La carriera, pur breve, dei These New Puritans è da sempre caratterizzata da un approccio alla sperimentazione privo di qualsiasi vincolo, scelta coraggiosa che ha trasformato in pochi anni la band in uno dei punti di riferimento della scena alternative britannica. Field of reeds, terzo capitolo della discografia di Jack Barnett e soci, rappresenta l’ennesimo tassello di questo inusuale percorso, nonché un’evoluzione delle sonorità che avevano caratterizzato Beat pyramid e Hidden, oggi più che mai distanti da qualsiasi rigurgito post-punk e inserite in un contesto più ampio, che muove dal pop orchestrale ad atmosfere quasi jazzate.
Cori, pianoforte e fiati assumono ora un ruolo da protagonisti, divenendo veri e propri pilastri nella costruzione delle singole tracce, le quali vengono spesso ad articolarsi su linee melodiche imprevedibili e di sicuro non immediate. Un maggiore senso di complessità sembra così pervadere il nuovo corso dei These New Puritans, ancora più attenti alla forma e concentrati sul dettaglio senza comunque rincorrere inutili e pericolosi manierismi.
L’apertura minimalista di “The way I do”, fondata su pochi tocchi di piano che guidano una leggera sezione vocale fino all’incursione degli strumenti a fiato, prepara il terreno a tortuose incursioni tra ritmiche cadenzate, risaltate da eleganti elementi decorativi (“Fragment two”, uno degli episodi migliori dell’album), e indecifrabili litanie in cui sembrano convivere anime diverse pronte a legarsi e slegarsi tra loro senza continuità (“The light in your name”).
Brani come “Spiral” e “Nothing else” mettono in luce le derive tra ambient e impostazione orchestrale della band inglese, alternando canti a due voci, lunghe suite riflessive e momenti strumentali più corposi, mentre “Organ eternal” punta tutto su un ripetitivo quanto efficace giro di tastiera, capace di ricreare atmosfere dai tratti quasi gotici.
Il desiderio di spingersi oltre sembra tuttavia, in alcuni passaggi, forzare le naturali evoluzioni dei brani, dilatandosi talvolta anche in maniera eccessiva (gli oltre 9 minuti di “V (Island song)”, per esempio, paiono appesantire troppo un’impostazione del pezzo comunque valida) o inerpicandosi su sentieri particolarmente complessi, come nelle due tracce di chiusura “Dream” e “Field of reeds”, che privilegiano la ricerca nella scrittura alla fruibilità d’ascolto.
Il terzo lavoro dei These New Puritans risulta così volutamente ricco di sfaccettature che, se da un lato ne diventano un elemento di ricercatezza e distinzione, dall’altro trasportano l’album verso livelli di complessità a tratti sfuggenti: nel frattempo, tra chi grida al capolavoro e chi non riuscirà a superare la terza traccia, sembra onesto confermare la continua crescita del quartetto di Southend-on-Sea e la sua abilità nel non fossilizzarsi su se stesso e nel saper mettere in luce con personalità anche i propri lati meno accomodanti.
Tracklist:
- The way I do
- Fragment two
- The light in your name
- V (Island song)
- Spiral
- Organ eternal
- Nothing else
- Dream
- Field of reeds