Giovedì 2 Febbraio scorso quattro agenti hanno fermato nella banlieue di Aulnay-sous-Boys, periferia nord-est di Parigi, insieme ad altre dieci persone, un giovane ragazzo di colore di 22 anni. Thèo, questo il suo nome, era incensurato e senza precedenti penali di nessun tipo. È stato picchiato, reso bersaglio di insulti di stampo razzista e soprattutto sodomizzato con il manganello da uno dei quattro agenti, che ora è accusato di violenza sessuale mentre gli altri tre della “sola” violenza aggravata. Il ragazzo dopo esser stato dapprima portato in questura viene trasferito in ospedale viste le condizioni fisiche molto gravi. Lì il medico che lo ha in cura gli diagnostica “una ferita longitudinale nel canale anale” di 10 centimetri con lesione del muscolo sfintere, oltre a ferite di diversa entità sul corpo ed alla testa. Thèo viene così operato d’urgenza e gli viene prescritta una prognosi di 60 giorni di invalidità totale.
Appena due giorni dopo, sono iniziate le proteste. Dalla notte di Venerdì 3 cinque giorni di intensa mobilitazione di tutta la banlieue di appartenenza del giovane e della sua famiglia hanno dato il via a scontri violenti con la polizia con decine e decine di fermi, auto e fermate degli autobus date alle fiamme e locali e negozi danneggiati. I manifestanti sono arrivati anche ad attaccare il commissariato di Les Ulis, nella periferia sud-est con lanci di molotov e sassi che hanno danneggiato struttura e macchine della Polizia. Dopo una leggera pausa l’8 Febbraio dovuta alla visita il giorno prima in ospedale al ragazzo da parte del presidente Hollande e all’appello dello stesso Thèo e della sua famiglia alla calma, gli scontri sono ricominciati in varie zone periferiche della città, con particolare veemenza nella giornata del 12 Febbraio. Il picco emotivo della vicenda si è avuto nelle giornate del 15 e del 16, in cui la mobilitazione è uscita dalle periferie e si è spinta fino al centro della città, nel quartiere di Barbes-Rochechouart, vicino a Montmartre. Anche qui vi sono stati scontri con le forze dell’ordine con danni al bene pubblico, negozi e macchine. In seguito anche molti licei ed istituti scolastici hanno aderito alle proteste, con occupazioni e manifestazioni studentesche.
Thèo è uscito dall’ospedale il 16 Febbraio, un po’ in anticipo ma perché stando alle sue parole, affidate ad un video pubblicato su Facebook, “sarei dovuto rimanere in ospedale ancora una decina di giorni, ma non ho potuto accettarlo perché non so se sarei riuscito a reggere mentalmente”. Ha ringraziato le persone che lo hanno sostenuto ed ora si trova circondato dall’affetto e le cure della sua famiglia e dell’intero quartiere. I quattro poliziotti sono stati sospesi dal servizio ed incriminati. L’agente su cui grava l’accusa di violenza sessuale continua a difendersi in modo grottesco, spiegando come si sia trattato di un “incidente”, ma intanto sono emersi altri elementi che aggravano la sua situazione e quella degli altri poliziotti. Il Post riporta infatti le dichiarazioni di un amico di Thèo, Mohamed K., che sarebbe stato fermato senza nessuna apparente motivazione, appena una settimana prima del fattaccio da tre agenti. Fra questi anche quello che ha usato violenza nei confronti del ventiduenne, ben conosciuto nel quartiere con il nome di “barbarossa”. Con Mohamed si sono “limitati” al pestaggio. Le vicenda insomma, per lo meno a livello giudiziario, è appena all’inizio. Con una Francia chiamata al voto fra appena un paio di mesi, un episodio del genere ha scosso fortemente l’opinione pubblica ancora traumatizzata dagli attentati terroristici dello scorso anno, ricordando da vicino la rivolta delle banlieue del 2005, che mise a ferro e fuoco l’intera città.
La sensazione dominante è che l’immondo atto commesso nei confronti di Thèo sia l’ennesima goccia che fa traboccare il vaso, quel vaso di quartieri spesso costretti all’isolamento ed alla povertà,in cammino costantemente su una sottile linea a cavallo fra la “semplice” criminalità ed una guerra urbana, di classe ed etnica. Ancora una volta, come in innumerevoli precedenti, le banlieue hanno reagito con una prontezza disarmante all’ennesimo episodio di violenza da parte della polizia, stringendosi immediatamente intorno al ragazzo e alla famiglia. Ogni volta che un abitante dei quartieri viene toccato, è come se si sfiorasse un nervo scoperto, quell’organismo pulsante e vivo che sono le periferie parigine risponde chiudendosi in sé stesso e respingendo l’aggressore, come un sistema immunitario che libera gli anticorpi contro un virus. Le prese di posizione della classe politica e dei piani alti della polizia in merito alla vicenda non hanno minimamente rilassato la situazione, anzi, essendo in testa ai sondaggi una donna come Marine Le Pen che sul fatto ha affermato che “il mio principio di base è sostenere la polizia, almeno fino a quando i giudici non avranno dimostrato che è stato commesso un crimine o un delitto“, ha solo fomentato gli animi di chi protesta . Il tutto senza pronunciare mai il nome di Thèo. Addirittura le prime indagini della polizia avevano affermato che la grave ferita riportata dal ragazzo era stata non intenzionale, e dovuta più che altro alla mancanza di collaborazione dello stesso nelle fasi di fermo, affermazione screditata da un video ripreso da una telecamera di sicurezza, che mostra chiaramente la realtà dei fatti. Solo la visita al ragazzo da parte di Hollande va in direzione opposta, anche se lo stesso presidente in carica ha preferito concentrarsi più su “l’atteggiamento esemplare” di Thèo, nell’appello alla calma, piuttosto che entrare nel merito della questione.
La situazione ora, nonostante sia ancora incandescente, sembra essersi apparentemente rasserenata. Staremo a vedere se nel prossimo futuro la giustizia procederà con tempi decenti e se ,soprattutto, sarà degna di esser chiamata Giustizia. Per adesso rimangono le ennesime violenze della polizia nei confronti della gioventù della banlieue, che dimostrano anche una volta la prontezza nell’affrontarle e nel chiudersi a riccio intorno ai diretti interessati, riuscendo allo stesso tempo ad uscire mediaticamente con grande forza dai quartieri per spargere il grido della protesta in tutto il mondo. Rimane la Marsigliese cantata dalle oltre 2mila persone radunate davanti il tribunale a Bobigny, rimane il grido alla fine dell’inno dei manifestanti “Nous sommes des français”, “Noi siamo francesi”, in una sorta di mantra che più che provare a scuotere la classe politica sembrava cercare di convincere l’animo di ciascuno degli intervenuti, in un rito di auto-convinzione assolutamente necessario dopo l’ennesimo episodio gravissimo che fa sentire ancora una volta sole ed alienate le zone più fragili della città e della Francia intera.