The Subterranean Tapes: Gennaio 2017

Il mio appartamento a New York stava su Perry Street, cinque minuti a piedi dal White Horse. Ci andavo a sbronzarmi spesso, anche se non mi vedevano di buon occhio perché portavo la cravatta. La gente normale non voleva avere a che fare con me. Sono andato a sbevazzarci la sera in cui dovevo partire per San Juan. Phin Rollins, un mio vecchio collega, offriva i boccali di birra e io li scolavo cercando di ubriacarmi abbastanza per dormire in aereo. C’era anche Art Millick, il tassista più depravato di New York. Per non parlare di Duke Peterson, appena tornato dalle isole Vergini. Ho il vago ricordo di Peterson che mi allunga una lista di persone da andare a trovare appena arrivato a St. Thomas, ma la lista l’ho persa e quelli chi li ha più visti?

(H. S. Thompson, Cronache del rum)

Anno nuovo, sotterranei tutti da riscoprire. Punte di Messico e Missisipi, suoni del buio e di vicoli senza uscita, forze contrarie, in fondo, tutto il meglio che offre questo gennaio senza neve.

BOSNA DANÌ, Inner Shape, Toys for Kids

12 gennaio

Quello che Bosna Danì realizza in Inner Shape è un lungo processo creativo le cui evoluzioni si sciolgono continuamente a ogni sonorità. Come scegliere dal cartellone di un cinema, il suo primo album si apre con una tempestosa e ricca introduzione carpenteriana di B.O.T., componente dark e un po’ drone che ritorna in Lovotica, alternandosi alle atmosfere più acustiche ampliate dalla chitarra in fingerstyle di Blue Gravity e della dolce ballad che è Lucente. Due anime che si rincorrono in un campo di possibilità e rallentano, in qualche modo, la narrazione con il loro costante oscillare fra un estremo e l’altro. Ma è uno spaesamento denso e ricercato quello che si concentra in Modern Slaves, piccola parabola che restituisce la struttura completa di queste campagne immense dove perdere lo sguardo non appena la nebbia dà tregua.
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GOMMA, Тоска, V4V

17 gennaio

Alice scopre, Alice capisce, Alice ha perso e quando la rabbia si esaurisce in una parola rimane solo una malinconia che spezza. Tocka non lascia respiro, in qualsiasi modo lo si voglia leggere, se seguendo la storia di Alice o la propria. A una velocità inarrestabile i sentimenti si cristallizzano nell’attaccamento alle cose, per poi farsi già ricordi di cui aver paura. Doversi nascondere, se arriva la felicità, per stringerla o forse non doversi mostrare nella propria fragilità, teneri elefanti che si spaventano, in fondo, per cose microscopiche. La violenza musicale non serve più come sfogo se tutto intorno non cambia, l’oscurità non è fuori ma dentro le camere e le persone, arrendersi e scomparire, ma anche ribellarsi all’instabilità che ci vuole sofferenti. Una richiesta di attenzione che si ripete, quella di Alessandro, fatta di aerei di carta e capelli sugli occhi, non molto diversa dal necessario protrarsi dell’introduzione di Vicolo Spino, dichiarazione definitiva e sommessa sul buio, che non è che se lo impari a conoscere ti impensierisce di meno, soprattutto se te lo porti sempre in giro. Il pregio principale dei Gomma non è quello di aver ridato passione e vitalità a un genere sempre più nascosto, ma aver puntato gli occhi su di loro, e su di noi, una volta per tutte.
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ANTONIO DI MARTINOFABRIZIO CAMMARATA, Un mondo raro, Picicca

20 gennaio

C’è un legame che lega il Messico di Chavela Vargas alla Sicilia di Antonio Di Martino e Fabrizio Cammarata, si sente nell’aria di una chitarra al porto di Palermo come su quelle strade di Città del Messico, in cui una appena quattordicenne Chavela cantava per mantenersi dopo essersene andata dal Costa Rica. Confrontarsi con un simbolo che è diventata paese intero, dove arte e musica si sono unite indissolubilmente alla vita di chi l’ha creata, non può risolversi in un semplice omaggio. Davanti a una figura così complicata e sfaccettata, protagonista di quel Rinascimento culturale dell’America Latina degli inizi del novecento dove ha intrecciato il proprio destino artistico e amoroso con Frida Khalo, Un mondo raro reinterpreta i brani più densi della sua carriera, sfruttando una vicinanza più che artistica in grado di restituire la stessa malinconia anche nella resa in italiano, senza che la componente ranchera ne venga intaccata. Di Martino e Cammarata cercano di rimanere il più fedeli possibili all’originale, ricostruendo le melodie e la storia, (Non tornerò ) ma è proprio il modo di trattare la ritmicità che le conferisce nuovi impulsi, più moderni ma tutto sommato tradizionali. Una passione che allarga il tempo, come in pochi seppero fare, e che oggi torna a vivere, perché la poesia, anche quella tinta di tequila, non scompare mai.
Il naturale proseguimento di questo album è il libro Un mondo raro, Vita e incanto di Chavela Vargas, scritto dai due compositori a quattro mani, in uscita il 19 gennaio per La nave di Teseo.
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HAN, The Need to Belong, Street Mission Records / Pias

