Esattamente quaranta anni fa usciva nei cinema italiani Todo Modo, forse l’ultimo capolavoro di Elio Petri, tratto dal romanzo di Sciascia uscito due anni prima. Racconto cupo e grottesco, insieme dramma e farsa sul potere italiano nella sua declinazione più ignobile e amara, quella del legame tra Chiesa e Democrazia Cristiana con Gian Maria Volonté e Marcello Mastroianni. È a quel film, a quel romanzo che Giorgio Prette ha guardato per la sua nuova avventura musicale dopo venticinque anni di militanza negli Afterhours. Con lui Xabier Iriondo alla chitarra e il forse meno noto Paolo Saporiti, cantautore con alle spalle una manciata di dischi gli ultimi dei quali, Paolo Saporiti del 2014 e Bisognava dirlo dello scorso anno, cantati per la prima volta in italiano ma immersi sempre in una cornice musicale che guarda più all’estero che all’interno dei confini italiani. Ha una bella faccia aperta Paolo Saporiti, non si fatica a capire fin dal momento in cui scende insieme agli altri dal furgoncino che, di là dalla musica, questo progetto è testimone di un mondo artistico diverso, fatto di un impegno etico che passa dai comportamenti prima di tutto (il privato è politico è ancora un credo valido per chi ha certi valori) e dalle scelte non solo musicali ma artistiche nel senso più alto del termine.
Todo Modo, a ogni costo, sta a indicare anche l’urgenza di questo progetto nato da un’idea di Iriondo che voleva continuare a lavorare con Prette anche fuori dagli Afterhours e dallo stesso Prette che aveva la volontà di riprendersi nuovamente uno spazio musicale, di tornare a mordere la strada per provare l’entusiasmo degli inizi. Un lavoro urgente nelle intenzioni ma anche nella realizzazione, tre settimane in cui, di là dal sodalizio Prette-Iriondo, Saporiti ha ampiamente detto la sua in un disco a tre a tutti gli effetti in cui un certo suono grezzo e diretto si sposa con la sua voce che abbandona lo stile dei lavori precedenti per esplorare senza paura cose e situazioni nuove.
A ospitarli questa sera, a Frattamaggiore a pochi minuti da Napoli, il Sound Music Club, la nuova realtà partenopea che ha già ospitato artisti del calibro di Buñuel (con lo stesso Iriondo), Calibro 35, John De Leo, Marco Parente, Bologna Violenta e che vedrà alternarsi sul palco la prossima settimana il nuovo progetto di Emidio Clementi, Sorge (il 14) e il concerto dei bolognesi Ofeliadorme (il 15).
La batteria di Prette, subito seguita dalla chitarra di Iriondo, introduce Soffocare, primo singolo estratto dall’album, uscito a settembre dello scorso anno. L’incisività dei testi ci riporta a un senso piuttosto preciso di angoscia, quello di ritrovarsi in mezzo alle cose senza sapere nemmeno bene perché, di là dalle proprie decisioni, fuori da un senso reale di comprensione, immersi in un’atmosfera soffocante che il pezzo rende tangibile nella lunga parte centrale sospesa, prima che la musica riprenda sul finale. Sarà, questa, la cifra stilistica dell’intero live come lo è del disco.
Saporiti parla molto col pubblico ma quando canta, è evidentemente in una dimensione molto intima e privata e, indipendentemente dal tono che userà durante la serata, le parole sono sentite, l’urgenza di cui prima è visibile nell’introspezione che quest’uomo, un po’ naufrago, un po’ poeta si porta addosso mentre canta avvinto all’asta del microfono o alla sua chitarra acustica.
La scaletta stravolge la tracklist del disco, La via esplora i toni più gravi della voce, bellissima di Saporiti, che poi esplode in una sorta di grido trattenuto, il chorus vede Iriondo iniziare il suo personale spettacolo noise, Prette dietro di loro, ma al centro del palco e di questa formazione a tre, picchia con eleganza e con uno stile che riconosceresti tra mille, a occhi chiusi. Manca il basso che è sostituito da una bass pedal suonata da Iriondo o dallo stesso Saporiti. Il pezzo è tagliente, asciutto, secco come tutte le nove canzoni dell’album.
