Sarò stata suggestionata dalla citazione e forse anche dalla playlist che AlbHey Longo (fumettista, classe ’93) ha creato ad hoc per la sua nuova opera, ma Sfera, pubblicato da poco da Bao Publishing, ha proprio il ritmo crescente e in qualche modo consolatorio di All in White dei The Vaccines.
Damiano e Chiara sono due giovani che si incrociano tra le sale cinematografiche di un festival, ripiegando come giornalisti da domande già dettate da altri e privati della possibilità di nutrire aspirazioni all’altezza dei propri sogni. Damiano viene travolto dall’intraprendenza di Chiara e negli incastri sbagliati delle proprie vite trova terreno fertile il seme di un’amicizia; il protagonista rivela così alla ragazza di avere realizzato, proprio dalla visione del video di All in White, di possedere uno strano potere: mettere al mondo delle strutture sferiche tramite telecinesi. I due decidono allora di sfruttarle per aprirsi un varco nell’intricato mondo dell’arte e delle cose da dire.
E a Sfera non mancano di certo le cose da dire, variando temi e toni: da uno spiraglio sulla condizione dei giovani al racconto superoistico; dalla riflessione sullo stato e la fruizione dell’arte alle citazioni musicali per ricaricare i propri ascolti. Abbiamo intervistato AlbHey Longo per farceli raccontare dall’interno.
Sfera, il tuo nuovo graphic novel pubblicato da Bao Publishing, si mostra come una lettura tanto appassionante quanto matura, da cui è possibile trarre più spunti di riflessione: dal ritratto generazione, alla critica al modo attraverso cui l’arte viene svenduta fino alla necessità dello scambio all’interno dei rapporti interpersonali. Quanto tempo hai dedicato alla lavorazione di quest’opera e da cosa nasce l’idea?
La storia di Sfera mi girava già in testa ai tempi della mia prima pubblicazione con BAO, La quarta variazione, quindi verso le fine del 2016. L’idea nasce dalla voglia di narrare la storia di un rapporto d’amicizia, cercando di renderlo il più possibile reale per poi inserirlo in una serie di avvenimenti al limite dell’assurdo, passando dal paranormale a una situazione di improvviso successo. Una volta delineate queste linee di narrazione mi ci è voluto un annetto per lavorare alle tavole.
Il titolo dell’opera è strettamente legato al superpotere di Damiano, il protagonista: saper creare sfere attraverso uno strano meccanismo di telecinesi. Come mai proprio sfere?
L’idea della sfera nasce da subito, ma non ricordo bene neanch’io quando il potere di Damiano ha preso forma nella mia testa sotto forma di sfera nere! È stata una scelta molto istintiva a cui mi sono subito affezionato e che ha trovato senso all’interno del libro. La sfera è un solido senza ”verso” e senza spigoli e questo gli conferisce una certa dose di mistero, che ho voluto accentuare grazie al colore nero che ne nasconde il contenuto. Ammetto di essere molto soddisfatto della versione “stampata” delle sfere, l’effetto che volevo era proprio quello!
Damiano realizza di possedere questa dote fuori dalla norma guardando il video di All in White dei The Vaccines. Non nego peraltro di averla ascoltata molto durante e dopo la lettura. Il legame con questa canzone è una casualità o ne sei stato ispirato?
Non lo nego, ho sempre subìto il fascino di quel video così come quello della spettacolarizzazione dei poteri telecinetici. Quando ancora non esistevano le facce dei protagonisti, è stato proprio il video di All In White uno primi appunti relativi alla creazione della storia di Sfera!
Molti autori e artisti ultimamente si divertono a creare playlist sulla base delle proprie opere – attraverso suggestioni o citazioni dirette. Cosa ti ha spinto a creare la tua e qual è il tuo rapporto con la musica? Ascoltare musica ha un qualche ruolo nel tuo processo creativo?
In generale la musica ha per me un ruolo importantissimo, sono una di quelle persone che alla domanda “cosa ascolti” non sanno cosa dire se non “un po’ di tutto”. Alle medie ho scoperto i Gorillaz ( che grazie ai loro video mi hanno fulminato con lo stile di Hewlett), alle superiori ho scoperto il punk e l’hardcore (che hanno definito alcuni dei miei valori attuali), ma allo stesso tempo ascolto il classico cantautorato italiano (quindi un certo tipo di poetica del quotidiano) passando per Johnny Cash fino alla drum’n’bass! È sempre andata così: la musica mi segue quando lavoro e quando esco di casa, quindi in un certo senso quando le idee o le storie iniziano a formarsi nella mia testa hanno già un beat, un ritmo o una strofa di sottofondo su cui formarsi.
Chiara e Damiano hanno approcci diversi alla vita, ma sono accomunati dall’essere, come tanti, dei giovani che cercano riscatto e il proprio posto del mondo dopo un lungo periodo di compromessi. Quanto della tua esperienza c’è nel loro vissuto?
