I The Voidz di Julian Casablancas tornano a farsi sentire dopo quattro anni dal primo lavoro Tiranny, quando ancora il progetto si chiamava Julian Casablancas + The Voidz. Questo cambio di nome inizialmente ha un po’ spaventato l’enorme schiera di fans del leader degli Strokes, portando più di qualcuno a pensare che il frontman newyorkese non fosse più l’elemento centrale della band. L’uscita di Virtue però ha subito allontanato questa preoccupazione: la voce di Casablancas fa la differenza in tutte le quindici tracce del disco, e fa riflettere che un cantante prossimo ai quarant’anni riesca ancora a superarsi anno dopo anno senza subire nessun calo.
Virtue è un album complesso, molto sperimentale, ricco di generi e influenze: nel giro di pochi minuti si passa ad esempio dall’indie pop spensierato di Leave It In My Dreams (pezzo che riprende in maniera piuttosto evidente gli ultimi Strokes) al post punk tormentato di Pyramid of Bones, molto più vicino al sound del loro primo disco.
Pur essendo nel complesso un lavoro meno rock rispetto al precedente, non mancano tuttavia momenti un po’ più hard: è il caso di pezzi come One Of The Ones, Black Hole (dove a tratti sembra quasi di ascoltare i Rage Against The Machine) e QYURRYUS, catalogabile come una sorta di electro rock con notevoli influenze mediorientali nel cantato di Casablancas.
Ma c’è spazio anche per coraggiose sperimentazioni elettroniche: My Friend The Walls sembra il prodotto di una fusione tra gli Strokes di Angles e i Radiohead di Amnesiac, mentre Pink Ocean suona come un lo-fi funk d’avanguardia. Degno di nota inoltre è il singolo All Wordz Are Made Up, l’unico brano dance del disco per il quale è stato realizzato un videoclip molto divertente.
Con questo secondo lavoro la band dimostra di saperci fare anche con il pop: la tastiera di ALieNNatioN è così piacevolmente monotona che la si può imparare a memoria già dal primo ascolto, mentre i falsetti disperati dell’ultima traccia Pointlessness chiudono nel migliore dei modi questo disco.
Casablancas e soci hanno sfornato un album sicuramente di spessore, un ulteriore passo avanti rispetto al precedente Tyranny a cui forse mancava proprio la stessa voglia di rischiare e sperimentare presente in Virtue. In più c’è la rassicurante conferma che quella voce amata un po’ da tutti negli Strokes sia ancora la stessa di diciassette anni fa, e questo non è certo un dato di poco conto.