La nostra top dei migliori album usciti in Italia nel 2017 quest’anno ha smosso animati confronti sul cantautorato italiano e le avanguardie. Siamo dunque ottimisti, perché – perdonateci il termine – la “scena italiana” sembra essere viva, tra ritorni, conferme ed esordi.
Buon ascolto, e al prossimo anno.
15. NINOS DU BRASIL – VIDA ETERNA
La Tempesta International, Hospital Productions
La coppia Nico Vascellari/Nicolò Fortuni riesce a ipnotizzarci con una techno infarcita da ritmi latini, così Vida Eterna conferma i Ninos Du Brasil come uno dei più arditi e interessanti esperimenti del panorama made in Italy.
A sentirli – chiudendo appena gli occhi – sembra quasi di essere catapultati in una dimensione parallela dove si balla la samba in un’oscura dancehall della periferia urbana. Ed è forse in questo doppio effetto che disorienta la loro forza. Ai Ninos du Brasil va il pregio di sperimentare, anche quando collaborano con Arto Lindsay per un’esplosiva “Vagalumes Piralampos”.
Catartici.
14. MAURO ERMANNO GIOVANARDI – LA MIA GENERAZIONE
Warner Music Italy
Mauro Ermanno Giovanardi, con La mia generazione, riesce a far rivivere in soli tredici pezzi quello che è comunemente riconosciuto come il periodo d’oro del rock italiano, quegli anni Novanta durante i quali un’intera generazione appunto (che stava indifferentemente sul palco o sotto il palco), figlia di una cultura anglofona, si rese conto che una musica diversa dal cantautorato classico poteva esser scritta (e ascoltata) anche nella propria lingua, e avere lo stesso impatto, se non una forza d’urto ancora maggiore. La cosa degna di nota è che riesce a farlo rimanendo lontanissimo da quello che era il rischio maggiore in un’operazione del genere: cadere nel pozzo dei nostalgici che si parlano addosso, rivangando un passato irripetibile senza dare nessuna speranza al presente. Al contrario, questa è una dichiarazione d’amore fatta prima con la testa che con il cuore, viscerale ma allo stesso tempo analiticamente attenta, quasi antropologica, che bypassa il revival e il ricordo di quanto eravamo fighi. Un disco di cui — soprattutto oggi — c’è più bisogno di quanto si creda.
13. GHEMON – MEZZANOTTE
Macro Beats
Qualcuno lo ha definito come l’incarnazione dell’Anderson Paak italiano. Sebbene sia facile intuirne il perché, vista la sapiente commistione di cantato e rap, su basi suonate splendidamente, sarebbe riduttivo definirlo così. Primo perché in Italia il movimento nu-soul è in crescita costante grazie a Ghemon, ma anche a Shorty, Serena Brancale, Ainè, Technoir, LNDFK. Secondo perché questo disco è fortemente italiano nella melodia e personalissimo nelle liriche, originale nel suo appoggiarsi su schemi già noti reinventandoli. Niente è stato lasciato al caso, tutto è stato curato al massimo: il risultato è quello uno dei migliori dischi italiani dell’anno.
12. FINE BEFORE YOU CAME – IL NUMERO SETTE
La Tempesta
Ancora una volta i Fine Before You Came si confermano paladini di una certa vena alternative italiana, anche per le modalità di distribuzione che scelgono: arrivano a sorpresa in free download nel bel mezzo dell’anno. Se l’indie come attitudine e stile è ancora vivo – e non solo una parola vuota e priva di senso – si deve soprattutto a gruppi come i Fine Before You Came. Grazie a progetti come questo siamo felici di portare avanti il discorso della musica indipendente, e Il Numero Sette fa da sfondo a tutta la ruggine sonora che ci portiamo dentro.
11. GODBLESSCOMPUTERS – SOLCHI
La Tempesta / Fresh YO!
L’elettronica italiana è veramente in gran forma. L’ennesima conferma arriva da quest’ultima fatica discografica di Godblesscomputers aka Lorenzo Nada. Un lavoro godibile dall’inizio alla fine, molto “analogico” nonostante il genere di riferimento, infarcito per tutta la sua lunghezza di chitarre, scratch, synth e voci calde, una su tutte quella del bravissimo Davide Shorty in How About U. C’è anche un bel campionario di generi diversi: passiamo dal nu-soul alla reggae-dub e all’electro disco funk, oltre a pezzi dallo stampo più tipicamente elettronico. Insomma un po’ una summa del genere dalla nascita ai giorni nostri, con il producer romagnolo a suo agio un po’ in tutto. Soprattutto si sente il respiro internazionale che caratterizza da sempre la sua opera e che fa sì che questo sia un disco che non farà troppa fatica a viaggiare anche oltre i confini nazionali.
