Voto: 7,5/10
Gli anni ’80 vanno. Il revival anni ’80 va. O quantomeno è dimostrato da gran parte delle uscite discografiche degli ultimi 5 anni. Già i recenti lavori di Editors, Interpol o XX rimandano al gusto per il synth-pop, e sembrano quasi ribadire le affinità elettive tra il gothic rock degli anni ’80 e le nuove sonorità elettroniche. Ovviamente i Cold Cave non fanno eccezione, e Cherish The Light Years arriva due anni dopo Love Comes Close, opera prima della band. E anche in questo caso viene palesata la natura darkwave (tout court) della band newyorkese.
La persistenza dei synth, la voce sempre più cupa di Wes Eisold, che ben lega tra l’altro con un intento dichiarato di portare avanti il progetto verso una maggiore introspezione, sembrano quasi viaggiare nel tempo indietro di trent’anni e voler farci ricordare con nostalgia quelle atmosfere lugubri, ma allo stesso tempo sognanti e tenui, dei fatidici anni ’80. Meravigliosi? Bastardi? Degenerati? Chissà. A parte i toni vagamente garage del brano d’apertura “The Great Pan Is Dead”, il disco si muove in un crescendo di attività tra industrial e dancefloor decisamente interessante per gli appassionati del genere. In piena dialettica eighties sono “Confetti” e “Underworld USA”, dove i Cold Cave svelano la loro provenienza musicale anche se l’inusuale intervento dei fiati in “Alchemy around you” manifesta la volontà di una maggiore ricerca espressiva per gli stilemi del post-punk. Si fatica quasi a riascoltare Wes Eisold nei suoi passati progetti hardcore. E si fatica a togliere dalla retorica l’immagine dei Joy Divsion e New Order come dei geniali profeti delle odierne sonorità, ma forse più in generale addirittura del postpunk. Il problema delle avanguardie del resto è sempre lo stesso: affermarsi affinchè la massa possa riconoscerle come un linguaggio attuale. Con la speranza però di vedere le forme passate in forme evolute.
Alessandro Tosti