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30/06/13
Auditorium Parco della Musica, Roma
La versione di Sal’
Nell’autunno del 2008 ho fatto il mio primo colloquio di lavoro. Ero a Torino e per stemperare la tensione, in una fredda giornata, mi rifugiai nella Feltrinelli del centro alla ricerca di qualche disco da acquistare. Proprio in quel momento una telefonata di Gio mi consigliava di comprare un disco a caso di un gruppo chiamato The National. Sfogliai i cd disponibili e una copertina scura dall’aria retrò catturò la mia attenzione. “Boxer” è stato per i mesi e gli anni a venire la perfetta colonna sonora delle mie immaginarie passeggiate notturne per le vie di New York. Qualche anno dopo sarebbe uscito “High Violet” e insieme saremmo volati a Milano per vederli dal vivo all’Alcatraz. Erano gli inizi di quest’avventura chiamata L’indiepentente e il primo live report del giornale fu proprio il timido resoconto di quel concerto (http://lindiependente.it/z2C4r). Da allora altre due volte ho incrociato la loro strada. L’ultima volta nella bella cornice dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, con le emozioni che si rinnovano, si amplificano e si condividono, sempre con più persone, dall’amore agli amici sempre più numerosi, quelli che sai già che saranno lì e quelli che incontri lungo il cammino, un po’ per caso. E’ un po’ una carovana la musica, quando passa da qualche parte fa sempre salire a bordo qualcuno di nuovo, lasciandoti nella convinzione che il prossimo viaggio partirà ancora con più mani da stringere. L’altra sera questa magica carovana ha fatto tappa alla cavea della struttura di Renzo Piano, in una data sold out che ci si aspettava da tempo, dal successo della data ferrarese di due estati fa.
Il grande palco della rassegna Luglio suona Bene è ancora illuminato dalla luce del sole quando la band americana, in formazione a 7 (come consuetudine è accompagnata da due fiati), sbuca dalle retrovie e prende postazione: il ritmo sincopato e incalzante di Squalor Victoria apre inaspettatamente il concerto. L’inizio è un po’ in sordina per i nostri, che hanno bisogno di qualche brano per carburare a pieno, ma l’emozione del pubblico è piena: c’è chi canta a menadito ogni singola parola e chi, preso dall’emozione, preferisce starsene semplicemente ad ascoltare. I brani del nuovo album entrano in scena: I Should Live in Salt prepara il mood, ma Don’t Swallow the Cap lo consolida e trafigge, chiarendo a tutti che non si può restare troppo seduti durante un concerto dei National, che si rischia sì di godere di tutte le sfumature del suono, ma di perderne in coinvolgimento. Si sta stretti mentre la pressante batteria introduce una straziante Bloodbuzz Ohio, si sta così stretti che il primo istinto è quello di alzarsi, sebbene rimanendo al proprio posto, perchè anche quello è un modo per partecipare e compatire. L’epica Mistaken For Strangers e la fumosa Demons accompagnano i timidi tentativi di abbandonare le sedie, andati a vuoto per colpa di una security un po’ troppo preoccupata. Ma è su Sea Of Love sotto incitazione di un Matt che tracanna vino bianco come fosse acqua minerale, che si rompono le righe e tutti si trovano davanti all’immenso palco circolare. E’ un piacere per i sensi sentirsi finalmente più coinvolti dalla musica della band, che avverte maggiormente il calore e lo restituisce in termini di qualità dell’esibizione. Si rimane estasiati a vedere come la loro aura così composta e malinconica su disco, venga stemperata dal carisma del loro leader, che alterna momenti di grande emozione incollato al microfono, come a confessarsi, a momenti in cui si agita in giro per il palco (e non solo). E’ trascinante vederlo sbattersi, rincorrere le prime file, costringerle a partecipare ed emozionarsi allo stesso tempo. La scaletta pesca a mani libere dagli ultimi due album, rendendo “High Violet” e “Trouble Will Find Me” i veri protagonisti del concerto ed è così che si inseguono una sempre emozionante Conversation 16 e una toccante I Need My Girl. Intenso è il tuffo nel passato con la delicata Baby We’ll Be Fine, preludio alla sfuriata devastante di Abel, che vedrà i gemelli Dessner portare le loro chitarre sferzanti fino ai lembi estremi del palco. Il live sfila via impeccabile, con emozioni forti e decise, lo dimostra Slow Show accolta con entusiasmo, perchè probabilmente inaspettata (non era presente nelle precedenti scalette del tour) e quel capolavoro di raffinatezza che è Pink Rabbits. Ma è sulle finali About Today con il suo letale arpeggio di chitarra e il cantato biascicato e la languida Fake Empire che è assai difficile frenare la commozione. I ragazzi abbandonano il palco, ma sappiamo che è solo per qualche minuto, devono riprendersi e farci riprendere dal pieno di emozioni appena subito.
Il bis parte un po’ moscio, probabilmemente perchè la scelta di Heavenfaced per battezzare l’encore non è accezzatissima. Con Humiliation il tiro si aggiusta, ma il vero e proprio climax si raggiunge nella rabbiosa e sublime Mr November, che vede Matt lanciarsi in mezzo al pubblico e quasi aggrapparsi alla galleria della cavea. Un finale col botto, emozionante, straziante e allo stesso tempo intimo con la più morbida e composta esecuzione di Terrible Love.