Producer italiani, solo una cosa: continuate tutti così. (Breviario / Ottobre)
10. GIORGIO POI – FA NIENTE
Bomba Dischi
Giorgio Poi è un alieno. Ricondurre lo stile di Fa niente a una componente vintage o di recupero del passato, così come legarlo alla corrente evoluzione pop del nostro paese, sarebbe un errore. Giorgio Poi costituisce una variabile indipendente da tutto questo mondo, ci si accosta solo nello sfruttare lo stesso mezzo espressivo, facendo della scrittura, musicale e dei testi, un gioco del tutto personale in cui l’ascoltatore deve rintracciare i significati fra ciò che non dice e i suoi sottintesi, fra le improvvisazioni e le strutture sonore, nello stesso mistero di una poesia sanguinettiana. Il timbro vocale e l’esecuzione delle melodie convergono nello stesso orizzonte interpretativo, un giornale quotidiano pieno della meraviglia dell’invisibile e del sempre presente, elementi che da scontati finiscono per diventare fondamenta di ogni cosa, come ciò che trasforma l’acqua minerale in una sorta di totemico toccasana da discount, «un fragile soccorso, per ricominciare a lasciarsi andare, a volersi bene, a sentirsi bene». Non si tratta più dell’autocelebrazione post romantica dei Thegiornalisti o della poetica cupa e cosciente dell’ultimo disco de I Cani, Giorgio Poi è diventato un classico, senza essersene accorto. (Subterranean Tapes / Febbraio)
9. BAUSTELLE – L’AMORE E LA VIOLENZA
Warner Music Italy
Con il loro settimo lavoro, i Baustelle ritrovano finalmente la loro vocazione originale, quell’Indiepop che è semplicemente pop cantautoriale. La freschezza dei primi tre dischi sembra essere cosa passata, ma la maturità stilistica raggiunta dai toscani riesce a rendere l’album ancora una volta piacevole. Un po’ come in un romanzo storico, le piccole vicende intime narrate avvengono sullo sfondo dei grandi avvenimenti internazionali e così in “Eurofestival” (pezzo con fortissime reminiscenze di Battiato) “la guerra avanza…mentre passa l’ultima canzone all’Eurofestival e il nostro amore è ai titoli di coda” – il tutto mentre un Bianconi, novello Tenco in crisi, chiede a gran voce di ritirarsi da un festival in cui non vuol più cantare.
Il mondo fuori esiste solo come vettore di ulteriori ansie. (Recensione)
8. COLOMBRE – PULVISCOLO
Bravo Dischi
È come se qualcosa che abbiamo respirato ci finisse dentro e si attaccasse ai polmoni, dentro al sangue e poi in testa, vorticando fra un emisfero e l’altro. Pulviscolo non è solo il debutto di Colombre, marinaio e mostro insieme nella favola di Dino Buzzati. Musica che racconta storie con un principio e una conclusione che, in fondo, si guardano costantemente allo specchio. Panorami girati con una Super 8, in cui l’immagine buca la pellicola per le fasi apocalittiche che racconta in Bugiardo, un poco lo-fi, immaginifici e dilatati corpuscoli che fluttuano, si nascondono e guardano tutto dal basso quando incontrano le Blatte insieme a Iosonouncane, col cui ultimo album condivide il modo in cui si gestisce il suono. Come in Tso, sfortunata epopea infernale, quasi da Mille e una notte stando dall’introduzione fatta di arabesche distorsioni che ci conducono alla piccola e sensibile Dimmi tu. Anche restare immobili è una pretesa e aiuta contrapporsi ai cambiamenti di stile: Mi son tagliato molto i capelli / davanti lo specchio / e mentre cadevano / restavo immobile / e c’è voluto poco o niente / per ritrovarmi da solo / in un nuovo mattino. Parole della piccola particella che in Pulviscolo si limita ad accorgersi di come tutto sia destinato dopotutto a richiamarsi. Le sonorità sono leggere e delicate per questo motivo, supportano le parole e le collocano nel mondo dei significati e dei sentimenti di cui Colombre ci vuole parlare, legandoli per sempre a quel determinato stato d’animo in cui sono state concepite. Perché, alla fine, siamo proprio noi a vagare, densi in quest’aria del deserto. (Subterranean Tapes / Marzo)
7. COLAPESCE – INFEDELE
42 Records
Con Infedele Colapesce sfida ancora una volta a muso duro il panorama del cantautorato italiano e vince. Un disco prodotto insieme un altro fuoriclasse come Iosonouncane.
