Chi ha ucciso quel giovane angelo?

Si è davvero suicidato? Forse. Ma non se ne ha la certezza. Una cosa però è certa, il nome di Luigi Tenco da quello sparo, si è indelebilmente legato al Festival di Sanremo. Come il grilletto premuto all’inizio di una gara di atletica, anche quella pistola, in quella camera d’albergo, segna il via alla nuova epoca della televisione, quella per cui lo show deve andare avanti a tutti i costi, dove i sentimenti vengono banalizzati, fagocitati e spettacolarizzati, ma mai compresi e spiegati. Vince la legge del più forte, del più potente e prepotente. In quella stanza, insieme a Tenco, rimase a terra una possibilità diversa e migliore per la musica, la cultura e forse addirittura una fetta di civiltà. A distanza di anni, non interessa quasi a nessuno saperne di più di quella vicenda, al massimo relegata a “cold case” per qualche nerd da serie poliziesca. Eppure non è così. In quell’irrisolto c’è il lato oscuro dello show, quello che non va in onda, quello che non dice la verità. Ma anche se per un attimo si lasciasse da parte la dinamica dei fatti, resta la sostanza. Ammesso anche che fosse un suidicio resta da comprenderne il motivo, il messaggio. In quei giorni, e in quelli a venire, sono in tanti, nella città dei fiori, a sussurrare a mezza voce che se davvero si è suicidato è stato uno stupido a morire per l’esclusione da una gara canora. In tal caso le cose sarebbero comunque più profonde.

La sera del 26 Gennaio del 1967, Tenco, in coppia con la star internazionale dell’epoca Dalida, canta Ciao Amore Ciao. Sanremo è un palcoscenico importante per la musica leggera italiana, ma con gli accoppiamenti internazionali prova a guadagnarsi una visibilità che superi anche i confini. La presenza di Cher, Dionne Warwick e Marianne Faithful, all’epoca legata sentimentalmente a Mick Jagger dei Rolling Stones, andava in quella direzione. In serata il verdetto della giuria. Tenco e Dalida sono eliminati, niente fnale per loro. Dalida e lo staff della casa discografica si ritrovano a cena, Tenco preferisce di no. Poco dopo le 2 di notte del 27 di Gennaio, il cantautore piemontese di nascita e ligure d’adozione, viene trovato morto nella stanza 219 del Savoy Hotel. In un biglietto spiega la ragione del gesto, una pistola accanto al corpo testimonia come si sono svolti i fatti.

«Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi.».

Suicidio dunque e senza perderci troppo tempo. Lo show deve andare avanti, e se non fosse chiaro, in tutto quel tranbusto, sono una sentenza le parole del conduttore del Festival Mike Buongiorno che pare abbia detto: “Il ragazzo era un po’ scosso, un po’ emotivo, io vado a dormire, l’importante è che domani si vada in onda.” Tutto chiaro? Non proprio. Chi pensa all’omicidio fa notare molti dettagli che andrebbero in quella direzione, tra cui l’inattendibilità della scena del crimine. Il corpo di Tenco fu prima portato via, e poi risistemato nella stanza perché non erano state fatte le foto. Basterebbe questo, ma c’è altro. Nelle camere confinanti con quella di Tenco ci sono da una parte il giornalista Sandro Ciotti e dall’altra, un giovanissimo Lucio Dalla, in gara con un brano che suonerà profetico “Bisogna saper perdere”. Allo sparo nessuno dei due accorre preoccupato a vedere cosa è successo. Il motivo c’è. Non hanno sentito alcuno sparo. Fatto strano, tanto che Dalla, per molte ore, è convinto che la morte sia dovuta a un malore. I primi ad entrare nella stanza, come il cantante Nicola Di Bari, non parleranno mai né di biglietto né di pistola. Il foro in testa pare compatibile con l’uso di un silenziatore, che non è certo la prima preoccupazione di un suicida. Non ci addentriamo oltre nella ricostruizione dei fatti, ci sono interi libri a farlo con dovizia di particolari, e ci sono anche varie teorie proposte da giornalisti e ricercatori, che riguardano politica, soldi e piste passionali.

Fatto sta che quello che pare chiaro è la responsabilità generale, culturale di quanto accaduto. Anche se si dovessero fugare tutti i dubbi sulla pista dell’omicidio, la morte di Tenco, resta, per l’impossibilità di vivere la propria arte, più vicina alla fine di Nick Drake o dei poeti maledetti, che a quella di un insicuro cantante di musica leggera. Di quell’episodio, più di tanti articoli e arraffazzonate ricostruzioni, ha raccontato De Gregori nella sua canzone Festival. In quelle strofe ci sono tutti i carnefici di Tenco, a vario titolo e grado di responsabiltià.

Nella la città dei fiori disse chi lo vide passare
Che forse aveva bevuto troppo ma per lui era normale
Qualcuno pensò fu problema di donne
Un altro disse proprio come Marylin Monroe
Lo portarono via in duecento
Peccato fosse solo quando se ne andò
La notte che presero il vino e ci lavarono la strada
Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?
E l’uomo della televisione disse
Nessuna lacrima vada sprecata, in fin dei conti cosa
C’è di più bello della vita, la primavera è quasi cominciata
Qualcuno ricordò che aveva dei debiti
Mormorò sottobanco che quello era il motivo
Era pieno di tranquillanti, ma non era un ragazzo cattivo
La notte che presero le sue mani
E le usarono per un applauso più forte
Chi ha ucciso il piccolo principe che non credeva nella morte?
E lontano lontano si può dire di tutto
Non che il silenzio non sia stato osservato
L’inviato della pagina musicale scrisse
“Tutto è stato pagato
Si ritrovarono dietro il palco
Con gli occhi sudati e le mani in tasca
Tutti dicevano “Io sono stato suo padre”
Purchè lo spettacolo non finisca
La notte che tutti andarono a cena
E canticchiarono “La vie en rose”
Chi ha ucciso il figlio della portiera
Che aveva fretta e che non si fermò?
E così fù la fine del gioco
Con gli amici venuti da lontano
A deporre una rosa sulla cronaca nera
A chiudere un occhio, a stringere una mano
Alcuni lo ricordano ancora mentre accende una sigaretta
Altri ne hanno fatto un monumento
Per dimenticare un po’ più in fretta
La notte che presero il vino e ci lavarono la strada
Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?

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