Erano i primi anni ’90 e ad Haywards Heath, cittadina di ventimila abitanti a sud di Londra, i giovanissimi Suede muovevano i primi passi nel mondo della musica. Fino al 1994 Brett Anderson e Bernard Butler rappresentarono una delle coppie musicali più elettriche del Regno Unito, paragonabili per turbolenza soltanto all’incandescente duo Morrissey/Johnny Marr e ai rissosi fratelli Gallagher. La magia dei Suede è durata ancora un decennio e durante il loro percorso insieme sono nate canzoni diventate pezzi di storia come Beautiful Ones, Trash e Animal Nitrate. Tra il 2003 e il 2010 lo scioglimento e poi, in modo del tutto inaspettato, una fortunata reunion e tre nuovi album in cinque anni. L’ultima fatica dei Suede è The Blue Hour, il loro ottavo album in studio e la conferma che Brett Anderson non ha perso l’ispirazione, anzi.
Oggi grazie all’esperienza maturata con il tempo, il rocker britannico è in grado di centrare il bersaglio più rapidamente e con maggiore precisione rispetto al passato; lo testimonia anche la passione per la scrittura che lo ha portato agli inizi di quest’anno a pubblicare la propria autobiografia Black Coal Mornings. The Blue Hour nasce, invece, grazie all’unione di menti diverse e affini. Prodotto da Alan Moulder, già impegnato nei progetti di My Bloody Valentine, The Jesus and Mary Chain e Arctic Monkeys (solo per citarne alcuni) e dal quinto Suede, Neil Codling, il disco è un tripudio di tensione emotiva, rafforzata ulteriormente dalla presenza, in fase di registrazione, dell’Orchestra Filarmonica di Praga.
L’album si apre con As One, una traccia che sul piano melodico rappresenta un forte cambiamento. Si tratta di un brano degno della colonna sonora del miglior fantasy epico, trionfale e dalle tinte scure. Da qui parte un viaggio di cinquanta minuti suddiviso in quattordici tappe, dove sostare a lungo, senza l’ansia di rimettersi in cammino. Non ci sono fast food con luci al neon su questo percorso, né comodi ostelli dove riposarsi durante la notte, ma soltanto chilometri e chilometri di strade di campagna in cui è più facile incontrare i fantasmi del proprio passato che persone in carne e ossa.
Saliamo allora a bordo dell’auto di Brett Anderson e rimaniamo incollati ai sedili posteriori della vettura con la paura di disturbare la concentrazione del nostro guidatore che canta e ci parla dei traumi della sua adolescenza, consapevole che l’età adulta e un figlio gli abbiano finalmente dato gli strumenti necessari per superare gli ostacoli. The Blue Hour è un cammino a ritroso nel tempo, dove trovare canzoni potenti e genuinamente Suede come Wastelands e Cold Hands che ci fanno tornare alle atmosfere catchy di Hit Me e di conseguenza con il pensiero a quel videoclip dove due giovani si innamorano scatenandosi attraverso un vandalismo estremo all’interno di un museo.
Ci sono anche brani che ammaliano come Beyond The Outskirts o All the Wild Places e storie d’amore su cui fantasticare come la palpitante Mistress, l’inizio e la fine di un relazione in cui due ombre scure camminano a passo sincronizzato nella notte stellata, mentre la corrente impetuosa del fiume sullo sfondo sovrasta l’eco delle loro parole. Percepite come un eco in lontananza ci sono promesse di speranza che ci arrivano da Life is Golden che abbiamo imparato a conoscere attraverso le immagini di non-vita di Chernobyl, impresse in un video dal forte impatto visivo ed emotivo.
Tra i brani più evocativi della raccolta non possiamo dimenticare The Invisibles, caratterizzato da un tappeto di archi e dalla voce in falsetto di Anderson. Una carezza e allo stesso tempo uno schiaffo sul viso e infine Tides, una grancassa di sentimenti che nascono nello stomaco come farfalle e che muoiono appena il giorno comincia ad albeggiare. The Blue Hour non è un disco da consumare, ma un vortice che inghiotte lentamente chi decide di prestare attenzione, ascolto dopo ascolto, nel progressivo scorrere delle stagioni, nel passaggio dalla luce vermiglia del tramonto all’oscurità della notte che trascende tutto il resto. Ci sono tanti modi di comunicare e sicuramente i Suede, baronetti del britpop e del glam rock, sanno come sorprendere ancora a cinquant’anni.