Affrontare i Beatles e l’industria discografica di inizio anni Sessanta è sempre controverso: ci proveremo senza alcune possibilità di riuscita. Grazie del tempo
Chi di noi non è cresciuto anche con i Beatles? Al di là della vecchia diatriba (che lasciamo alle riviste patinate) con i viscerali Rolling Stones, melodicamente i Fab Four hanno avuto trovate geniali (non solo la splendida Hey Jude, ma incantevoli pezzi come Here, there and everywhere, A day in the life, la psichedelica Strawberry Fields Forever, per non parlare della perla harrisoniana Something). L’impero Lennon/McCartney in doppia firma ha lasciato un segno nella storia della musica e nelle possibilità melodiche, ancora oggi nella nostra memoria risuonano le canzoni dei Beatles, persino le peggiori (Yellow Submarine), o cose che – ammettiamolo – ci vergogneremmo a canticchiare non fossero dei Beatles (Love me do, Devil in the heart). E poi ci sono i pezzi che ci piacciono nonostante tutto, anche se somigliano a scarne canzonette pop (che nei Sessanta erano veri e propri sassi lanciati contro le orecchie), come You’ve got to hide your love away, con testi altrettanto basilari come Yesterday (per l’amor del cielo, non prendete così sul serio le cose scritte sulle webzine tanto da esasperarvi). A dirla tutta non ci sentiamo mai davvero a totale agio ad ascoltare l’intera discografia dei Beatles, mentre non abbiamo problemi con quella dei vari Velvet Underground e Bob Dylan: qualcosa piace di più o di meno, ma non buttiamo via niente, non facciamo battute sulla qualità di un batterista che non abbiamo mai sentito suonare dal vivo trasformandolo in un piccolo soggetto di sfottò pubblico, non proviamo imbarazzo a guardare vecchi video con ragazzine urlanti e scalmanate che hanno aperto la strada a teenager aspiranti groupie, non ci chiediamo perché mai a inizio carriera avessero questo stile ingessato con tanto di caschetto. E poi la conosciamo tutti la storia di come sia entrata l’industria musicale nella vita della boy band di Liverpool, come siano stati incoraggiati a creare una specie di brand, taglio e vestiario compresi nel pacchetto (cose che a Lennon stavano strettissime): quattro prodotti musicali perfetti per il mercato pop dell’epoca in piena ascesa. Non è che quello che si fa anche oggi con i talent show? (già, ma i Beatles le canzoni se le scrivevano da soli, ovvero affrontavano i propri fantasmi privati, che poi è quello che deve fare ogni musicista creativo che si rispetti)
L’industria musicale e i suoi prodotti
Qualcuno è stato meno fortunato nell’industria musicale di quegli anni. Alla fine dei Cinquanta Chuck Berry (che è anche conosciuto come il padre putativo del rock) viene arrestato dopo aver avuto rapporti sessuali con una minorenne: la sua carriera non era certo stata fulminante, prima di incidere bazzicava per locali suonando come secondo lavoro, poi la scoperta improvvisa e successi come Roll Over Beethoven (di cui i Beatles incideranno una cover tributo). Da un lato il rock nero viscerale che metterà al mondo tanti figli neri e bianchi, dall’altro il pop che prova la svolta rock dei ragazzi bianchi di Liverpool. John Lennon era un ammiratore tanto di Chuck Berry quanto di Elvis Presley sin da ragazzino, ma i due riferimenti non potevano essere più diversi. L’acclamato Re del Rock Presley era un prodotto dell’America dei ’50 che provava a esportare il rock in modo commerciale, non autore di pezzi ma interprete. Dall’altro lato Berry era tutt’altro che il classico prodotto confezionato dalle etichette commerciali, si instillava di più nella tradizione dei musicisti folk americani che diedero vita al blues, al rock, in modo autentico. E i Beatles allora dove li mettiamo? Probabilmente a metà strada. La loro discografia ha una sorta di grande discrepanza tra due macro-periodi, e potremmo indicare Rubber Soul come l’album che si colloca esattamente al centro della transizione tra un percorso e un altro.
