The Smile | A Light for Attracting Attention

 

…But he smile was too vast, it outflanked all / it was too tiny it slipper beetwen the atoms

The Smile, Ted Hughes

Senza alcun dubbio tra i dischi più attesi di questo 2022 di ripartenza per la scena musicale mondiale, A Light for Attracting Attention degli Smile è uscito lo scorso 13 maggio su etichetta XL Recordings e sia detto fin da subito non tradisce le – alte – aspettative. L’attesa del resto era inevitabile per un autentico supergruppo formato da Thom Yorke e Jonny Greenwood dei Radiohead e da Tom Skinner – tra le altre cose – dei Sons of Kemet. Un hype probabilmente non necessario – visti i nomi in gioco – eppure magistralmente costruito, fin dall’annuncio di Greenwood di aver lavorato a del materiale con Yorke durante i mesi del primo lockdown, quindi dopo l’esibizione al Live at Worthy Farm, organizzato dal Glastonbury Festival e trasmesso in pay-streaming un anno fa, infine attraverso i ben sei singoli fatti uscire in questi mesi.

Prima collaborazione al di fuori dei Radiohead per la coppia Yorke/Greenwood, A Light for Attracting Attention è quanto di più corposo potessero aspettarsi i fan della band di Oxford all’asciutto da quell’A Moon Shaped Pool targato ormai 2016. Non che in questi anni siano stati con le mani in mano: Yorke ha dato alle stampe due dischi – Anima il suo terzo lavoro solista e la colonna sonora del Suspiria di Guadagnino; Greenwood ha proseguito la sua attività di compositore da film con gemme quali The Phantom Thread, The Power of the Dog e Spencer. Del resto, se nel corso di più di un trentennio i Radiohead hanno sempre saputo mantenere un livello altissimo, gran parte del merito è dovuto proprio a una curiosità insaziabile che ha spinto i suoi membri in direzioni sempre diverse – per ascolti personali e per gli incontri che spesso hanno dato il la a nuove traiettorie da battere per la band.

La scintilla dietro questo nuovo disco è stata certamente la passione comune per l’afro-beat – da cui l’innesto di Skinner – ma A Light for Attracting Attention sorprende proprio per il modo in cui sa allontanarsi dalla sua matrice originaria per esplorare un paesaggio musicale decisamente più vario e più vasto.

Nelle tredici tracce che compongono l’album – per circa cinquantaquattro minuti di musica inedita – il terzetto spazia dal post punk a un math rock di estrema classe, senza naturalmente tralasciare quell’alt-rock cui la coppia ci ha abituati in questi anni. Insistiamo così tanto sulla coppia Yorke/Greenwood non soltanto perché mente creativa degli Smile, ma perché che ci sia un filo che leghi questo nuovo progetto alla storia dei Radiohead appare innegabile, non rappresentando di per sé un elemento negativo, tutt’altro.

La voce di Yorke – certamente – vera e propria colonna sonora degli anni duemila e, insieme, il modo così originale che Greenwood ha sviluppato tanto nelle sue sparute puntate alla chitarra, come nell’approccio a tutta la strumentazione elettronica e agli inserti di natura orchestrale – qui affidati alla London Contemporary Orchestra – sono un richiamo naturale alle sonorità dei Radiohead, eppure appare allo stesso tempo chiaro come, di là dall’apporto di Skinner – non solo figlio del jazz funk dei Sons of Kemet ma immerso completamente dentro tutta una scena molto ampia che va dall’elettronica di Floating Points e Matthew Herbert al rapper britannico Kano – in ogni istante le radici comuni servano solo da canovaccio sul quale improvvisare nuove direzioni verso cui spingere la loro musica alla ricerca della costruzione di uno stile personale e riconoscibile.

A Light for Attracting Attention ha dalla sua soprattutto l’impronta della necessità e dell’immediatezza. Certo, è facile dirlo ex post rischiando di cadere nello stereotipo ma i side project – quando eccellenti come in questo caso – si portano dietro proprio questo: il recupero di una certa leggerezza ché, di là dalla qualità del lavoro e delle registrazioni – è stato prodotto e mixato da Nigel Godrich e masterizzato da Bob Ludwig – è altrettanto evidente essere figlia di una libertà e di una minore pressione che un gruppo come i Radiohead certamente non possono evitare.