20 gennaio

The Need to Belong è un viaggio in un futuro malinconico e sintetico, sotto forma di echos e riverberi, fino a una dissoluzione del sensibile, dolce e profonda. Seguendo una direzione che accosta sonorità retrò-pop e avant-garde, fra i beats di M+A e le tonalità di How To Dress Well, Han frammenta e disseziona il genere, se stesso e il rapporto con gli altri, come determinante di ciò che è il mondo. Sono gli esiti più evidenti di Mixtape, questa specie di favola tinta di post-modernità, che segue l’eterea zeroseventwonine, più legata all’elettro pop contemporaneo e destinata a panorami diversi. Prodotto fra l’Italia e il North Carolina, il debutto di Han si concentra nei tessuti di Let’s Get Out of This Place dove si intravede più di qualche indicazione sul futuro e sulle capacità di darne seguito, figlia di un synth leggero, quasi umano, quasi blues. Passi raccolti nel suono bianco finale che anticipano la ghost track, ultima traccia vocale di una storia consumata troppo in fretta.
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HIDE VINCENT, S/t, I Make Records

27 gennaio

Le radici del suono di Hide Vincent nascono nel profondo di una terra dove le speranze di crescita si erano quasi del tutto dissolte. Albero centenario che sa piegarsi durante le folate di vento senza spezzarsi, si è cibato di Nick Drake, delle dilatazioni à la Bon Iver e del folk tradizionale delle campagne. Solo apparentemente grezzo, mostra i segni del tempo e delle lotte che lo hanno irrobustito, forte di un songwriting abile nell’attingere dalle proprie capacità e saperle valorizzare al meglio. Una sorta di malinconia cosciente riempie queste Blood Houses, la più classica dei pezzi di legno dell’intero album, che poi si riprendono in Things I Did Today, finalmente usciti dalla tempesta e pronti a rivedere dall’alto la città che riprende a scorrere, perché ogni perdita costituisce da sé un pretesto sufficiente per riempire certi vuoti. L’aggiunta di altre corde permettono al suono di impreziosirsi, scansare una certa tendenza alla ripetizione e alleggerirne la struttura che, altrimenti, rimarrebbe schiacciata dalla ritmicità con cui le parole di Hide Vincent scandiscono la melodia. Lo dimostra in Crave e in tutte le dieci piccole gemme che costituiscono questo debutto davvero notevole.
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VEIVECURA, ME+1, Rocketta Records

27 gennaio

Della bellezza del dream pop dei VeiveCura e della capacità di rendere estremamente immediata una composizione così particolare, si dovrebbe parlare molto di più. Questo Me+1 ne è l’ennesima dimostrazione, forse la definitiva, dopo quel Goodmorning Utopia che, nel 2014, aveva già dimostrato tanto. Le mani di Davide Iacono sono quelle di un bambino che manipola ogni cosa con estrema facilità, in una connessione libera fra pensieri e strumenti che riesce a coinvolgere tutti insieme. Kill Kids (Take Me Away) è solo un assaggio che non si ripete mai, ostinato com’è nel creare continuamente nuove dimensioni musicali, quando si ferma a respirare un attimo (Too Late) per poi ripartire in una nuova avventura (Sleepwalkers) e così di nuovo, senza sosta. Ma è una musica che ha il sapore di una prossimità celeste, più che di una lontananza, anche quando la drum machine prende il sopravvento lo fa in maniera delicata, lasciando segni di sé dappertutto. La parte vocale è, in fondo, fatta di quel tono e di quelle parole che ci rimandano ai momenti in cui ci sentivamo protetti da tutto, facendoci sentire di nuovo al caldo. Questo ME+1, è più di una coperta contro l’arrivo dei grandi freddi, tetrapharmakon da appuntarsi sul cuore.
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UNEPASSANTE, Seasonal Beast, Chic Paguro

