Per le persone che amano la musica la stagione estiva rappresenta il momento perfetto per partecipare a festival, scoprire artisti ed esplorare nuovi territori, sia che si trovino a pochi o a centinaia di chilometri da casa. Quest’anno, però, a causa dell’emergenza sanitaria da pandemia Covid-19, molte di quelle rassegne che scandivano i mesi caldi non ci saranno. I primi annunci da parte degli organizzatori indicavano un posticipo di qualche settimana degli eventi, ma con l’aggravarsi della situazione in tanti hanno dovuto scontrarsi con una realtà più complessa di quanto si potesse pensare e che ha portato di fatto alla cancellazione della maggioranza delle manifestazioni dell’estate 2020. All’interno di questo triste scenario rimangono fortunatamente delle eccezioni. Una di queste è Tones on the Stones, il festival piemontese che si svolge all’interno di una cava e che per la XIV edizione tornerà ad animare la Val d’Ossola dal 19 al 26 luglio insieme a Nextones, la sezione dedicata alla musica elettronica e alle arti digitali curata da Threes Productions (qui il racconto della scorsa edizione). Abbiamo chiesto a Maddalena Calderoni, direttrice artistica del festival di spiegare le novità introdotte e le criticità affrontate per realizzare questa edizione.
Nonostante le evidenti difficoltà del momento storico che stiamo vivendo, quest’anno Tones on the Stones sarà ricco di sorprese a partire dai luoghi del festival.
Questa sarà un’edizione speciale al di là delle contingenti difficoltà dei mesi scorsi che hanno portato a un’incertezza assoluta. Abbiamo sentito la necessità di pensare a qualcosa di diverso, ritenendo che non si potesse fare finta di nulla e andare avanti. La pandemia è stata un evento che ha segnato tutti gli artisti, rappresentando un blocco drammatico di tutti i progetti e di conseguenza ha scatenato una serie di difficoltà quotidiane. Credo, però, che l’arte abbia la capacità di leggere e interpretare i momenti storici, quindi ci è sembrato importante pensare una forma diversa di festival concependolo un po’ come una residenza. Da una parte gli spettacoli dal vivo e dall’altra dei momenti per riflettere insieme sul futuro possibile del nostro progetto.
Inevitabilmente la crisi pandemica ha portato criticità che sembrano insormontabili soprattutto nell’ambito degli spettacoli dove è difficile far rispettare le norme di distanziamento sociale. Come avete fatto a mettere in piedi l’edizione di quest’anno?
L’abbiamo pensata considerando due aspetti diversi. Il primo riguarda il nostro staff, i giovani che staranno con noi una settimana per fare la residenza. Con dei consulenti abbiamo creato il protocollo di comportamento che regolamenterà questo spazio proprio come un luogo di lavoro. Il secondo riguarda, invece, gli spettacoli dal vivo. In questo caso sono state le regioni a stilare dei protocolli a cui attenersi. Devo dire che siamo sempre stati abituati a lavorare in spazi molto complessi. Trasformare una cava in un teatro implica già notevoli sforzi circa la sicurezza degli artisti e degli spettatori. Per questa edizione si è trattato di aggiungere un tassello in più e ora possiamo dire di avere le spalle grosse. Per noi è stato un processo integrativo ma non così sconvolgente come magari per altri enti abituati a lavorare in ambiti più convenzionali.
La Val d’Ossola offre meraviglie naturalistiche fuori dal comune, eppure poco conosciute rispetto ad altre zone montane. Negli anni questa rassegna è diventata tra le più suggestive al mondo proprio per l’unicità degli scenari in cui si svolgono gli spettacoli. Quali sono questi luoghi e come si preservano in contesti aperti al pubblico, soprattutto considerando la delicata situazione di emergenza sanitaria globale?
Ci sono due festival all’interno di Tones on the Stones. Da una parte c’è quello storico (Tones on the Stones) e poi da alcuni anni abbiamo cominciato a produrre anche Nextones. È proprio attraverso quest’ultimo che stiamo cercando di far conoscere a nuovi target più giovani il territorio ossolano che ha sempre avuto un turismo di altro tipo. Ci siamo presi questo impegno perché anche noi troviamo che si tratti di un paesaggio meraviglioso. Nextones attira tantissimi giovani non solo italiani, ma anche stranieri e ci è sembrato che arrivare a una proposta che abbinasse la programmazione serale e notturna con delle attività diurne potesse essere un format bello da portare avanti. Quest’anno avremo una fruizione di prossimità e sarà praticamente inevitabile perché gli spostamenti dall’estero saranno più difficili. Ad ogni modo si tratta di un’edizione che tocca diversi luoghi a partire dalla Cava Roncino ad Oira di Crevoladossola, una cava dismessa da dieci anni, che a differenza di tutte le altre che abbiamo utilizzato durante le scorse edizioni, diventerà uno spazio permanente per il nostro festival. Before and After è uno spartiacque sia per questo evento pandemico che ci ha segnato, sia per il nostro nuovo percorso in questo spazio industriale con l’intento di creare un teatro immerso nella natura. Poi abbiamo pensato di portare attività all’aperto nel villaggio in pietra di Ghesc di fronte alla cava dal lato di Montecrestese, agli Orridi di Uriezzo a Crodo e sull’Alpe Devero. Vogliamo raccontare questo territorio abbinato a dei momenti performativi e riflessivi. Sono eventi a ingresso libero, ma per una tracciabilità saranno a numero chiuso con lista di prenotazione.
Before and After appunto è il titolo della XIV edizione della rassegna. Cosa rappresentano il prima e il dopo e cosa, invece, si può fare per contribuire attivamente al presente?
