11 marzo 2011: il Giappone è scosso dal terremoto (e conseguente maremoto) nei pressi della regione del Tōhoku che causerà danni a diverse centrali nucleari, in particolare a quella di Fukushima Dai-ichi, e passerà alla storia come il più grande disastro nucleare insieme a quello di Černobyl.
Ottobre 2015: al Roma Film Festival viene presentato The Whispering Star di Sion Sono, dopo la premiere al Toronto International Film Festival dello stesso anno.
7 dicembre 2016: in Inghilterra Amazon inaugura un nuovo metodo di spedizione con Prime Air: il pacco viene consegnato al cliente tramite un drone, riducendo i tempi di attesa.
1 ottobre 2017: parte un piccolo tour promozionale di The Whispering Star, distribuito in Italia (in un contesto al di fuori dei festival) dopo due anni dalla sua presentazione.
Ho modo di vederlo durante la rassegna cinematografica dedicata al Giappone organizzata dal Live Alcazar. Futuro imprecisato: l’universo è popolato per l’80% da androidi. Yoko Suzuki, un corriere spaziale umanoide, ha il compito di consegnare pacchi agli esseri umani. Nonostante l’avvento del teletrasporto, le poche persone rimaste in vita su diversi pianeti preferiscono attendere (anche anni) e ricevere la posta alla vecchia maniera, da un fattorino.
Per chi non conoscesse Sion Sono è attualmente uno dei cineasti (classe ’61) più interessanti del panorama cinematografico nipponico: autore assai prolifico, ha affrontato diversi generi e tematiche nelle sue pellicole, che hanno come comune denominatore la visionarietà e la sperimentazione del linguaggio cinematografico in grado di stupire ogni volta lo spettatore. Da horror grotteschi come Suicide Club si passa a follie meta-cinematografiche come Why don’t you play in hell, passando per il musical rap (tra mille luci al neon) di Tokyo Tribe e a racconti natalizi sui generis come Love & Peace.
Impossibile quindi dare per scontato cosa aspettarsi dalle pellicole del regista, che in questa occasione ci propone un film di fantascienza atipico con protagonista la sola Megumi Kagurazaka (compagna di vita del regista) supportata da un cast costituito da persone residenti a Fukushima, utilizzando come location proprio quei luoghi desolati e devastati dalle esplosioni nucleari del 2011. Per contrasto, in The Whispering Star il mondo è diventato un posto in cui ogni rumore superiore ai 30 decibel può uccidere un essere umano (considerato una specie in via d’estinsione).
Sono decide di rallentare il ritmo del film usando una narrazione che si basa sul ripetersi costante e ciclico di gesti comuni che compie Yoko (fare le pulizie, preparare il té, etc), dilatando il tempo cinematografico. Espediente narrativo usato analogamente in Don Jon (J.G. Levitt, 2013) in cui ci veniva mostrata la meticolosa routine del protagonista (scandita da altrettanti gesti comuni), con il fine di enfatizzare lo sconvolgimento della sua vita in seguito a un cambiamento (rappresentato da una donna, dall’amore). Invece in The Whispering Star (che strizza l’occhio a tutt’altro cinema, a quella fantascienza esistenziale e ai ritmi cinematografici di Tarkovskij) , alla base di questa scelta narrativa ci sono altre motivazioni: riducendo lo scorrere del tempo a un mero susseguirsi di gesti tutti uguali e meccanici (scanditi dallo scorrere copioso dei giorni in sovra-impressione), Sono “annulla” la dimensione temporale, o meglio, la distorce. Il regista ci suggerisce il perché della scelta da parte degli esseri umani di non utilizzare il teletrasporto per ricevere i loro pacchi: all’inizio, galvanizzati dall’idea di ottenere tutto e subito, perché si rendono conto di come le cose perdano il loro interesse, valorizzato invece dall’attesa di riceverle.
Così anche noi aspettiamo, siamo in balia dell’attesa tra una consegna e l’altra. E come Yoko, iniziamo a chiederci cosa ci sarà mai dentro quei pacchi: lei scopre che gli oggetti che la gente continua a spedirsi non sono altro che oggetti comuni e apparentemente senza valore (matite, negativi di fotografie, spille). La curiosità genuinamente umana di Yoko non è il solo rimando ad un processo (intimo) di umanizzazione dell’androide: se da un lato la vediamo cambiarsi le batterie che la mantengono attiva, svolgendo il suo lavoro con una solerzia non-umana, dall’altro la osserviamo mentre registra un diario di bordo, fuma una sigaretta, si taglia le unghie. Inoltre la navicella è alquanto singolare (un bungalow) e il computer di bordo è simile ad un vecchio altoparlante: un progresso scentifico ancorato al passato, con un androide che ci fa (ri)scoprire la bellezza di essere “umani”.
Anche Yoko deciderà di conservare un oggetto dentro una scatola. Così come un album masterizzato su un cd rovinato da un pennarello indelebile può avere più importanza per un singolo individuo rispetto alla prima stampa di quello stesso album, così Yoko conserverà un oggetto a prima vista insignificante, ma che per lei rappresenta un ricordo dei suoi viaggi come corriere e tutto quello che ha imparato dagli (e sugli ) uomini.
Un film contemplativo, non di facile visione sicuramente. Una regia geometrica, asciutta, essenziale. Sono riflette (e ci fa riflettere) su come tutto sia più immediato, ma al tempo stesso venga dimenticato più velocemente. Oggi un terremoto fa scalpore, in attesa di un altro evento che faccia più notizia; i posti colpiti da un cataclisma di questa portata vengono alla fine abbandonati a se stessi. Come nel film,tutto è un ripetersi di gesti ed eventi senza soluzione di continuità. Il messaggio di Sono è praticamente uguale alla lezione che ci impartiva Ray Bradbury con i suoi pompieri che invece di spegnere incendi, li appiccavano: l’uomo è simile alla fenice nel suo incessante replicarsi e rinascere attraverso i secoli. La differenza è che la fenice quando si immola sul rogo, rinasce e riparte da zero, non consapevole della sciocchezza appena commessa. Noi invece abbiamo la memoria dei gesti commessi, noi possiamo (e dobbiamo) ricordare.
Un film concettuale, ma anche un’opera sentita e poetica, dedicata al genere umano in primis e ovviamente alle vittime di quel marzo 2011 che scosse il Giappone. Per chi volesse vederlo al cinema, le date sono in costante aggiornamento: dal 17 ottobre sarà allo Spazio Oberdan a Milano e il 26 ottobre al cinema King di Catania.
a cura di Leonardo Bastianini