Please Please Me (l’album d’esordio del 1963, che contiene portenti come il singolo Love me do e cover come Twist and Shout), With The Beatles, A Hard Day’s Night, Beatles For Sale, Help!, non sono ancora i dischi che ci conquistano per intero, nelle produzioni di quegli stessi anni probabilmente troviamo qualcosa di altrettanto forte e innovativo nella You Really Got Me dei Kinks, o nei pezzi degli Animals. Eppure c’è già il grido disperato lennoniano di Help! e un’incalzante Ticket To Ride, le melodie fendenti di All my loving e If I Fell nella discografia dei 4 da Liverpool. Quello che manca sembra essere piuttosto un po’ di autentico coraggio da cazzeggio, cosa che in Rubber Soul appare più evidente anche in pezzi innocui come Girl e Michelle. Sembra quasi che i Beatles da qui in poi abbiano cercato di emanciparsi dal loro pubblico, dal loro mito, dalle etichette in cui sembravano ingabbiati, provando a metà strada a tendere la mano verso il grande pubblico con cadute a picco come Ob-La-Di Ob-La-Da e ritornando su con sperimentazioni come la Eleanor Rigby di Revolver. La trasognata I’m Only Sleeping ci sussurra questa metamorfosi e conferma il talento nella ricerca della melodia della band. Con Revolver e soprattutto Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band la metamorfosi è completa. Non parliamo solo dell’impatto nell’immaginario che hanno avuto i pezzi e persino le copertine di quei dischi, ma di dischi da ascoltare in un’immersione totale. Sgt. Pepper’s è un disco con cui fare i conti continuamente, un lascito che tutti gli aspiranti musicisti devono riascoltare.
La melodia beatlesiana
Ora, affrontiamo una piccola grande verità: la melodia è una cosa che o possiedi naturalmente o non saprai proprio mai inventarla. Il rumore nella musica è qualcosa di meraviglioso, personalmente John Cale che fa rumore mi rilassa come poche cose, la sporcizia dei suoni è forse una delle cose che preferisco nella musica, ma la melodia può essere la direzione dentro una traccia completamente sporca, o anche un piccolo brivido dentro una musica scarna e lo-fi. Basti pensare al tributo che devono Elliott Smith o i Nirvana ai Beatles in questo senso, per quanto si parli di generi completamente diversi. Quello che ha distinto l’attitudine hard rock di Cobain e co. (Dave Grohl è una grande ammiratore dei Beatles) nei Novanta, facendo dei Nirvana i capostipiti del grunge, è proprio il talento melodico che veniva fuori anche da tracce sporche e furiose, e che si compie perfettamente in pezzi come About a girl. Le direzioni indicate in questo senso da Paul McCartney, John Lennon e George Harrison sono state una grande lezione per un filone della musica rock che non rinunciava alla linea melodica. Per Paul la melodia più bella resterà quella dei Beach Boys di Pet Sounds, God Only Knows. Ma nella memoria dell’umanità le melodie più belle appartengono invece al talento di Paul McCartney e al disincanto di Lennon.
Molte volte mi sono imbattuta nel gioco di cercare di indovinare chi abbia scritto le migliori canzoni dei Beatles, e proprio mentre tutti ci dicevamo lennoniani capitava di imbattersi nei pezzi in cui l’autore era Paul, come Helter Skelter che avresti attribuito assolutamente a Lennon e invece era di McCartney. A un certo momento, per evitare dissidi, ho scelto George Harrison, While my guitar gently weeps, Something e Here comes the sun mi sembravano abbastanza per chiudere il match. Anche se chi nasce con Happiness Is A Warm Gun in testa raramente se ne libererà. Si nasce lennoniani, e difficilmente si muore mcartneyani.
