È stata una Torino innevata ad accogliere i KVB per la terza ed ultima data italiana del loro tour, dopo Milano e Roma. Fuori dall’Astoria, club situato nel centro della movida cittadina, c’è stato giusto il tempo per una sigaretta frettolosa tra cappucci scuri calati fin sopra gli occhi prima di scendere nel “basement”, ventre palpitante del locale.
Il duo darkwave d’oltremanica ha sfoderato una performance breve ma intensa, che ha avuto appropriata collocazione nell’atmosfera underground della saletta gremita, grazie anche ad una buona acustica, condizione necessaria per apprezzare le molteplici sfumature del loro sound. Materializzatisi sul palco all’improvviso, Nicholas Wood (chitarra e voce) e Kat Day (synth e drum machine) si sono immediatamente trincerati dietro i loro strumenti, quasi a volersi proteggere dal pubblico, salvo poi aggredirlo con una miscela di suoni psichedelici a tinte industrial di forte impatto, condita da derive piacevolmente noise.
Immagini digitali ipnotiche e vagamente inquietanti proiettate dietro al palco (curate personalmente da Kat, ex studentessa di Belle Arti) hanno fatto da sfondo ad un set pensato appositamente per promuovere il loro ultimo album – Of Desire – uscito proprio in concomitanza con la presenza della coppia in Italia. Ad un inizio tosto, in cui Wood, imbracciata la chitarra da shoegazer come fosse un’arma, ha letteralmente scaraventato in sala la potenza delle nuove tracce come White Walls, Lower Depths e Never Enough, è seguita una parte centrale in cui a farla da padrona sono state melodie più sincopate e dark, come in Night Games, e le gelide correnti emanate dalle tastiere di Day, in Awake e Unknown.
In mezzo c’è stato ancora spazio per il singolo In deep, belva oscura col cuore pulsante di battito motorik e la pelle luccicante di accordi riverberati, e per qualche pezzo estratto dai vecchi lavori – Hands e Shadows su tutti – con la voce suadente di Wood a prendere per mano il pubblico; ma la perla finale è decisamente stata la cover di Simpathy for the Devil dei Rolling Stones (estratta da una compilation edita da Cleopatra Records), stravolta con maestria attraverso filtri psych, minimale ed energica allo stesso tempo.
L’atteggiamento schivo ed una scarsa inclinazione alla comunicativa da parte dei due inglesi non pare scalfisca in alcun modo la loro capacità di coinvolgere il pubblico: l’abilità con cui, concentrati, danno vita ad atmosfere plumbee e corrosive di ritmata alienazione crea una distaccata intimità, ossimoro che affascina e attrae. I KVB non sono certamente animali da palco: così a nessuno è parso troppo strano quando, quasi senza un saluto, si sono volatilizzati, eterei, così come erano apparsi poco meno di un’ora prima, gradita epifania di un altrimenti ordinario mercoledì sera.
Fotografie di Alessia Naccarato