The Holy Grail è l’EP di Bill Callahan che porta traccia e memoria di una registrazione alla Peel Session datata 10 dicembre 2001. Appena uscito per Drag City, il breve EP è l’ascolto perfetto per accompagnare l’autunno a sfinire in una morbida apocalisse di suoni. Sono passati 23 anni dalla sessione di registrazioni, all’epoca Callahan era ancora Smog, minimalista, istintivo, aveva attraversato i Novanta con il suo cantautorato lo-fi e i suoi dischi trascendenti.
Prima che avvenisse la metamorfosi in Bill Callahan, prima che ci cogliesse la callahanite – dipendenza da suoni, voce baritonale, euritmiche ripetizioni, dell’oscuro cantore – eravamo perduti nel bathysphere di Smog, ci nuotavamo dentro alla ricerca di anelli immaginifici e corde di chitarra. In The Holy Grail lo spirito selvaggio e puro di Smog è intatto, ed è bellissimo ritrovarlo, seppure per il tempo di quattro canzoni riemerse dall’inizio dei Duemila.
Siamo negli studi di Maida Vale della BBC dove si tengono le Peel Sessions, Smog ha da poco rilasciato il nuovo album Rain on Lens per la Drag City Records. Negli anni l’etichetta è rimasta la stessa, Callahan non l’ha mai cambiata, è rimasto fedele allo spirito indipendente della Drag City da Chicago; dicono che si sia boicottato, che se avesse saltato o fatto più concerti, allora la callahanite sarebbe più diffusa, ma che importanza ha. La sua musica resta un’esperienza di trascendenza, e questo EP è un’ulteriore prova di quel talento abbagliante che negli anni si è decantato in modo unico senza mai snaturarsi.
Dal suo lembo di terra bianca e malto, Smog abbraccia la chitarra e suona per l’avvenire nella sua maniera oscura e diretta, da rock bottom riser, da ripetitore di versi. Le quattro canzoni registrate in sessione radiofonica sono tutte suonate dal vivo, in presa diretta: non c’è artificio e finzione. Callahan ha parlato dell’EP come di una capsula del tempo che sfugge all’eternità: è qui che ha trovato casa “la migliore versione mai registrata di Dirty Pants”.
Beautiful Child, il pezzo di attacco, è una cover dei Fleetwood Mac che si potrebbe ripetere all’infinito: cahallanite al suo stato puro. Sappiamo che Bill Callahan è anche un magnifico interprete, che sa piegare le canzoni al suo tono (fossero anche di Leonard Cohen), e così le due cover contenute nell’EP (l’altra è Jesus dei Velvet Underground) sono due splendide avventure nel mondo di un cantautore infestato da meraviglia e ardore, un figlio del sogno a bassa definizione.
Arpeggi e accelerazioni, intagli e catarsi minimali: The Holy Grail scorre come una dolce ossessione. Dentro c’è il sangue e l’estasi, il Santo Graal di Bill Callahan che noi andiamo a ritrovare come cavalieri fantastici alla ricerca di autentici.