E già, solo con il titolo, ci siamo giocati gran parte di quel mondo che vede nello scrittore americano, diventato cult per il suo postmodernismo violento, un vate nella descrizione delle degenerazioni del potere e del successo, da cui The Deleted non è escluso. Ciò che cercheremo di fare in questo articolo, purtroppo per coloro che stanno già affilando le tastiere, non sarà demonizzare la poetica e il valore letterario dell’opera di Bret Easton Ellis, sprovvisti come siamo dell’illuminazione alla morale pudica che si richiede in questi casi, ma nemmeno di elogiarne il genio a priori, come una certa sfera critica tende a fare in nome della prudenza quando si toccano figure quasi intoccabili per un ambiente sempre più orfano di punti di riferimento. Valutare, nella sua sostanza, il debutto registico di Ellis (SENZA SPOILER) per la portata delle sue implicazioni visive e tendenzialmente (a)moraleggianti, fuori e dentro la carriera dell’autore americano. Mai come oggi, dopo aver divorato The Deleted, ci sembra che la missione scardinante messa in atto da Patrick Bateman in American Psycho abbia raggiunto il suo scopo. Se le scene di sessualità hardcore al limite dello snuff e le vite di puri istinti dei suoi personaggi non ci sconvolgono più come fece Bateman è perché la sua scena finale si è letteralmente realizzata, trascinando anche noi nella sua spirale di violenza, insaziabili divoratori dell’apparato fiction da avere abbandonato i limiti della decenza e rispettabilità. Non ci sono servite le motoseghe o i martelli per abbattere i limiti della nostra moralità e non disgustarci più davanti a certe scene, ci sono bastati i programmi come The Hills a trasformare The Deleted in una degenerazione malata e vaporwave dei suoi protagonisti.
Quella di The Deleted non è la prima esperienza di Ellis come sceneggiatore, già alle prese con la scrittura del softporn The Kenyons con la ormai redenta Lindsay Lohan nel suo periodo Britney, e James Deen, di Paul Schrader a cui molto deve l’estetica al rallentatore del suo esordio come regista. The Deleted è una serie tv di otto episodi, ma è come se fosse un piccolo film e ogni puntata una piccola clip estratta, la cui interruzione serve per il colpo di scena finale, una quantità di tensioni a ripetizione che in un elemento unitario avrebbe intaccato il tentativo di avere una trama realistica. Se ci riferiamo a trama realistica non è perché lo riteniamo uno dei dogmi inattaccabili nell’equazione che rende un film un’opera di qualità, ma perché è una trama, quella di The Deleted, che ha bisogno di un forte attaccamento alla nostra quotidianità per poter raggiungere il suo scopo e sfruttare la genialità del suo autore. Ci ritroviamo, così, immediatamente catapultati nell’ammirazione di quell’ambiente fatto di porte a vetri trasparenti e di corpi bellissimi che si accoppiano, di chi ha tutto ma niente da nascondere, come i quartieri dei palazzi del potere, una delle classiche e più dirette accuse metaforiche che Ellis fa all’ipernarcisismo contemporaneo, passato dallo specchio di Bateman, di chi si guardava da solo nell’avere il controllo nel momento d’istinto animale, alla necessità che questo controllo venga manifestato agli altri. Un’immagine che non si discosta troppo, se non per estremismo, dal nostro mondo, dove Instagram e Facebook sono piattaforme in cui un certo tipo di voyeurismo ribaltato si sta affermando, sedi pubbliche in cui il privato si è imposto come discriminante di valore e necessità di approvazione, l’effetto del Nosedive di Black Mirror per essere chiari, in cui la dipendenza da apprezzamento social era rappresentato da una app in cui gli utenti davano un voto agli altri, e questo ne determinava l’accesso a determinate cerchie interpersonali.
