The Affair, la serie che sembra scritta da DeLillo

Da qualche mese è disponibile su Sky la serie che tanto ha fatto parlare di sé oltre oceano per tutte le tematiche che affronta. The Affair ha esordito negli USA nell’ottobre del 2014, entrando a muso duro nelle case di tutti gli americani con una storia che ha lasciato le menti completamente spiazzate. È chiaro sin dalla prima stagione il motivo per cui al lavoro di Sarah Treem e Hagai Levi – registi della serie tv – la produzione italiana abbia scelto di inserire come sottotitolo “Una relazione pericolosa”. A vestire i panni dei protagonisti ci sono Noah Solloway, interpretato da Dominic West, e Alison Lockhart, interpretata sa Ruth Wilson. Tra i due si instaura una rocambolesca relazione fatta di sesso, bugie e fughe. Un classico del cinema hollywoodiano, potrebbe affermare qualcuno. Per di più se Noah è uno scrittore alle prese con il suo secondo romanzo e Alison una cameriera in un ristorante di provincia a due passi dal mare, allora si tratta davvero di uno stereotipo californiano – o di un romanzo di Joan Didion.

Le loro storie si incrociano proprio tra i tavoli di un ristorante di Montauk, ma le modalità attraverso cui avviene la narrazione si avvalgono di entrambi i punti di vista dei protagonisti. Ogni episodio è diviso in due parti, lasciando procedere la storia prima dal punto di vista di uno e poi dal punto di vista dell’altra. Una duplice visione che tratteggia le linee principali che fanno da base per un confronto tra i due attraverso i fatti visti in chiave diversa. Quello che gli autori hanno voluto costruire si fonda sul principio di falsificazione della realtà. Chi segue la vicenda dall’esterno non sa mai a quale fonte attenersi proprio perché gli eventi descritti non si incastrano tra loro, al contrario: lasciano cadere un’ombra di libera interpretazione a cui lo spettatore difficilmente può sottrarsi.

Alison ha da poco perso suo figlio e il matrimonio con suo marito Cole, interpretato da Joshua Jackson, sta attraversando quella fase delicata di non ritorno che non fa altro che preannunciare la rottura definitiva. Noah, dal canto suo, oltre ad avere quattro figli e una moglie sempre presente, nutre un’elevata competizione col suocero, scrittore di successo dagli anticipi milionari e dalle vendite da capogiro. Le due situazioni si compenetrano nella cittadina di Montauk fino a nidificarsi oltre ogni ostacolo, oltre ogni limite rappresentato dai contesti di partenza che inquinano visibilmente le loro vite. Pur di tenere testa a suo suocero, Noah afferma davanti all’agente di quest’ultimo di essere al lavoro sul suo secondo romanzo, improvvisando di sana pianta la trama che occuperà le pagine del suo lavoro e ottenendo l’attenzione dei piani alti dell’editoria newyorkese.

I tradimenti e le fughe passionali intasano la narrazione della prima stagione. I ricordi riaffiorano insieme alla voglia di ferirsi. Il dolore occupa un ruolo importante, tanto da decretare la nascita di conflitti irreparabili che si manterranno vivi oltre l’indicibile. I Lockhart e i loro guai finanziari con le banche, e i Solloway alle prese con i dissapori famigliari mai risolti. Ci sono diversi tira e molla, vuoti incolmabili e colpi bassi da cui è difficile proteggersi. Eppure tutto sembra girare introno ad un romanzo inesistente, o almeno fino a quando Noah non decide di metterci dentro la sua rocambolesca relazione clandestina e macchiarla di finzione solamente in alcuni punti.

Un blocco che appare inizialmente come una condanna a morte da cui non si può affatto fuggire, ma che alla fine assume un ruolo determinante nella riuscita dell’intero romanzo. Lì dove sembra non arrivare la finzione, contrapponendosi all’ideologia portata avanti da scrittori come Borges e Calvino, arriva invece la realtà a squarciare in due la tela del pittore. Noah scrive di quello che ha intorno, e non lascia nulla al caso. Riporta fedelmente i suoi incontri segreti, la morte del figlio della sua amante e il suo matrimonio ormai alla deriva. Diviene così protagonista del suo tempo, forzando la realtà quando rimane a corto di idee. Avverte il suo romanzo sulla sua pelle e su quella di Alison, prima di riversarlo nelle pagine completamente bianche fino a pochi istanti prima. Le sue azioni corrodono lo strato di realtà che appartiene agli altri e la rendono propria attraverso una dose massiccia di volontà messa in campo. La realtà diviene una droga da cui Noah non riesce a staccarsi una volta per tutte. È ormai schiavo e sa perfettamente di esserlo, per questo decide di confessare alla moglie la sua relazione con l’amante.

