a cura di Mario Cipriano
La guerra è una merda. L’amore è un po’ il suo contrario simmetrico, speculare; anche se pure l’amore sa essere abbastanza una merda quando ci si mette. Ma questa è un’altra storia. La storia di oggi invece inizia nei primi anni del Novecento ed è la storia della fotografia in Europa o meglio, di quelli che la storia la stavano scrivendo non con le parole ma con le fotografie. Siamo nel cuore dell’Europa e c’è un grande fermento vissuto soprattutto dalle avanguardie. I nomi che circolano in quel periodo sono di quelli che faranno scuola e che nelle scuole si studieranno per i decenni a seguire.
“Dove c’è molta luce, l’ombra è più nera” diceva il caro Goethe e citazioni del genere, parlando di fotografia, ci fanno davvero molto comodo.
Il fermento cresce, si sperimenta molto, la gente giusta si incontra nei luoghi giusti ed è decisamente il momento giusto. Crescono le avanguardie, nascono idee, mostre, esibizioni, mani che si stringono, risate, opere d’arte, progetti, capolavori, sogni. Poi il buio. Un buio netto e gelido come solo una guerra mondiale riesce ad essere.
Tutto si ferma, rimane immobile come in un improvviso letargo. Tutto è cristallizzato in un intervallo di tempo paurosamente indefinito. In questo inverno rigido cadono anche tutte le avanguardie, fragili come fiori di campo. Immobili, come senza vita ma ancora vive. Lo si vede dagli occhi, come si fa con la preda che si finge morta: riesce a tenere immobile tutto il corpo ma non può tenere fermi gli occhi. Gli occhi non riescono mai a mentire.
Da quelli si riparte quando l’inverno così come era venuto, scompare. Sono gli occhi i primi a buttarsi avanti, sgranati e increduli. Sono occhi che vogliono riempirsi di cose nuove, diverse, felici, che vogliono dimenticare ciò che hanno appena visto. La nostra storia riguarda un paio d’occhi molto particolari, quelli di Christer Strömholm. Christer aveva vissuto il grande inverno della guerra e come altri, sentiva il bisogno di riprendere ciò che era stato brutalmente interrotto di netto. Prende parte allora ad un progetto che ha proprio questa missione: Fotoform dietro il quale c’è il grande Otto Steinert.
Di nuovo persone giuste, al momento giusto. Ma il posto giusto per questa storia è Parigi, che in quegli anni sta vivendo l’apice del suo fermento artistico. Strömholm in questo posto giusto incontra le persone giuste ed inizia a raccontare la sua magnifica storia, come solo i suoi occhi hanno saputo fare. Una delicatissima e dolce danza sarà il concepimento di Les nuits de Place Blanche, una raccolta di fotografie aventi come soggetto una comunità di transessuali parigini. Strömholm, che poi sarà considerato il padre della fotografia svedese, riesce ad immortalare con estrema delicatezza, spontaneità, senso estetico e morale una piccola storia dolce in un momento incredibilmente delicato per l’umanità intera, creando diverse chiavi di lettura attraverso la composizione di un lavoro maturo e complicato.
Dai suoi scatti, è evidente come Christer si immergesse totalmente nel suo progetto, cercando di abbattere quel muro ideale che si crea in maniera più o meno naturale tra soggetto e fotografo, quel muro che idealmente coincide proprio con la macchina fotografica. La cosa che più colpisce guardando le sue foto è l’incredibile intimità alla quale lui ci invita ad assistere, come se ci stesse mantenendo una porta aperta, consigliandoci a bassa voce di non fare troppo rumore. Il progetto di Strömholm, soprattutto per il contesto storico, politico e culturale deve essere stato abbastanza audace da concepire e quello che ne nasce è una raccolta di fotografie incredibili, bellissime e profonde. Immagini incredibilmente attuali più di sessant’anni dopo la loro realizzazione, ancora capaci di essere vive e toccare le giuste corde.