“Post-rock means using rock instrumentation for non-rock purposes, using guitars as facilitators of timbres and textures rather than riffs and powerchords. Increasingly, post-rock groups are augmenting the traditional guitar/bass/drums line up with computer technology: the sampler, the sequencer and MIDI (Musical Instrument Digital Interface). While some post-rock units (Pram, Stereolab) prefer lo-fi or outmoded technology, others are evolving into cyber rock, becoming virtual.”
Era il 1994 quanto Simon Reynolds sulle pagine di The Wire provava a racchiudere in un singolo termine una delle scene\derive\movimenti\aspirazioni musicali più importanti dell’ultima parte del secolo scorso. Una scena nata sul finire degli anni ’80 che ha influenzato in maniera indissolubile quella che è stata l’evoluzione della musica indipendente/alternativa degli anni a venire, una scena al cui interno sono stati inseriti i gruppi più disparati e distanti tra loro, gruppi che proprio nel rifiutare molto spesso la catalogazione nel calderone post-rock esprimevano la loro appartenenza a questa scena così come inizialmente intesa.
I Tortoise, una delle band più straordinarie degli anni ’90 rappresentano uno dei nomi di spicco del post-rock e sicuramente, volenti o nolenti, tra i principali portabandiera. Nati sul finire degli anni ’80 negli artisticamente frenetici scantinati della Chicago del tempo, hanno portato nella galassia dell’indie-rock prima statunitense e poi mondiale un tornado di sperimentazione, un anelito di futuro, di superamento del limite, che si concretizzava in tracce all’insegna delle contaminazioni più audaci, crocevia fra dub, free-jazz, kraut rock e avanguardie provenienti da tutto il mondo. Sbriciolare la forma canzone, reinventare gli stilemi del rock. I 21’ minuti di Djed, traccia di apertura del loro capolavoro Millions Now Living Will Never Die, A.D. 1996, possono aiutarvi a capire di cosa stiamo parlando.
I vent’anni trascorsi da questo disco e tutto quello che è stato nel corso di questi 20 anni, sono il primo indizio su quello che può essere un disco dei Tortoise nel 2016. Dopo il loro capolavoro i Tortoise hanno continuato sulla loro strada fatta di amore per la musica e maestria perdendo ineluttabilmente il ruolo che avevano assunto di pietra miliare, di riferimento assoluto sull’idea di futuro prossimo della musica. D’altronde in un mondo musicale che si rivoluziona nelle idee, nelle espressioni, nelle prospettive e nelle intuizioni a ritmi così serrati le pietre miliari non fanno in tempo a diventare obiettivi che sono già trampolini di lancio.
Ciò che è stato dopo TnT, terzo album che ha consacrato la sacralità della band, è stato un portare avanti un concetto di musica sperimentale e qualitativamente elevata ma caratterizzata da un ripetersi e ripresentarsi sempre uguale a se stessi in un mondo che aveva già amato, seguito, divorato, digerito e metabolizzato tutto quello che il loro verbo aveva rappresentato. Una serie di dischi (Standards, It’s all around you, Beacons of Ancestorship) in cui la leziosità e la maniera prendono il sopravvento sulla suggestione e l’ispirazione autentica.
The Catastrophist aggiunge poco alla loro storia, un disco egregiamente suonato, pulito, quadrato e incastonato in un concetto musicale che viaggia su binari sicuri ma, privo di mordente e fervore, porta rapidamente alla noia.