The Same – che apre il disco – è l’unico pezzo dove Greenwood e Yorke suonano da soli.  Con il suo incedere sintetico/cardiaco e la sua voce di speranza dentro il caos globale – We don’t need to fight / Look towards the light – è almeno in parte il “kid A” che ritorna, sospeso dentro una cifra che sarà quella di tutto il disco, costruito su una sorta di dicotomia – ma è più opportuno parlare di dialogo – tra il mondo contemporaneo sempre più schiavo della tecnologia che ha prodotto e una sorta di mondo altro, laterale, liminale, animato da una serenità – solo apparentemente – irraggiungibile.

Sul piano musicale – come anticipato – A Light for Attracting Attention si nutre delle molteplici anime e interessi dei protagonisti che gli hanno dato vita. L’afro-beat, il ritmo sostenuto del basso e un’intera sezione di jazzisti britannici – Byron Wallen, Theon e Nathaniel Cross, Chelsea Carmichael, Robert Stillman e Jason Yarde – sorreggono un pezzo perfetto come The Smoke che è rappresentativo della natura del disco: pur partendo con un ritmo inequivocabile, poco a poco il pezzo deraglia finendo col diventare un Fela Kuti sotto benzodiazepine. Dentro lo stesso mood si collocano altri brani come The Opposite ma nulla resta immutato per più di qualche secondo in questo disco, tutto è contaminato, smontato, corrotto, alterato dall’ingresso continuo di atmosfere differenti.

Pana-vision, con il suo piano che fa molto Amnesiac, il tappeto zuccheroso di Speech-Bubbles, la morbida ed evocativa Open the Floodgates, beneficiano della voce di Yorke, di quel suo modo di trasportare il canto dentro un universo cinematico che evoca paesaggi: ora rarefatti, ora rotolanti su violentissimi piani inclinati.

Una delle canzoni più belle di questo lavoro è un pezzo di purissimo post-punk, quella You will Never Work in Television – dove Yorke cita il bunga bunga di berlusconiana memoria e si scaglia, con chiare citazioni, verso le dinamiche malsane del potere maschile. In pezzi come questo l’attitudine di Yorke resta fedele alla sua esperienza artistica: quella di un profeta distopico le cui ansie sono il riflesso delle distorsioni del mondo contemporaneo. Un gioco di specchi e rimandi in cui cantare il malessere, aggrapparsi quasi a ciò che nel mondo è stortura, sembra essere l’unica strada per sfogare la nevrosi dell’uomo del terzo millennio.

Ma, come detto, non c’è spazio né tempo in A Light for Attracting Attention per linee di demarcazione nette, tutt’altro. In un istante un’atmosfera si scioglie nell’altra. La libertà è certamente tra i pregi più evidenti di questo disco, che finisce col suonare come un lavoro estremamente vivace pur nel suo collocarsi dentro un solco non avanguardistico o di rottura, a dimostrazione che una certa freschezza nelle strutture dei pezzi – per una buona volta prima ancora che nei suoni – possa essere messa naturalmente al servizio di un mondo che resta pop.

If this is just a bad moment / And we are fumbling around / But we won’t get caught like that / Soldiers on our backs / We won’t get caught like that / I talk to the face in the mirror / But he can’t get through / I said, “It’s time that you deliver / We see through you”

Se è nella centrale Thin Thing che sembra quasi realizzarsi la sintesi di tutte le spinte che animano questo lavoro – tempi dispari, fughe improvvise – va detto che se esiste un brano che da solo vale l’intero disco, allora questo è certamente Free In The Knowledge che sta lì a ricordarci, ancora una volta, la grandezza dei Yorke e Greenwood: è una canzone immediata e dolcissima, che rispolvera una chitarra acustica di gilmouriana memoria come non si sentiva dai tempi di Fake Plastic Trees per innestare qui e lì bordoni nebulosi. Un brano che racconta molto di un disco sospeso tra passato e futuro, e che sembra guardare indietro ma senza nostalgia, semplicemente per andare a recuperare ciò che di bello è rimasto dentro di (noi) loro per portarlo in una nuova avventura.

Non sappiamo quale futuro ci sarà per gli Smile, se diventeranno un’abitudine o se – come accadde per gli Atoms For Peace di Yorke e Flea – saranno soltanto una tappa lungo il corso di altri progetti. Quello che è certo è che quest’estate il trio sarà in Italia per ben cinque date, tutte a luglio: il 14 a Milano, il 15 a Ferrara, il 17 a Macerata, il 18 a Roma e infine il 20 a Taormina. E per un gruppo che, già nelle tracce di un disco, sembra aver lasciato i segni di una creatività ancora più anarchica, l’esperienza di vederli suonare dal vivo è certamente un’occasione da non lasciarsi scappare.

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