Avremmo sempre bisogno di una pièce teatrale di Bertolt Brecht

A chiudere la stagione teatrale del Teatro Vittoria di Roma, situato nel cuore di Testaccio, è lo spettacolo Un uomo è un uomo, spettacolo di Bertolt Brecht e sotto la regia di Lorenzo de Liberato e la traduzione del testo originale di Giulia Veronesi.
Bertholt Brecht caratterizza una figura affascinante tanto quanto controversa e innovatrice nella storia teatrale del novecento. Venuto al mondo poco prima dello scoppio della Grande Guerra, appartiene a una generazione che ha perduto la sua innocenza tra la miseria e la povertà bellica. Ma è qui che Brecht prende il distacco dalla sua generazione e soprattutto dalla nazione in cui è nato e cresciuto, la Germania, trasformando la sua carriera in un continuo inno all’Umorismo considerato “il signore dei cieli”.

Un uomo è un uomo appartiene alla produzione dei suoi anni giovanili, poco dopo i primi riconoscimenti, perseguendo sempre la ricerca verso il divertimento intelligente, che dopo quasi un secolo, continua a farsi ritratto di una triste realtà, senza farsi sfuggire la possibilità di divertire lo spettatore. In quest’opera è anche presente un altro elemento fondamentale dell’intera drammaturgia di Brecht: il rovescio. È così che il drammaturgo e regista porta sulla scena i paradossi della società a lui contemporanea, in una critica ferrata e ostinata che si traveste dei panni che disprezza, come se da soli questi comportamenti bastassero per farne una critica.


In questo modo rappresenta le conseguenze dell’imperialismo coloniale, ambientando la sua opera in India e facendone come protagonisti quattro militari dell’esercito Britannico. Ubriachi e fannulloni, i militari vanno in giro come fossero i proprietari di tutto il suolo calpestabile, combinando nulla di buono e cercando poi maldestramente di correre ai ripari, avendo come fine sempre e solo i tornaconti personali. La commedia tratta del rimontaggio tecnico che si può compiere su un uomo per farlo diventare un altro.

L’io costante è un mito” scrive Brecht nel suo Scritti teatrali. L’unica cosa che importa è il libretto, la personalità, le volontà dell’individuo sono del tutto valicabili se lo si mette nelle condizioni giuste. Ed è così che un ingenuo scaricatore di porto viene trasformato in un sanguinario militare britannico. “L’uomo è un mito che incessantemente si dissolve e si ricostruisce” continua il drammaturgo, portando in scena il disincanto dell’individuo che si sente insostituibile. Ma la guerra appiattisce e schiaccia, così come fa il colonialismo piombando su civiltà dal delizioso gusto arcaico. Appiattendo con esse anche le personalità dei singoli. L’uomo individualista ha perso ragione d’esistere, il mondo non è più al centro dell’universo e l’individuo, con esso, non ha più ragione di sentircisi. Allora si va al fronte settentrionale per combattere una guerra in cui il nemico non si conosce ancora, in cui non conta il numero di morti o il motivo del combattimento ma solo il bene della Corona.

La regia di Lorenzo de Liberato porta in scena l’opera di un drammaturgo molto difficile da rimaneggiare, ma con grande abilità trasforma la commedia in qualcosa di attuale, con l’aggiunta di canzoni, alcune molto note, che accompagnano l’ingresso barcollante dei militari in scena come Alabama Song, altre originali, adattate perfettamente allo svolgersi della storia in corso.

Locandina di una pièce di Brecht

 

La scenografia in cui gli attori si muovono è caratterizzata da un arredamento povero e assemblato come meglio, riuscendo però a creare una scena mobile e coerente. In particolare, l’utilizzo di un impalcatura, che va a rappresentare inizialmente la Pagoda e che successivamente si doppia e ricompone andando a formare prima l’arredamento del vagone bar e poi una cella carceraria. Anche il cast, costituisce un vero punto di forza nello spettacolo, che con padronanza riempie il palco con vivacità e grinta, andando ad incarnare perfettamente l’esaltazione folgorante tipica di quell’esercito ignaro ma devoto. I musicisti accompagnavano gli attori sul palco, con un pianoforte e una batteria in sordina e altri strumenti d’occasione sparsi per tutto il palcoscenico.

Lo spettacolo viene riproposto fino al 27 maggio al Teatro Vittoria, dopo aver vinto l’ottava edizione di “Salviamo i talenti”, un’iniziativa ideata per promuovere e creare una vetrina a giovani attori e registi, creando così opportunità per le creatività emergenti.

Ma la domanda che probabilmente noi spettatori dovremmo porci è: perché Brecht oggi? Quanto ha ancora da dirci questo drammaturgo? Il capitalismo di cui parlava Brecht, di cui i soldati europei sono intrinsechi è cresciuto ed è peggiorato plasmando la società, imponendo a tutti dei codici in cui mantenersi, creando un modus operandi che tende ad appiattire le differenze. In un mondo in cui il diverso va plasmato per portarlo alla “normalità”, in cui la soggettivazione si sta annullando alle spalle del capitalismo e delle multinazionali, Brecht torna più attuale che mai. Uno è nessuno. E Galy Gay, il malcapitato scaricatore di porto, uomo semplice e ingenuo, caratterizza il bersaglio perfetto, la personalità giusta da sopprimere per farci ciò che si vuole.

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