27 gennaio

Il passaggio all’elettronica di Unepassante era stato già inaugurato dal precedente No Drama, in cui persistevano ancora i legami con la storia e lo stile più acustico di Giulia Sarno. Seasonal Beast, in questi termini, segna l’ultimo e definitivo passo verso il mondo della sperimentazione più contemporanea, solo così apparentemente distante dal songwriting classico. Ciò che lega questi brani, da We Are Nine The Discipline, è il tentativo di spingere le parole al limite, facendole interagire con un’elettronica sempre più estrema. Le loop station e il synth danno profondità a una nuova estetica meccanica e dark, in cui i testi tendono a dissolversi in favore di una commistione di generi e sentimentalità contrastanti. Tutto si raffredda, la voce in Sleep, la gentilezza in Be Kind to Me, gli avvenimenti quotidiani di Ordinary Stuff diventano come ostili, custodi di una loro natura nascosta. Unepassante, Dans son oeil, ciel livide où germe l’ouragan, / La douceur qui fascine et le plaisir qui tue.
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ERIN K, Little Torch, La Tempesta

27 gennaio

Trovano finalmente una collocazione definitiva le composizioni di Erin K, nel suo album d’esordio curato insieme ad Andrea Appino. Lo stile non è cambiato, semmai si è sviluppato ancora, rispetto ai brani che già avevano attirato l’attenzione dell’ambiente antifolk britannico e l’avevano portata in Italia per tantissime date. Proprio il nostro paese ritorna in Off to Bologna, ma anche in tanti degli aneddoti che compongono Little Torch, storie ironiche e lucide, riflessioni acustiche accompagnate da un uso saggio delle strumentazioni e dei musicisti che hanno contribuito a questo processo (fra cui Roy Paci, Enrico Gabrielli e parte degli Zen Circus). Fuori dal politically correct, I just Ate a Shit Assholio sono una ventata di sincerità in un ambiente che tende spesso a prendersi troppo sul serio, connotato naturale dell’antifolk degli ultimi anni, senza disdegnare contaminazioni più blues (Pay to Play) e pop (Coins). Non tradendo mai se stessa Erin Kleh porta nella sua valigia continue descrizioni di un mondo visto nei suoi aspetti più comuni ma non per questo banali, che lasciano un sorriso e si fanno scaldare dal sole.
Released tracks: Pay to Play | Coins | Your Face

N-A-I-V-E-S, S/t, La Peau

27 gennaio

È una dichiarazione di freschezza il debutto omonimo dei N-A-I-V-E-S, duo londinese che fa del proprio electro pop uno strumento di rottura nei confronti della saturazione che questo genere sta attraversando nell’ultimo periodo. Basta un ascolto a Crystal Clear per riconoscerne le potenzialità, figlio di un legame che mescola suoni tropicali agli MGMT dell’ultimo album, ma anche alla psichedelia imprevedibile dei Glass Animals e Ratatat. Ci troviamo davanti un prodotto divertente, concepito per un dancefloor che coinvolga in ogni aspetto i suoi ascoltatori. Non si tratta, però, di soluzioni scontate o che attingono solamente a quei bpm per cui muoversi diventa quasi un obbligo, c’è ricercatezza nei campionamenti e nei suoni naturali (W.I.G.O). La formula di selezione indie è efficace per la realizzazione di questa giungla in cui è impossibile stare fermi.
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MARYDOLLS, Tutto Bene, Autoproduzione

31 gennaio

Le sonorità come quelle dei Marydolls , che fino a qualche anno fa caratterizzavano il panorama indie italiano, si sono perse sotto svolte sempre più pop e meno radicali. Segno dei tempi o, solo, una nuova abitudine. Con Tutto Bene, invece, il gruppo bresciano sin da Voglio essere giovane si pone fortemente all’opposto, come alternativa rock alla Fine dei vent’anni di Francesco Motta, che pure per tanti anni li ha affiancati militando nei Criminal Jokers. Non è una scelta di chi vuole mettersi controcorrente e far cambiare rotta a tutti i costi questo trend, ma una rivendicazione critica di ciò che si è e si è stato, piena di affetto, con la stessa voglia di spaccare il palco di quando si usciva il martedì e si giravano i locali di tutta Italia. Necessità di un rock sincero e lineare, diretto al punto, più coraggioso che può. E se da Berlino sembra non succedere più nulla è forse perché c’è bisogno di una nuova forza, quella che i Marydolls per tanti anni hanno ancora da vendere.
Released tracks: Voglio essere giovane | Berlino

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