Si riscopre talmente assetato di vita che sceglie di andare a vivere con Alison in una casa sul lago. Ritornano gli incubi mai assopiti, l’acqua a due passi – la stessa materia che ha affogato nel sonno il figlio della donna – e la minaccia colorata di precarietà di un rapporto che sta per decollare contro ogni pronostico. I due punti di vista si incontrano ma non si abbracciano mai. Gli occhi di Alison non guarderanno la realtà dagli stessi occhi di Noah, e quello che ne consegue è la massima grandezza e celebrazione dell’individualità insita in ognuno di noi. Abitare la casa sul lago non è solo un modo per portare a termine il romanzo, ma è anche un’occasione valida per scoprire il lato nascosto della convivenza costruita sulla fuga dalla propria vita. Un rifugio che combatte la noia e la morte fino a mescolare le carte del presente. Lontani dal loro passato cercano di gettare le fondamenta di una dualità che indossa la maglia dell’amore, sentimento da sempre pronto ad allontanare i fantasmi della sconfitta più prossima.

Tra gli intenti di The Affair sembra esserci quello di voler mostrare i tratti fondamentali di uno scrittore completamente immerso in uno dei paradossi della letteratura, ovvero quello di soffrire davanti all’eventualità di essere dimenticato da tutti. Non è la prima volta che ci ritroviamo a fare i conti con un personaggio del genere, basti pensare ad Hank Moody di Californication – prodotto sempre da Showtime proprio come The Affair. Se il primo era uno stereotipo costruito sulle spalle di Charles Bukowski, il secondo è invece costruito sul tipico scrittore che non trova mai rimedio al suo continuo soffrire, e il blocco che lo attanaglia davanti alla pagina bianca è solo uno dei tanti mali che gli sottrae il respiro. Hank Moody è folle, scappa da New York e dalla pagina bianca e sceglie di rifugiarsi a Los Angeles. Quando decide finalmente di affrontare i problemi ne causa altri ancora più irreparabili, sancendo così una lunga lista di fatti e misfatti che hanno reso inconfondibile il suo personaggio. Al contrario, Noah Solloway è ricoperto da un ammasso di sostanza disagevole che proprio non riesce ad abbattere. Incassa tutti i colpi che prende per poi esplodere definitivamente nel pieno di una vacanza estiva, con il mare a bagnare i suoi guai irrisolti che si trascina da sempre e una casa troppo perfetta per i suoi gusti.

Nei pochi spazi di lucidità che ci concede la serie tv, la narrazione si sposta su quello che hanno davvero realizzato i due protagonisti. Nel pieno di un vortice che segue le indagini sull’omicidio del cognato di Alison, ecco che compaiono gli estremi per una relazione pericolosa che si avvale del mistero dell’assassinio, oltre che di un amore che mette in gioco due storie completamente diverse tra loro. Nonostante siano pronti a tutto, Noah e Alison si ritrovano davanti ai poliziotti senza che si riesca a comprenderne il vero motivo. Cosa diavolo è realmente successo su quella strada? Scotty Lockhart, interpretato da Colin Donnell, muore investito dopo aver avuto una relazione con la figlia primogenita di Noah e agli investigatori non resta che fare una semplice addizione. I punti di domanda restano in sospeso, gli sguardi continuano ad alternarsi a metà di ogni episodio, mentre alla realtà, alla sua dimostrazione e al suo concretizzarsi sono destinati solamente pochi minuti, per di più verso la fine. The Affair diventa allora una serie sfuggente e mai ripetitiva, sempre pronta a mietere sgomento, molto simile ad un romanzo scritto da quel professionista in materia che è Don DeLillo. La realtà si dilegua per la sua strada e noi non facciamo altro che perdere le sue tracce.

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