Sotto all’immagine di questi ragazzi, giovani, belli e ricchi, e alle loro avventure erotico-sentimentali, si nasconde la vera trama, incomprensibile per i primi tre episodi per la quantità di informazioni e intrecci che prevede fra i personaggi e il motivo per cui tutti si preoccupino così tanto del loro fisico e le donne facciano sesso sempre con le mutande mentre gli uomini no, comprese anche le situazioni omosessuali. Non ci è chiaro, e abbiamo provato a dissezionare personaggi e dialoghi, quale sia il motivo di questa scelta, se si tratti un pretenzioso tocco registico, una scelta delle attrici o possieda un significato particolare, ma le storie di Ellis si basano su piccole deviazioni necessarie per la comprensione del tutto, o forse restituire quella componente casualitstica degli eventi. Eppure un legame fra i personaggi c’è eccome, come il fatto che nessuno parli del proprio passato e di ciò che li unisce. Nella fatica di comprendere i nomi, le loro storie si intrecciano fra tradimenti, snuff, prostituzioni, ansie e dipendenze. La cosa sconcertante è che tutte queste informazioni individuali sono in secondo piano rispetto a ciò che veramente li unisce. È l’effetto The Hills che sfrutta Ellis, stuzzica la curiosità dei suoi spettatori cercando di farli entrare direttamente dentro alla vita dei personaggi come requisito fondamentale per trasformarli in consumatori della storia, costringerli a proseguire immediatamente alla puntata successiva, sfidandoli a chi è più astuto, se tu che l’hai capito subito che Agatha era la tossichella del gruppo o ha vinto lui che ti ha fatto vedere tutte le puntate in una sera per averne conferma. Puntare sulle inutili ansie collegiali dei suoi giovani protagonisti per incastrarci in un disegno più ampio. Colpi da maestro che non hanno bisogno di giustificazioni per come si compiono, anche perché se guardi la trama nel suo intero non c’è niente di clamoroso, ma vale il discorso di prima, repetita iuvant. (…)
Ci troviamo, come dicevamo, in questo mondo di modelli da un oscuro passato, intenti a nascondersi da un’organizzazione (per restare sul vago) di cui non si sa nulla, se siano colpevoli loro o chi li cerca. Tutto sembra brillare attorno ai loro corpi apollinei, ancora una volta un riferimento alla costituzione di una nuova mitologia attorno falsi dei, luminosità che di certo non corrisponde alla loro stabilità mentale, fatta di ansie, comportamenti borderline tendenti all’emo e incapacità nell’avere sensazioni che cercano di provare costantemente sfruttando i loro estremi. Una esasperata distopia che rende i suoi personaggi glaciali, che deve di più a Love di Gaspar Noè e Neon Demon di Nicolas Winding Refn che alle descrizioni di Don De Lillo. Per narrare tutte queste situazioni Ellis sfrutta un campo larghissimo da cui far partire le inquadrature, sfibrando le parole per lasciare parlare le immagini con una colonna vaporwave devastante, puntuale a comparire in ogni momento critico, una specie di moderna esecuzione musicale che anticipa l’arrivo del coltello di Psycho. Manca, però, quel colpo d’artista in grado di smarcarlo dai manierismi di Von Trier o dalle dilatazioni refniane, sintomatiche, però, di uno stile che cerca di dare quella paradossale ambivalenza su chi sta realmente guardando chi, se noi o loro.
Se stavate cercando una serie tv sconvolgente quella non è certo The Deleted. Il suo pregio non sta in ciò che è, ma in ciò che sfrutta per piacere e, soprattutto, piacersi. Lo sviluppo delle storie sentimentali è la stessa arma che ha portato programmi come The Hills a essere rinnovati e mandati a ripetizione. L’estremismo delle immagini non ci costringe più a cambiare canale, d’altronde non lo fa più anche la qualità scadente anzi, per controverso, più una cosa ci disgusta più le diamo attenzione, ed è la dichiarazione più forte dell’intera serie. Ci dà la possibilità, insomma, di spiare dentro la camera accanto, allo stesso modo di quando si cerca il profilo Facebook di una persona ancora prima di conoscerla. Ed è questo a cui Ellis ci mette davanti, alla degenerazione del nostro interesse verso le sfere più private degli altri, più drammatica della necessità di violenza e di scardinare le apparenze di Bateman, crepuscolo finale di una cultura che punta alla creazione di mostri insensibili e senza rimorsi, per poi abbandonarli, senza redenzione.
I protagonisti di The Deleted non sono quindi la versione millenials di Patrick Bateman, non condividono gli stessi mostri interiori. Sono un momento di euforia estrema che agisce istintivamente, non solo a livello sessuale. La ricerca del piacere si trasforma in crisi di dipendenza da affetti e sicurezze di individui, in fondo, abbandonati.