza, ed esponendo questo disco al rischio di finire nel calderone dei prodotti di rapido consumo e di ancor più facile metabolizzazione.