Ascoltare The Tallest Man On Earth vuol dire avere immediatamente freddo anche se c’è il sole fuori, rifugiarsi in una tazza di caffè caldo al riparo da qualsiasi turbamento. Il Bob Dylan del nord arriva al quarto album con la sua voce rassicurante, la chitarra a tracolla, e le note del pianoforte di pezzi come Little Nowhere Towns che rapiscono al primo ascolto. Dark Bird Is Home è il titolo perfetto per questo nuovo disco: c’è l’oscurità, ma anche la sensazione di fare un viaggio a casa. A house is not a home, dice qualcuno: un posto qualunque in cui torni a dormire e mangiare non è necessariamente una casa. Home è una sensazione, e può essere anche una strada. Con la musica di Kristian Matsson questa sensazione è onnipresente, e rassicurante. La capacità di tirare fuori dal cappello della creatività belle melodie alternando chitarra e pianoforte sta ormai diventando una di quelle piccole certezze che ci accompagnano da Shallow Grave del 2008.
Se Pitchfork negli ultimi tempi ha parlato di un ritorno dei compositori da ballate al piano, evocando nomi come Father John Misty, Tobias Jesso Jr e Matthew E. White, sarebbe in parte ingiusto dimenticare l’uomo più alto del mondo: se è vero che privilegia la chitarra acustica per le sue composizioni (e questo nuovo disco è raccontato soprattutto attraverso la chitarra), melodicamente riesce a regalarci anche al piano piccole perle da ascoltare e riascoltare. Estendendo la definizione pitchforkiana, si può parlare di un ritorno di compositori da ballate, di vecchie melodie che vengono fuori da radici folk lontane. Il disco di The Tallest Man si costruisce sul minimalismo: basti ascoltare la title-track Dark Bird is Home, bellissima nel ripercorrere le tappe musicali che hanno reso famoso Kristian Matsson. I più pretenziosi diranno che i pezzi sono tutti uguali, ma che vi aspettate dal folk? In Matsson vogliamo trovare esattamente questo: pezzi folk come Beginners, costruiti su voce e arpeggi alla chitarra. La sensazione di tornare a casa di Bob Dylan nei Settanta. Epopee intere attraversate sulle note di Sagres: ”We were travellers, so blind/ Went to where the world did end”.
Ogni epoca ha i suoi folletti canta-storie: The Tallest Man On Earth è uno dei nostri. Una bella conferma che attraverserà con noi la primavera: del resto i canta-storie sono accompagnatori perfetti. Se ti piaceva prima, ti conquisterà di più; se ti piace il folk che stai aspettando a lasciarti cullare da questo disco?
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