Dal ’73 al 2011 ha girato solo cinque film creando una specie di mito riguardo al modo di lavorare e esasperando ogni volta le aspettative sulle sue opere rendendo veri e propri eventi per gli addetti ai lavori le uscite e le presentazioni ai vari Festival dei film in questione, tenendosi sempre ben lontano da tali appuntamenti mondani così come da eventuali promozioni.
A differenza del passato stavolta ha fatto trascorrere solo un anno tra un’opera e l’altra lasciando perplessi tutti quelli che ormai avevano racchiuso Malick nell’Olimpo di coloro che creano il loro successo sulle aspettative e sul far parlare il più possibile di sè grazie all’assenza (“mi si nota di più se non vengo o se vengo e mi metto in un angolo?“); così dopo aver sorpreso e in alcuni casi estasiato con The Tree of Life nel 2011 vincendo una quantità spropositata di premi, su tutti la Palma d’Oro a Cannes, ha presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2012 To The Wonder, che solo a distanza di un anno trova distribuzione nelle sale cinematografiche.
L’intenzione del regista era di proseguire nel solco stilistico-narrativo di The Tree of Life, un piccolo grande gioiello emozionante e affascinante con una sceneggiatura cruda che contrasta con la magnificenza delle immagini e il candore della fotografia; purtroppo To The Wonder non si avvicina minimamente al lavoro precedente, anzi pare scimmiottare come brutta copia tutto quello che di elegiaco era venuto fuori nell’altro film.
Marina incontra un prete, in crisi di vocazione, con cui si confida e a cui espone le perplessità sui cambiamenti che stanno avvenendo nella sua vita; mentre Neil ritrova il legame con un’amica d’infanzia, Jane, da cui si lascia travolgere per bisogno di dolcezza e tranquillità. Grazie all’esplorazione e alla riflessione dell’amore nelle sue svariate forme, per gli altri esseri umani, per la propria vita, per Dio, i personaggi in questione saranno costretti a fare i conti con i dubbi sui doveri e gli impegni da portare fino in fondo, sui sentimenti che come ogni cosa possono svanire e sul dolore che spesso può arrivare ad unire più della gioia.
To The Wonder è un film che, per intenderci, se fosse stato almeno pretenzioso avrebbe avuto una ragione d’essere; e invece l’inconsistenza generale dell’opera porta a pensare che Terrence Malick non pretendesse nemmeno di far giungere un qualsivoglia messaggio o di evocare attraverso la storia narrata un significato profondo. La trama che trapela da circa due ore di pellicola è carpita dal coraggioso spettatore che se ne va per un’idea in molti casi: molte scene sono inutilmente melliflue, sdolcinate all’inverosimile, portando all’estremo un’improvvisazione chiesta agli interpreti che più che arricchire il racconto dà l’impressione che gli attori risultino spaesati e nell’incertezza si lascino andare ad insignificanti pose inespressive.
Infatti con l’eccezione di Javier Bardem, la cui figura di prete risulta essere anche l’unica interessante a livello narrativo, il resto del cast (Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams) incide molto poco lasciando indifferenti il più delle volte per una messa in scena sicuramente complicata per gli interpreti che si trovano con Malick a dover recitare quasi esclusivamente con la loro fisicità ed espressività, mentre le voci dei personaggi accompagnano la storia come narrazione costante e il più delle volte fastidiosa e insensata, mai in presa diretta.
Oltre a Bardem se qualcosa si può salvare in To The Wonder è la fotografia che, se non ci si trovasse dinanzi ad un’opera cinematografica che necessita anche di altri fattori per raggiungere il risultato, sarebbe da annoverare nella “meraviglia” citata dal titolo: doveroso il plauso al direttore Emmanuel Lubezki.
Senza alcun dubbio To The Wonder è il peggior film di Terrence Malick.