Todo Modo – Prega per me

Un laboratorio sonoro. Un workshop che s’interroga di continuo sulla sopravvivenza della forma canzone in un ibrido capace di mescolare noise e cantautorato. Questo sono i Todo Modo, super gruppo formato da Paolo Saporiti alla voce, Xabier Iriondo alle chitarre e Giorgio Prette alla batteria. Un primo lavoro, omonimo, uscito poco più di un anno fa e nato in due settimane di registrazioni in studio (con Prette nuovamente insieme a Iriondo dopo la fuoriuscita dagli Afterhours) che era stato seguito da un tour nei principali club italiani.

Il 31 marzo, ancora per Goodfellas, è uscito Prega per me, in copertina un padre, non sappiamo di quale dei tre musicisti ma l’ultimo a lasciarli, fotografato nell’atto immediatamente precedente a quello di colpire una pallina da golf. È una foto importante, passaggio di consegne tra l’essere figli e il sentirsi adulti e orfani. Tutto il progetto Todo Modo, nome scelto da Prette come omaggio al film di Petri, alla sua visionaria capacità di raccontare il reale, il male oscuro dentro la politica, dentro il paese, nasce su due binari che lasciano passare il treno di una grande maturità artistica: l’impegno e la ricerca.

Prega per me è così una preghiera laica in grado di scavare dentro la storia e, soprattutto, le storie del paese, tra pubblico e privato ricordando come i due concetti non possano essere scissi se quello cui si ambisce è il cambiamento sociale, storico, politico.

Urgenza è una delle parole chiave del progetto, ad ogni costo, questo il significato della locuzione latina, diventa così espressione di un bisogno inarrestabile di esserci, come testimoni del presente e artefici del proprio percorso umano prima ancora che artistico. Todo Modo è l’incrocio di voci diverse e diverse realtà, il ritorno alla musica di Giorgio Prette, la ricerca di un nuovo cantautorato da parte di Paolo Saporiti e, naturalmente, la costante ricerca musicale di cui si fa carico Xabier Iriondo da molti anni a questa parte.

Prega per me conferma e accresce i pregi dell’esordio. Iriondo e Prette sono gli artefici principali di un tappeto sonoro fatto di ritmi incalzanti e serrati e bordate di chitarre, pattern sonori tra noise e bordoni sospesi nel vuoto. Su questo scenario ricco di distorsioni, la voce di Paolo Saporiti, tra le più belle in Italia , voce che sa di verità e di onestà, infonde vita a testi, mai banali, che attraversano l’intero disco tra spoken word e momenti di maggior lirismo.

Senza ridondanze né scorciatoie, Prega per me è un disco bello e complesso, che ha bisogno di diversi ascolti per arrivare al cuore e alla testa, che vive di stratificazioni, di un’immediatezza celata, capace di esplodere solo nel tempo quando, come in un’epifania, tutti i tasselli vanno improvvisamente a incastrarsi mostrando un lavoro affascinante e ambizioso che punta in alto, a testimonianza anche del bisogno di non accontentarsi, di costruire qualcosa di bello e duraturo, capace di stimolare l’immaginazione, la riflessione, il pensiero.

Forma e sostanza. In poco meno di quaranta minuti il trio di musicisti si confronta con diversi registri. La fine del mondo gioca molto con l’effettistica che, come nel primo disco, filtra con ottimi risultati non solo ovviamente tutta la strumentazione di Xabier ma anche la voce di Saporiti e la batteria di Prette. Non vedi che fa male è un pezzo molto più classic rock, ovviamente nell’accezione che può avere in un gruppo dov’è presente Iriondo, mentre la voce di Saporiti tocca le corde più basse del suo registro. Clandestino, scelto non a caso, come primo video, è sicuramente un brano più orecchiabile che lascia la voce di Saporiti più libera di emergere tra gli strumenti, su un tappeto sonoro elettronico e la chitarra che, in lontananza, fa un controcanto che sa di spazi lontani e sonorità anni novanta. Se Prendi a calci i tuoi dolori s’inserisce nel solco tracciato dai primi due pezzi, Passaggio a livello è un intermezzo parlato di Saporiti che, su un coro di voci bianche e rumori di folla, racconta l’angosciata ricerca di un padre, un appuntamento mancato, un’assenza cui è difficile arrendersi, il vuoto che ci coglie di sorpresa e ci lascia soli.

Vero è un’onda sonora che arriva di colpo a spazzar via il dolore e richiama, nelle sonorità, uno degli altri progetti di Iriondo, quello con Capovilla a nome Buñuel, con Saporiti che cambia più volte approccio vocale tra un parlato alla Clementi e il cantato del ritornello. Fino a farmi male scorre su un ritmo preciso fino all’incursione dell’effettistica di Iriondo. Le note della chitarra acustica di Saporiti aprono, invece, Non dite niente, che, con i suoi quasi sette minuti, è il brano più lungo dell’intero disco, aspra critica sociale alle vituperate abitudini di una parte del paese che vede, nella sezione centrale, la voce innalzarsi su una tessitura musicale più esile ed essenziale, mentre i testi, come sempre, si fanno più ermetici mescolando sapientemente riferimenti diretti e chiari a momenti di maggiore introversione. Gli arpeggi di Saporiti lasciano spazio, sul finale, a tutta la potenza sonora di Iriondo e alla batteria, secca, pungente e inconfondibile di Giorgio Prette. La coda noise che chiude il brano si cuce all’inizio de La figlia del re dove, sull’universo sonoro delle chitarre, è messa in scena una crisi coniugale tra irati tentativi di machismo e rivendicazioni acide. Prega per me è una cavalcata rock sporchissima che lava via religioni, partiti politici, istituzioni familiari e si fa inno alla libertà da ogni possibile sovrastruttura.

La conclusione del disco è affidata a due brani molto diversi tra loro. Nel nome mio è una ballad acustica ricca di atmosfera mentre La ballata di Rouen è un pezzo noise rock con suoni industrial e quasi metal dove Saporiti, con la voce fortemente distorta, sussurra inquietante di morte, di Dio, di Allah, di teste tagliate in un crescendo che sa d’inquisizione e di predicazione folle.

Prega per me non è soltanto una bellissima conferma. Rispetto al primo disco Iriondo, Saporiti e Prette riescono ad ampliare notevolmente il campo espressivo, rifuggendo da una forma più immediata per lasciare il campo anche a una maggiore costruzione musicale. In questa ricerca, che è la ragione d’essere di questa band, emerge forte, dai temi come dalla copertina del disco, non una furia iconoclasta ma la consapevolezza del bisogno di riannodare i fili col passato per realizzare qualcosa che, forte della continuità, non sia un’inutile avanguardia spinta in avanti e destinata a morire bensì un’opera in grado di restare, come un ponte fra tradizione e futuro attraverso il dialogo col presente.

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