Tempesta madre di Gianni Solla: quando la ricerca letteraria è perlustrazione di divergenze

Gianni Solla l’ho conosciuto perché è stato ospite del gruppo di lettura della libreria Libertà a Torre Annunziata, la città dove vivo, nell’area metropolitana di Napoli. Ho letto il suo Tempesta madre, Einaudi editore, durante l’estate. L’ho letto due volte per quanto mi è piaciuto. La prima è stata un’immersione irrazionale in una storia che mi stava parlando, che si era agganciata a certe parti di me. La seconda volta invece ho provato a capire come facesse l’autore a non deragliare, a controllare la scrittura, a mantenere l’equilibrio tra dolore e sarcasmo, tra decadenza e grazia, tra disperazione e allegria. Come riusciva Gianni Solla, scrittore per niente prolisso, ricercatore della parola esatta, demolitore del luogo comune, a farmi ridere e precipitare nella stessa pagina? La risposta non l’ho trovata, ho posto la domanda anche a lui: ha detto che è il suo modo di esprimersi, che la sua ricerca letteraria è perlustrazione di divergenze e che c’è molto della sua visione in quella di Jacopo, la voce narrante del romanzo.

Jacopo è un uomo tra i trenta e i quarant’anni, è un impiegato della pubblica amministrazione e lo conosciamo in due versioni, da adulto, nel presente narrativo, e da bambino, nel passato narrativo. Un passato che si dipana quando Jacopo viene a sapere che sua madre è stata trovata in stato confusionale, vestita da sposa, a vagare per le scale della palazzina popolare dove vive, in un quartiere che è chiaramente S. Giovanni a Teduccio, a Napoli. Questa è la miccia narrativa del romanzo, l’episodio che fa da spartiacque e che determina gli eventi e le vite dei protagonisti. Il prima è la storia di una famiglia disfunzionale, di una madre ribelle, bellissima, che fuma troppo e ascolta musica classica, affamata di vita, inclassificabile. In famiglia lei è la segretaria, in ricordo dei tempi in cui lavorava con questo ruolo alla Brahms edizioni. Il marito della segretaria è un macellaio che le dà della matta ma, nonostante questo, prova a tenere insieme i fili di una relazione familiare compromessa. Il dopo è il tentativo di stare al mondo di Jacopo, un uomo impenetrabile, dolce, inceppato, che usa per sesso le donne depresse e scontente della loro vita matrimoniale. Le aggancia durante i corsi di formazione a cui si iscrive solo con questo obiettivo, ma si lega ad almeno due dei personaggi femminili presenti nel libro, una è Stefania, l’altra è Veronica.

 

Se dovessi riassumere il contenuto di Tempesta madre direi che è l’educazione sentimentale di un uomo e l’esperienza di una famiglia imperfetta (bella, vera, questa imperfezione) a partire da un momento dolorosissimo. Direi anche che è un libro narrativamente riuscito, che offre una versione non stereotipata di Napoli e che mette in scena personaggi non goliardici, distanti dall’immaginario, tutto da sdoganare, di una città allegra. Non c’è una sola pagina in eccesso, i dialoghi sono saette, gli aggettivi sono centellinati e i non detti (che pure parlano e pesano) si fanno spazio nel gioco a sottrarre dello scrittore. Gianni Solla non è un autore verboso, è hemingwayano in questo. Il suo è un esistenzialismo vivace, zeppo di umanità, di sentimenti contraddittori, di esperienze che passa al lettore. È uno scrittore che non ha la pretesa di spiegare, che non si eleva a detentore di una qualche verità, a lui interessa solo raccontare e essere letto. Di Tempesta madre colpisce la semplicità, e a questo punto una cosa è certa: questa semplicità stilistica, questa praticabilità lessicale sono il frutto di un talento gigantesco e di tanto, tanto, impegno. Tempesta madre è un romanzo bellissimo, una chicca nel panorama della narrativa italiana contemporanea.

Exit mobile version