L’abbraccio caldo della versione unplugged di Vanderlyle Crybaby Geeks, eseguita da tutta la band in punta di palco con gli strumenti staccati chiude la data romana, come un caldo abbraccio dal quale non riusciremo facilmente a liberarci.
Un concerto enorme, da portare per sempre dentro di noi.
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01/07/13
Ippodromo del Galoppo, Milano
La versione di Lidia
Quando arriviamo all’Ippodromo di San Siro, sede del City Sound Festival, ho ancora in mente il consiglio di chi ha scritto prima. “Portati i fazzoletti” recita un messaggio che mi fa ben sperare.
Così, pronta a darmi in pasto alle emozioni, un po’ meno alle zanzare che sferreranno indisturbate il loro attacco per tutta la serata, raggiungo il sottopalco scansando magliette a righe, barbe, capelli colorati e volti con qualche ruga di troppo. C’è ancora la luce sopra le nostre teste quando il cantautore siciliano Colapesce lascia il palco a quello che si fa veramente fatica a definire semplicemente guest, nonostante il “very special” indicato sui manifesti.
Quello che piomba davanti ai nostri occhi è un mito in carne ed ossa, che è stato con Morrissey la seconda colonna portante della leggenda Smiths, un chitarrista straordinario che ancora oggi detta lezioni di stile e rock’n’roll, “Johnny fuckin’ Marr“.
Un’ora in cui quello che chiameremmo ragazzino se non fosse per la tinta troppo scura a tradire la sua non più giovane età, alterna i pezzi più belli dell’ultimo “The messenger“, con la title track a scaldare gli animi insieme a “Generate! Generate!”, con i pezzi più incredibili che hanno reso quegli anni 80 immuni da qualsiasi pregiudizio a venire.
Così bocca e cuori intonano “There is a light that never goes out”, “How soon is now?”, “Bigmouth strikes again” con una dedica “a tutti quelli che sono qui e a nessun altro“. Generoso Marr, più del suo ex collega col ciuffo e col broncio che, durante il suo ultimo tour italiano, si è divertito ad escludere dalla scaletta alcuni tra i loro pezzi più belli. “Who is Morrissey?” grida addirittura qualcuno dal pubblico.
Così Marr saluta e ringrazia i presenti, lasciando il palco al gruppo più inglese d’America, i The National. Un altro modo di intendere lo show, un’attitudine diversa, meno rock’n’roll e più romantica, ma tra i due c’è solo un oceano a separare due epoche così lontane eppure così vicine per il modo di intendere la musica: una catarsi dal male di vivere.
Così il tenebroso Matt Berninger, cantante della band, salirà sul palco per attaccarsi al microfono che non lascerà quasi mai, tranne che per sorseggiare gli innumerevoli bicchieri di vino, in una posa che non può non riportare alla mente Ian Curtis. Così simili nelle loro divise nere, nella voce che sembra provenire da chissà quali tenebre, così simili nel cantare il dolore, quello vero-vissuto-provato, senza pose, né finzioni.
Sad song for dirty lovers, ad occhi chiusi.
La scaletta pesca equamente tra i brani del nuovo lavoro, “Trouble will find me” e il loro passato. Tra le altre:“I should live in salt”, “Bloodbuzz Ohio”, “Graceless”, “All the wine”, “Afraid of everyone”, “Mr November”, “Fake Empire” e la meravigliosa “England”. Memorabile “Squalor Victoria” in cui per la prima volta s’incontrano le loro chitarre con quelle di Marr: un connubio perfetto.
All’ex Smiths dedicano la bellissima “Demons”, poi Matt regala brividi e pelle d’oca con “I Need My Girl”, “a song about missing someone”.
E’ un crescendo di emozioni, tutte vissute dall’interno, che però poi trovano il modo di esplodere: Matt rompe la bolla di sapone nella quale si era rifugiato fino ad ora e sulle note di “Terrible Love” si lancia tra il pubblico cercando quel calore umano necessario alla fine di ogni viaggio nelle viscere del proprio dolore.
E così, su una “Vanderlyle Crybaby Geeks” quasi cantata a cappella, scende definitivamente la notte sulle nostre teste e nei nostri cuori spezzati, ed è proprio lì, tra quelle crepe, che ritroviamo noi stessi, “all the very best of us”.
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Si ringrazia Ila Sonica per il contributo fotografico.
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Setlist Roma:
- Squalor Victoria
- I Should Live in Salt
- Don’t Swallow the Cap
- Bloodbuzz Ohio
- Mistaken For Strangers
- Demons
- Sea Of Love
- Afraid Of Everyone
- Conversation 16
- I Need My Girl
- This is The Last Time
- Baby, We’ll be Fine
- Abel
- Slow Show
- Pink Rabbits
- Sorrow
- Graceless
- About Today
- Fake Empire
Encore:
- Heavenfaced
- Humiliation
- Mr November
- Terrible Love
- Vanderlyle Crybaby Geeks (acustica)
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Setlist Milano:
- I Should Live in Salt
- Don’t Swallow the Cap
- Bloodbuzz Ohio
- Secret Meeting
- Sea Of Love
- Demons
- Afraid Of Everyone
- Conversation 16
- Squalor Victoria
- I Need My Girl
- This is The Last Time
- All The Wine
- Abel
- Apartment Story
- Pink Rabbits
- England
- Graceless
- About Today
- Fake Empire
Encore:
- Runaway
- Humiliation
- Mr November
- Terrible Love
- Vanderlyle Crybaby Geeks (acustica)
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