Nel corso del tempo le composizioni di una delle coppie più acclamate della storia si sfidano in grandi battaglie e competizioni, da un lato l’universo psichedelico di Lennon, dall’altro le armonie di McCartney. Entrambi sono consapevoli del talento creativo dell’altro, e diversi dissidi tendono a separarli da un certo punto in poi, tanto che gli album sembrano schizoidi, deliranti, confusi, e questo forse li rende più belli. Il doppio White Album è una testimonianza di questa sfida all’ultimo sangue, una di quelle sfide che ha fatto bene alle nostre orecchie: ti faccio vedere io chi detta il sound qui dentro, diventa il cardine centrale del ricco duello. Il singolo che verrà fuori alla fine dell’avventura Beatles in Abbey Road, You Never Give Me Your Money, è un soffuso controcanto di Paul all’amico Lennon dopo alcune beghe legali che separano la coppia. Paul e John amici da una vita, uniti nell’esperienza di diventare una mania schizofrenica, separati dalla vita, dalle rispettive donne Linda e Yoko, dalla morte improvvisa del manager Brian Epstein, da due concezioni diverse di come portare avanti il suono della band, dai fantasmi di Lennon, dalle droghe, dall’India, da beghe economiche non previste.
La truffa del rock è venuta dopo i Beatles
È anche per colpa o merito dei Beatles se ora tutti abbiamo una chitarra. I tempi dei Beatles però sono finiti, e il rock è così morto che dire che proprio i Beatles fossero la truffa del rock sarebbe idiota. Se la truffa c’è stata è venuta dopo i Beatles, forse molto tempo dopo, è nata con quelli che camminavano sulle strisce pedonali scalzi per scimmiottare Paul, con quelli che speravano di dare un messaggio di pace al mondo con la banalità di Imagine senza la forza di Imagine, è nata con le boy band senza groupie che mettevano su band per trovare delle groupie da far urlare e godere a tempo. I Beatles hanno lasciato un’influenza straordinaria, forse addirittura Ringo Starr ha avuto i suoi emuli alla batteria. E parliamo di un gruppo che ha smesso di suonare dal vivo nel 1966, regalando solo una piccola parentesi su un tetto in una performance che divenne famosa come Cristo.
Uno dei più grandi e inutili interrogativi che ha sconvolto le generazioni è stato quello di chiarire se i Beatles suonassero pop o rock, come se esistesse una vera linea di demarcazione tra i due generi, come se pop non derivasse da popular e non fosse cambiato nel corso del tempo e disgraziatamente, come se il rock fosse un filone ideale che riguarda solo la corrente Rolling Stones, ingiustamente messi in competizione con i Beatles dalle varie semplificazioni di questa vita. In realtà la vera competizione per i Beatles era tutta interna, e riguardava solo se stessi e le varie strade da prendere, che ne buttavano fuori pubblicazioni confuse, ma perfettamente coerenti a un’epoca di ricerca continua come quella dei Sessanta. Persino Bob Dylan cambia voce e ritmo a ogni nuovo album. L’altra competizione era quella che si stimolava esternamente intorno a loro, come quella di Brian Wilson che cercava di riacciuffarli e tirarli giù dal trono del rock pop. Impresa che si sarebbe detta titanica all’epoca.
Quando i Beatles si sciolgono è ancora più evidente il conto di come nel giro di pochissimi anni siano riusciti a lasciare un’eredità su cui sbattere la testa e nello stesso tempo a marcare un’epoca fino a influenzarla. Rock, pop, rock’n’roll, blues, psichedelica, non importa: esistono rari casi in cui la fama è meritata. A confronto il mondo contemporaneo della musica rock soprattutto in chiave pop deambula senza una direzione, piatto nelle ricerche di suono e pompatissimo nell’esasperata voglia di creare il fenomeno dell’anno. Che in genere si rivela un gran bluff.
In compenso Paul è ancora vivo.