Lo scorso 24 Novembre è stato pubblicato il primo album di Marco, un ragazzo di vent’anni che in arte utilizza il cognome della madre, facendosi chiamare Galeffi. Con l’aria un po’ disfatta e con una sigaretta tra le labbra il giovane ragazzo romano si sta facendo strada, sin dalle sue prime apparizioni su youtube, nel panorama musicale italiano.
Le sue canzoni seguono linee pop che si mescolano alla tradizione del cantautorato italiano. I suoi testi accarezzano un crepuscolarismo rivisitato rispondendo anche a quelle che sono le esigenze del momento: apparentemente leggeri trattano di cose semplici, quotidiane, riguardano un po’ tutti gli amanti di cinema, letteratura e arte. Abbiamo davanti un coetaneo, un ragazzo semplice che sta realizzando il suo sogno, mettendo in gioco la sua passione – e ci siamo chiesti chi fosse davvero lui. Nelle sue canzoni parlando di quotidianità inevitabilmente ci parla di se stesso, mantenendo però come ogni testo le sue omissioni. Abbiamo quindi cercato di andare più a fondo per conoscere le altre facce di Galeffi.
Parlaci del Galeffi che non porti sul palco: cosa c’è oltre la tua musica, le tue note e i tuoi concerti?
C’è sempre il mio cane Birra, meno male che c’è lei. Ammetto che non sono un tipo molto equilibrato nella vita di tutti i giorni, quindi è complicato da dire. Comunque frequento ancora gli amici di sempre, giro spesso nel mio quartiere, adoro guardare le serie tv e bere Cynar con ghiaccio.
Il tuo progetto musicale è l’unica cosa che porti avanti o hai lasciato altro spazio nella tua vita? (Parlaci dei tuoi interessi e delle tue passioni)
Al momento basta e avanza la musica, sperando che un domani possa diventare un lavoro. Il mio interesse principale invece è il pallone, ahimè sono un tifoso sfegatato della Roma. Ma se iniziassi a parlare della Roma non finirei più. Ho una passione smodata per il gelato e per la pasta.
Sei molto giovane e questo apre davanti a te infinite strade da poter imboccare, accantonando per un attimo la musica, quale altra strada sceglieresti?
Mi piacerebbe diventare uno scrittore oppure aprirmi un locale carino dove si può bere buon vino o del tè caldo. Tornassi indietro mi sarebbe piaciuto studiare per diventare un criminologo.
Com’è il tuo rapporto con il mondo del lavoro? Sei alle prime esperienze o hai un background che ti porti dietro?
Fino a un paio di mesi fa facevo lo speedy pizza. In ogni caso ho fatto diverse cose tipo: il cameriere, il segretario in un circolo sportivo, oppure ho lavorato in un negozio di dischi. A dire il vero sono anche un giornalista. Ebbene sì, ho pure il patentino da giornalista.
Qual era il sogno nel cassetto del piccolo Marco? È stato ormai accantonato o c’è ancora uno spiraglio di speranza?
Purtroppo ormai sono troppo vecchio per fare il calciatore, probabilmente nemmeno bravo abbastanza. Il sogno è sempre stato quello di giocare a calcio, ma ormai ho perso le speranze per questo sogno. Mannaggia.
Quanto fai trasparire te stesso all’interno delle tue canzoni?
Mai abbastanza, la sensazione è quella. Ma anche la molla, penso che sia tutto un avvicinarsi verso noi stessi, uno scoprirsi poco alla volta. Una sorta di ricerca, di indagine. A forza di scrivere cominci anche a conoscerti e provi ad accettarti per quello che sei. E quindi nei miei pezzi cerco di essere il più sincero possibile con me stesso prima che con gli altri. Forse il segreto è quello, non l’ho ancora capito.
L’Italia ha una tradizione non indifferente per quanto riguarda il cantautorato, tu con chi ti identifichi maggiormente?
Cesare Cremonini è il mio maestro per eccellenza, mi accompagna da quando ero pischello. Ovviamente ammiro diversi cantautori italiani, su tutti: Lucio Battisti, Fred Buscaglione e Tiziano Ferro.
Quale famoso successo musicale avresti voluto aver scritto tu?
The Drugs Don’t Work dei The Verve.
Se è vero che siamo ciò che mangiamo, tu chi sei?
Una cipolla caramellata, sto in fissa.