Di singoli belli all’interno ne troverete: rischiate di perdervi in Pantalica e riemergere in Ti attraverso – il tutto al ritmo della voce di Lorenzo Urciullo. Il disco che probabilmente farà scoprire Colapesce ai più, e non possiamo che esserne felici.
C’è profumo di Sud in queste canzoni.
6. INDIAN WELLS – WHERE THE WORLD ENDS
Friends of Friends
Da un po’ di tempo a questa parte l’elettronica italiana ha una sua vocazione internazionale, e ci riesce anche grazie a progetti come quello di Indian Wells. Where The World Ends conferma le qualità sonore del producer cosentino, e ha il vizio di conquistarci al primo ascolto.
Non è un caso se nella nostra top troverete lui e Godblesscomputers. L’Italia sa come fare elettronica, e questo va premiato.
5. JULIE’S HAIRCUT – INVOCATION AND RITUAL DANCE OF MY DEMON TWIN
Rocket Recordings
I Julie’s Haircut tornano con un lavoro importante, che sancisce il passaggio all’etichetta britannica Rocket Recordings. Il disco si presenta come una sorta di climax ascendente: parte con melodie oscure e ansiogene, e man mano si va avanti le tracce diventano sempre più luminose e pacate. Provate anche solo ad ascoltare la prima traccia Zukunft (brano totalmente strumentale lungo quasi 12 minuti) e subito dopo l’ultima Koan, noterete sicuramente la profonda differenza di colori emanati dai due pezzi e sarà quasi come essersi teletrasportati nel giro di un secondo da un luogo freddo e buio ad un altro molto più caldo e illuminato. Se invece volete gustarvi i progressivi cambi di sonorità di Invocation And Ritual Dance Of My Demon Twin, conviene decisamente ascoltarselo per intero: il passaggio dalla notte al giorno, l’alba di questo disco, vi colpiranno. (dal Breviario)
4. ALESSANDRO CORTINI – AVANTI
The Point of Departure Recording Company
Ambient e synth, oscuri mondi, contaminazioni sonore. Con questi presupposti Alessandro Cortini tira fuori uno degli album più sorprendenti e affascinanti dell’anno. Come la copertina ci lascia immaginare, sembra quasi di esser finiti a passeggiare tra la neve, rapiti da sound invernali che riecheggiano memorie della scorsa estate.
Tanta nostalgia, tanta avanguardia. Che poi è il giusto mix per affrontare la fine dell’anno.
3. EDDA – GRAZIOSA UTOPIA
Woodworm
Graziosa Utopia ci offre un Edda non certo pacificato ma di certo più capace, rispetto al passato, se non di scendere a patti con i propri demoni, di affrontarli sicuramente con maggiore serenità e una nuova dose di leggerezza.
Mentre la voce non cede di un passo a quella grandiosità acida e malsana che la caratterizza, come se fosse dotata di una carica espressionista da primi del novecento, sorprende, se mai è possibile dopo così tanto tempo, il modo con cui Edda è capace di darsi al suo pubblico con quel misto di sfrontatezza e timidezza, di grazia e impudicizia che sa di oratori e adolescenze mancate. (Recensione)
2. BRUNORI SAS – A CASA TUTTO BENE
Picicca Dischi
A casa tutto bene è un disco che esorta a uscire dalla quotidianità, come se si trattasse di un atto di coraggio, allontanandosi dalla propria comfort zone non per fuggire, ma per trovare la direzione giusta dove relegare le paure e continuare a vivere. Oggi il mondo si può guardare da una finestra, ma per essere felici è importante riuscire a rimanere in piedi sia fuori che dentro l’uscio di casa.
E anche se la parola cantautorato ci ha un po’ stancato su Brunori Sas calza sempre a pennello nell’accezione più positiva del termine. In una parola, grazie. (Recensione)
1. POPULOUS – AZULEJOS
Wonderwheel Recordings
Populous con Azulejos confeziona un lavoro di livello altissimo, a suo agio in ambito nazionale ma soprattutto internazionale. Si tratta del primo disco italiano di Cumbia elettronica, un genere che sembra destinato a crescere sempre di più in Italia.
Populous ha scritto Azulejos mentre viveva in Portogallo, nei vari quartieri di Lisbona, lasciandosi sedurre dall’atmosfera particolare della città, a metà fra l’Europa e il mondo sudamericano. Emozioni pure, intuizioni, ritmi che ci fanno quasi sentire il sole sulla pelle, il sale fra i capelli, ed il sudore scendere giù sulla schiena mentre siamo impegnati a ballare, con in una mano un bicchiere e l’altra libera ad accompagnare la musica in un gioco intimo e personale, eppure così facilmente e meravigliosamente condivisibile con gli altri.
Una ventata d’aria fresca per l’elettronica italiana. (Recensione)