Tanta della mia passata esperienza, ma anche di quella presente! Il riscatto penso sia un sentimento generale, dovuto da sogni messi da parte e, forse, anche dal bisogno umano di “sentire che ci meritiamo di più” di quello che abbiamo. All’inizio di Sfera ricordo di essermi sentito anche io così, avrei voluto accelerare i tempi di produzione, arrivare subito al “bello”, ma sapevo che sarebbe stato un momento passeggero, dunque ho cercato di non renderlo un elemento cardine del libro ma uno dei diversi fattori. Infatti, poi, mi sono preso i miei tempi, capendo che il bello era proprio quella parte di produzione: potremmo riassumere con il banale modo di dire “quello che conta, alla fine, è il viaggio!”
In letteratura, i giovani che esordiscono anche solo sotto ai trent’anni sono quasi sempre visti come note fuori dal coro. Restringendo il campo al racconto a fumetti, quanto è difficile guadagnare credibilità come giovane autore?
Secondo me ci sono due tipi di credibilità. La prima penso sia quella del lavoro con gli editori che, per assurdo, ritengo più facile da ottenere: si parla di lavoro, di professionalità e di furbizia nel presentarsi e capire con cosa e quando. La credibilità con il pubblico è la grande incognita, puoi essere acclamato da colleghi e lettori ed essere considerato un giovane prodigio all’uscita del tuo primo libro, come subire la gogna pubblica tra recensioni negative e commenti che si danno man forte l’un altro o, ancora più frustrante, passare in sordina! Dal mio canto, sembrerà banale, ma cerco di essere onesto con me stesso, nel bene e nel male, in quello che racconto, sul come mi espongo sui social e nei rapporti con i lettori. Quindi il mio consiglio è “walk the line”, rigare dritto sul filo del rasoio!
Sfera si presenta come un’opera stratificata che apporta anche una novità all’interno dei tuoi lavori personali: l’uso del colore. Come sei arrivato a questo passo? Ti sei ispirato a qualcuno?
Il colore è stato un passo che sentivo necessario. Oltre ad alcune mie storie brevi, ho fatto palestra su Sappy, il webcomic co-creato da me, Capitan artiglio e Oscar Ito pubblicato a episodi su Wilder. Ma anche il lavoro da assistente ai colori sul secondo volume di Kids with Guns di Capitan Artiglio (BAO, 2019), che ho svolto in parallelo a Sfera! Percepivo il colore come un tassello mancante nei miei vecchi lavori, e quindi eccomi qua, totalmente innamorato nel farlo.
Una delle componenti più belle del tuo lavoro è il rapporto tra Chiara e Damiano. Un’amicizia che dà sostegno, non priva di scontri ma fondamentale per l’evoluzione di entrambi. Nella tua esperienza personale, quanto è stato ed è tuttora importante relazionarsi con altri artisti e collaborare con loro?
Mi ricollego alla risposta di prima: io, Oscar Ito e Capitan Artiglio ci siamo conosciuti anni fa ed è stato amore! Questi rapporti hanno alimentato non solo le varie e reciproche conoscenze, ma anche la voglia di migliorarsi e di imparare le cose che rispettivamente ci venivano naturali. In generale c’è da dire che trovo sempre estremamente stimolante frequentare le fiere e conoscere gli altri artisti. E a volte mi colpisce di più scoprire cose del loro vissuto professionale che le loro tecniche.
In Sfera vi è una critica all’arte contemporanea – almeno quella priva di un forte concetto alla base – ma anche alla necessità dei giovani di dover sottostare a una sorta di “legge di mercato” prima di poter provare a esprimere qualcosa di realmente autentico. Anche tu la pensi a questo modo? C’è un modo per uscire da questo meccanismo?
Ci tengo a precisare che la mia visione sulla pura estetica nell’arte non è negativa, penso che ormai l’estetica sia diventata da anni un valore riconosciuto in questo campo. Le opinioni nel libro vengono da vari personaggi e quindi da varie realtà: la visione di Chiara è un conflitto interiore alimentato proprio da queste critiche! Sul “meccanismo” non saprei, secondo me per ogni passo fatto verso un ipotetico lettore è doveroso farne due verso il proprio modo di raccontare e il proprio istinto. Per il fumetto è ancora diverso, già solo andando a Lucca Comics and Games puoi ritrovarti a bere un amaro di fianco al tuo più grande idolo. Questo per dire che nel nostro ambiente è difficile visualizzare un meccanismo totale e funzionante, visto che anche i più grandi spesso sono degli sperimentatori sempre pronti alla caduta. Il fatto è che “siamo in pochi”. Il settore più classico e quello più sperimentale finiscono per alternarsi costantemente sul podio del “meccanisco funzionante”.
Spero che Sfera ti dia le soddisfazioni che merita. Hai già qualche idea per le prossime opere? Di cos’altro ti piacerebbe parlare?
Purtroppo dovrò essere vago, ma sì! Oltre a continuare i lavori sopracitati da colorista e qualche storia breve sto lavorando attualmente al dare una forma a quello che vorrei fosse il mio nuovo libro! Di sicuro in futuro vorrei riuscire a trattare nuovi temi, come ad esempio l’amore (grande assente sino ad ora nelle mie storie) e nuovi generi, così come ho iniziato a fare lo scorso anno con le varie raccolte a tema. E non si sa mai, sperimentare su qualcosa che non sia il fumetto ma comunque un campo affine.