Per quanto ci riguarda la pandemia è stata un segno per affrontare questioni che avevamo rimandato. Abbiamo capito quanto è fragile il nostro sistema e l’urgenza dei cambiamenti. Non rinneghiamo nulla di quello che abbiamo fatto prima, ma nel nostro piccolo ora vogliamo modificare profondamente il nostro rapporto con la natura e con l’ambiente. Stiamo applicando delle modifiche al nostro modo di produrre spettacolo e di coinvolgere partner e pubblico e mi sembra un messaggio forte anche la scelta di prendere uno spazio industriale convertendolo in un teatro nel bosco che consente facilmente il distanziamento fisico. Ci tengo a sottolineare fisico perché distanziamento sociale è un termine diventato davvero troppo pesante in questi mesi. Per noi Before and After è questo: pensare agli artisti che si esibiranno gli anni a venire e che dovranno essere allineati con la nostra filosofia, portando diverse chiavi di lettura del nostro tempo o agli allestimenti devono essere sempre molto leggeri per non creare materiale da smaltire. Per noi è sempre stato così, ma questo concetto va stressato per fare sempre meglio. In questo modo sentiamo di fare la nostra parte.
Chi non riuscirà a essere presente fisicamente potrà assistere agli eventi anche attraverso dirette streaming?
A questo proposito abbiamo pensato di realizzare un diario di bordo che verrà aggiornato costantemente. Abbiamo chiesto alla scrittrice Veronica Raimo e al regista Achille Mauri che ha realizzato un progetto sulle cave di marmo di Carrara di accompagnarci con pillole e scritti per tutta la settimana. Quindi chi non potrà essere presente avrà comunque la possibilità di seguirci.
Come anticipato Nextones è la sezione dedicata alle sperimentazioni elettroniche e digitali nata da una costola di Tones on the Stones. Tra gli artisti di punta di questa edizione c’è Nicolas Jaar. Come avete fatto a entrare in contatto con lui? E chi sono gli altri performer che si esibiranno dal 19 al 26 luglio?
Da parte di tutti c’era una grandissima voglia di tornare a lavorare e quando abbiamo fatto la call per la residenza sono arrivate tantissime candidature. Dedicarsi alla propria arte è stupendo, figurati poi in uno spazio all’aperto così attrattivo. Sono stati fatti dei ragionamenti intorno al progetto ed è proprio quello che è successo nello specifico con Nicolas Jaar a cui è piaciuto fin da subito il manifesto di questa edizione. Sta centellinando le sue uscite e siamo molto orgogliosi che abbia accettato il nostro invito. Molti artisti che avevamo contattato inizialmente dovevano venire dagli Stati Uniti, ma con lo scoppio della pandemia siamo stati costretti a riformulare completamente il nostro programma. Ci saranno i tedeschi Willikens&Ivkovic che sono molto affezionati al progetto e che avevamo contattato durante i primi mesi del 2020 e poi ci è sembrato doveroso dare spazio agli italiani, ne sono l’esempio i torinesi Mana e Gang of Ducks. Anche la parte più classica troverà spazio con il jazz di Paolo Fresu e Ramberto Ciammarughi, accompagnati dall’illustratore Gianluca Folì che disegnerà all’interno degli Orridi di Uriezzo stimolato dai suoni e infine la coreografa Annamaria Aimone che porterà la sua danza all’interno della cava.
Ci sono i punti di contatto tra la musica classica e le sperimentazioni digitali? Se sì, quali? E che tipo di alchimia si crea durante questo festival?
Devo dire che l’alchimia tra generi diversi è una cosa che ho sempre sentito. È proprio il luogo a permetterlo. Con le scenografie video ci siamo accorti che gli spazi molto grandi si prestavano per questo tipo di lavoro e pian piano lo abbiamo reso uno stile per il nostro format. Dentro una cava lo spettacolo diventa un’altra cosa e quello che abbiamo fatto in questi anni è stato cercare di dare una valenza drammaturgica allo spazio che non deve essere un contenitore, ma parte di un processo creativo, anche perché non compriamo show confezionati, siamo noi a produrli interamente.
Qual è l’identikit di uno spettatore che segue Tones on the Stones e quale, invece, di uno che va a Nextones? Che visione del mondo hanno e cosa si aspettano da un festival come questo?
Sono due pubblici che, a parte per alcune caratteristiche, non si incontrano e sono molto diversi. Per questo motivo abbiamo differenziato la comunicazione, i profili social e i siti web. Tones on the Stones accoglie un pubblico più adulto e più “pop”, composto da famiglie. Il suo pregio principale è quello di portare all’interno della cava persone che non sono abituali fruitori di teatro. Noi abbiniamo lo spettacolo alla cultura e gli scenari sono così belli e suggestivi che le persone vengono senza neanche troppo chiedersi che cosa ci sarà. Questo succede anche per Nextones, ma c’è un target di un pubblico più attento, abituato a fare dei viaggi per seguire eventi, festival e artisti che ha un’età compresa tra i 25 e i 40 anni.
Qual è il messaggio che vorreste che passasse dopo la visione di uno spettacolo di Tones on the Stones o di Nextones?
Ci piacerebbe che passasse il racconto del festival ed è per questo motivo che abbiamo voluto creare il diario di bordo: per coinvolgere il pubblico nei nostri progetti e nei nostri pensieri. Da una parte la produzione comunica determinate scelte come per esempio l’uso di energie verdi, ma sono soprattutto i performer che abbiamo selezionato che, in modi differenti, sapranno parlare e avvicinare gli spettatori alla loro arte.