The War On Drugs ci portano nello spazio tra la bellezza e il dolore

Cosa ci si aspetta da un live dei The War on Drugs?

Si è parlato più volte delle influenze classic rock della band capitanata da Adam Granduciel. Un percorso che in questi tempi di sperimentazione, di mescolanza di generi, in cui la musica sembra spingere in tutt’altra direzione, sembra anacronistico. Tuttavia la data di sabato 18 Novembre al Fabrique di Milano era carica di aspettative, tanto da sfiorare il sold out a pochi mesi dall’uscita dell’ultimo A Deeper Understanding, album che consacra il successo di quel piccolo capolavoro che fu Lost In The Dream, e che porta la band ad una prova non facile: quella dei ripetuti passaggi radiofonici.

Cosa porta un pubblico incredibilmente variegato, che va dai ventenni delle prime file, ai cinquantenni che si sono goduti la serata sulle gradinate laterali, a riempire un locale con una capienza importante, nella serata in cui si presenta un gruppo non esattamente innovatore? La risposta potrebbe leggersi nei versi di colui che ha sicuramente un posto d’onore tra le sopracitate influenze classiche, Mr Neil Young, che anni fa ci avvertiva “rock and roll will never die”.

Quella di Granduciel non è una grande rivoluzione, ma riesce a padroneggiare la tecnica pescando dal grande calderone di Springsteen, del citato Young, di Tom Petty, mettendo al centro della sua poetica se stesso, dandosi in pasto al pubblico con le sue meravigliose fragilità, i suoi attacchi di panico, le sue ossessioni. E’ innegabile che parte del fascino stia nella sua capacità di essere così schivo, fragile, ma sicuro dei propri mezzi e della sua capacità di reggere la folla che gli si presenta davanti.

Suona al centro del palco, Adam, i giochi di luce, incredibilmente suggestivi ed in crescendo, creano fasci che puntano costantemente verso di lui. I cinque musicisti che lo accompagnano sono di una bravura spaventosa, ma è la sua chitarra il fulcro. Lui è The War On Drugs.

La scaletta, fatta eccezione per un paio di pezzi, si concentra sugli ultimi due lavori, come a dirci di dimenticare il passato, le bagarre con l’aminemico Kurt Vile; questo è ciò che è, adesso. Una scelta stilistica che dona al live un ritmo in crescendo, che scorre come un fiume tra le cui anse ci sono le recenti In Chains, Strangest Thing, il singolo radiofonico Pain, Thinking Of A Place, ed in cui troviamo le meravigliose An Ocean In Between The Waves, Lost In The Dream, quella Red Eyes che a suo tempo fu la consacrazione. Un fiume che il pubblico segue, attento e coinvolto, nel suo crescendo fino a sfociare nella potente esecuzione di Under The Pressure.

Cosa ci si aspetta, dicevamo? Quando si hanno queste capacità tecniche è facile dilatare i pezzi in code strumentali, ma gli assoli di Granduciel, quelli che strappano lunghi applausi, sono sempre bilanciati, non scadono mai nel virtuosismo fine a se stesso. Non è scontato, questo equilibrio. Forse è un alchimista, Adam, ancora prima che un virtuoso, che ha trovato la giusta amalgama di tecnica e sentimento.

In questo credo risieda la grande attrattiva dei The War On Drugs. Questa indecifrabile patina opaca che riveste quelle che non sono semplici canzoni da intonare all’unisono in un palazzetto, sebbene sulla carta le caratteristiche siano le stesse. Per me è quello che lui stesso, in Strangest Thing, definisce “living in the space between the beauty and the pain”.

Fotografie di Alessia Naccarato

 

 

 

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