Subterranean Voices è l’estensione naturale della rubrica che ogni mese raccoglie le uscite più interessanti del panorama underground italiano ed europeo. In questo numero parliamo con M U T O, artista e producer con base a Milano di cui non si conosce nulla. I N D E P E N D E N T è il suo primo album, uscito il 17 febbraio scorso per Prismopaco Records. Abbiamo provato a scoprire quello che c’è dietro a tutto il suo buio meccanico.
M U T O è un progetto oscuro di cui non sappiamo nulla. Possiamo cercare di trovare legami nascosti e influenze nella tua musica, ma nessuno sa da dove sia partito.
Tutto è cominciato con un’esigenza sempre più crescente di esprimere la mia musica, il mio pensiero, i miei stati d’animo. Ho sempre suonato, è la mia più grande passione. Nasco come bassista, e ho sempre fatto parte di band rock e metal. Da qualche anno, però, mi sentivo quasi oppresso, schiacciato da quello che avrei voluto dire, suoni, pensieri, che erano ormai chiari in me e dovevano essere espressi. Da lì ho preso coraggio ed ho intrapreso un percorso solista, che è sfociato dopo pochissimi mesi nella produzione di Independent. Era già tutto nella mia mente, dovevo solo rendere i pezzi concreti.
Scegliere un moniker e dare poche informazioni sul proprio conto, permette di far concentrare l’ascoltatore completamente sulla musica. Lasciare, cioè, che sia lei a illustrare quello che c’è dietro senza influenze. Autore nascosto nella sua identità, ma che dice in fondo tutto tramite il suo modo di esprimersi. La musica elettronica ha il pregio di delineare immediatamente l’ambiente senza parlare, permette alle sensazioni di prendere il sopravvento evitando la mediazione razionale delle parole.
Ho scelto l’anonimato, il mistero, il celarsi, ho scelto questa strada fondamentalmente perché c’è sovrabbondanza di apparenza, oggi. C’è sovrabbondanza di informazioni, quest’urgenza di spiegare, di dire. Si sa ogni cosa subito, velocemente, e nessuno diventa più curioso. E’ tutto lì, tra foto, informazioni, post, stati, è tutto sotto gli occhi di tutti, incellophanato per bene come al supermercato. Apparecchiato per tutti, con le istruzioni per l’uso scritte sopra. Il non-dire, oggi, significa distinguersi veramente, è un assordante silenzio che richiama e richiede attenzione. Richiede uno sforzo in più. La superficie è per tutti e non mi attira per niente. Io voglio stimolare le persone che ascoltano la mia musica, non è qualcosa per tutti: è per chi ancora vuole trovare il tempo di dedicarsi totalmente ad un album, senza sapere nulla di questo a prescindere, in un atto di fiducia estrema nell’ignoto, in ciò che non si conosce, la rarità dei tempi moderni. La musica fa tutto il resto: trascina in un viaggio chi è disposto a farsi trasportare, senza conoscere la meta.
I N D E P E N D E N T è un disco parecchio oscuro, con una mano che spazia in tanti generi, dalla drone all’industrial, da tratti ricchi a momenti estremamente minimalisti, che colpisce al momento opportuno la parte che avevi appena coperto, un po’ come fa la copertina dell’album, a tratti accogliente ma sempre con quello sguardo conturbante che non ti lascia tranquillo. Stratificare il suono in tante componenti che poi si raggruppano è uno dei maggiori pregi del tuo esordio, ma quali erano le intenzioni che hanno portato a determinate scelte e come si sono poi sviluppate in fase di composizione e resa finale?
Independent è decisamente un disco oscuro. Lo sapevo, ma l’ho capito veramente solo quando l’ho ascoltato tutto d’un fiato la prima volta, traccia dopo traccia. Mi sono reso conto che è proprio l’animo umano ad esserlo, indipendentemente dall’individuo. Ognuno ha la propria parte oscura, dietro a quella accogliente ed invitante. Io l’ho semplicemente resa palese, solo per qualche attimo, come dici tu, celando e scoprendo velocemente. Il suono si è stratificato seguendo l’istinto, per la descrizione di uno stato d’animo, per descrivere il buio non servono molte regole. Tendo a non voler essere etichettato, penso che sia come limitare in un cerchio più o meno grande un qualcosa che per molti potrebbe risiedere in altri cerchi. Faccio musica elettronica perché uso i suoi procedimenti, ma non mi sento di appartenere ad un genere in particolare.
Le immagini che rievocano il tuo disco sono quelle di una modernità esasperata, che ti raccoglie e ti allontana allo stesso tempo, fredda e distopica, come viene rappresentata anche visivamente nel video di Aria. Ma attorno a cosa si snoda il pensiero di M U T O e quali sono le rappresentazioni che ha voluto dare ai suoi pezzi? Qual è il nucleo originale da cui tutto è partito?
Mi interessano le persone, ed il loro mondi. Le identità. Il video di Aria va letto proprio come una provocazione. Non siamo più capaci di interessarci veramente gli uni agli altri, viviamo dentro le nostre “prigioni” (il video è stato interamente girato ad Alcatraz), e sfioriamo vite degli altri solo sulla superficie. Come spettatori, mai veramente come attori. Difendiamo la nostra solitudine senza mai confrontarci veramente. Fingiamo interesse solo con i social network, che in realtà ci allontanano drasticamente e costringono alla finzione. Con il mio disco, raccontando un viaggio attraverso i miei stati d’animo, vorrei in realtà avvicinare le persone, “costringerle” ad ascoltarsi, e a raccontarsi. Senza filtri.
Nel live come gestisci le caratteristiche della tua musica? L’oscurità del set, l’utilizzo di più strumenti, dalle macchine alla chitarra, fino all’uso della voce che tramite echos e distorsioni diventa essa stesso uno strumento modificabile con le tue mani. Musica extraterrestre ma in fondo teneramente umana.
Il live è la cosa a cui tengo di più, soprattutto perché è il momento in cui riesco veramente ad esprimermi in modo più trasparente ed istintivo verso il pubblico. Ho allestito il tutto tra musica, visual e improvvisazione in modo che lo spettatore venga trasportato completamente nella dimensione di M U T O, una dimensione, come dicevavamo, oscura ma che racchiude in sé attimi di tranquillità e attimi di inquietudine.