Togli le mani da lei vede Saporiti imbracciare la chitarra acustica su un ritmo preciso di Prette ed emerge la natura anche cantautorale del progetto, quella portata da Saporiti, sporcata dai riff di Iriondo.
Come fossi Dio vede crescere la carica sovversiva di Iriondo mentre Puttane e Miele si apre su un bel confronto tra batteria e voce e Saporiti sorprende per la sua versatilità timbrica. I temi restano gli stessi dei pezzi precedenti, situazioni personali, fallimenti, il rapporto col volere altrui su un piano personale, sociale e politico declinati in una chiave piuttosto oscura che sembra essere dominata da una costante minaccia senza sapere se questa provenga dall’esterno o da se stessi.
La pancia di Milano è un breve e incisivo pezzo costruito su un semplice riff di chitarra in cui Saporiti riesce ancora a cambiare registro. Alle volte cita Battisti (che ne so io di un campo di grano?) e continua questo racconto d’Italia “che ne so del tuo sporco denaro, che no se del consenso cos’è […] dirigenti senz’altro importanti che rimpiango per quello che c’è e il silenzio di generazioni, di politici, di tentacoli e di loschi figuri, di vigliacchi sai quanti ce n’è” che non prescinde dalle colpe personali “io che non ho deciso niente, io che non ho mai chiesto niente, io che non ho mai capito niente”.
Prette e Iriondo abbandonano il palco per pochi minuti per lasciarlo al solo Saporiti che con la sua chitarra riprende Io non ho pietà dal suo album omonimo del 2014, per un momento di grande intimità e intensità “io non ho pietà nell’amarti nel senso che dedico a te ogni goccia d’amore che mi stilla dal cuore, io non ho pietà nell’odiarti nel senso che dentro di me provo solo rancore per chi svende le ore, perché non cambi e non scegli me, perché non muori e non prendi me “.
Il mio amore per te parte come un brano cantautorale per poi essere aggredito con impressionante violenza dalle sperimentazioni di Iriondo (e nel disco da una batteria quasi industrial, ricca di effetti).
Chiude L’attentato, scritta da Saporiti dopo che una bambina si era fatta esplodere in Nigeria. Anche sul palco del Sound partono le rondini come nel disco. All’inizio parole bellissime sono accompagnate dall’arpeggiare della chitarra acustica e da un puntuale e leggero commento sonoro di Prette con le malletts sui piatti e sulle pelli “cerca un altro modo per illuminare il cielo, cerca un altro modo per distinguere il tuo velo, cerca un altro modo per distruggere il tuo credo, cerca un altro modo per sconfiggere il tuo gelo”. Sul mantra di “solitamente l’eternità” aumenta il passo di Prette e Iriondo può finalmente lasciarsi andare in un momento di grandissimo pathos in cui lo vediamo immerso tra i suoni della sua chitarra tra pedali ed effetti, piegarsi sul palco, distorcere i suoni davanti all’amplificatore. È il pezzo più lungo e quello in cui il gruppo riesce a trovare un perfetto affiatamento facendo combaciare tessere di mondi ed esperienze anche distanti tra loro e che altrove si muovono su un filo sottilissimo. Nel disco ascoltiamo la voce di Mariangela Melato e Gianmaria Volonté, dal vivo invece le voci dei due grandi attori milanesi sono sostituite dagli applausi del pubblico.
C’è il tempo per qualche chiacchiera e qualche bicchiere prima di vedere i tre caricare il furgoncino sotto un cielo bianco di pioggia che non si decide a scendere per spezzare questa coltre afosa che avvolge la città ed è bellissimo vedere musicisti affermati, come ragazzi alle prime armi che se ne vanno in giro portando le loro idee per piccoli club con la forza della loro passione e la grande coerenza delle loro scelte.
Tutte le foto sono di Rosalinda Falco
Scaletta
- Soffocare
- La via
- Togli le mani da lei
- Come fossi Dio
- Puttane e miele
- La pancia di Milano
- Alle volte
- Io non ho pietà
- Il mio amore per te
- L’attentato