Sardo (di Nuoro, per l’esattezza), classe 1949, Columbu, dopo la laurea in architettura, una parentesi politica come assessore alla cultura del comune di Quartu Sant’Elena e un’esperienza durata vent’anni come programmista regista per la sede cagliaritana della RAI, nel 1999 fonda la LUCHES FILM; realizza diversi documentari finché nel 2001 produce il suo primo lungometraggio a soggetto, Arcipelaghi, che due anni dopo si aggiudica il premio “Bimbi Belli” come miglior film all’Arena Nuovo Sacher.
Su Re – suo secondo lungometraggio – è la trasposizione (e non un adattamento) che non ti aspetti della passione di Cristo. Attingendo dalla complementarità dei quattro Vangeli – Marco, Matteo, Luca, Giovanni -, Columbu realizza un’opera, per diversi aspetti, coraggiosa e innovativa, capace di ribaltare l’iconografia cristiana e cristologica sedimentata nell’immaginario collettivo.
Anzitutto, per l’ambientazione: la storia di Cristo in questo caso non è ambientata in Palestina, ma in Sardegna, sugli Appennini sardi, e la crocifissione avviene tra le rocce del Supramonte. Ho tenuto a precisare che Su Re non è un adattamento, ma una trasposizione: i personaggi che costellano la vita di Cristo non parlano in aramaico (come nello spettacolare adattamento, stavolta sì, di Mel Brooks) o nella lingua di produzione del film, ma in sardo; è, quello di Columbu, un tentativo di rappresentare i fatti dei Vangeli come se fossero accaduti in Sardegna. Lingua, il sardo, che, per la sua crudezza e durezza, enfatizza potentemente la violenza degli accadimenti rappresentati nel film.
Altra particolarità è la figura di Cristo: interpretato magistralmente da Fiorenzo Mattu, Gesù appare assolutamente apatico, ma, dal punto di vista fisico, è altresì impossibile ricondurlo immediatamente all’immagine di Cristo che l’iconografia ha trasmesso nel corso dei secoli; dunque, scordatevi il Cristo angelico e slanciato di Zeffirelli o il Gesù canonicamente rappresentato con lunghi capelli mossi. Il Cristo di Columbu è un uomo qualunque, con un fisico imperfetto come un uomo comune, villoso come un uomo qualunque. E qui arriviamo a un’altra caratteristica che rende Su Re un film speciale: la scelta, d’ispirazione neorealista e pasoliniana, di utilizzare attori non professionisti trasmette imperfezione che si traduce in autenticità. La ruvidezza e la spigolosità dei volti ripresi in primo piano – qui il richiamo a Pasolini e al suo Il Vangelo secondo Matteo (1964) è più che mai esplicito -, grazie a una fotografia contrastata fino all’eccesso, fanno da eco alla forza e alla violenza della narrazione. Quest’ultima è, nel film di Columbu, de-strutturata: Su Re è contraddistinto da un tempo non lineare, pregno di salti continui, grazie ai quali gli eventi ampiamente noti sono raccontati secondo un ordine inconsueto. Questo a Columbu riesce bene anche per via del soggetto che si ritrova tra le mani.
Alla violenza del controverso The Passion of the Christ (2004) di Mel Gibson, Columbu evidenzia la volontà di voler, abbondonarlo al fuori campo (visivo e sonoro) e all’esterno dell’inquadratura, lasciando così allo spettatore l’evocazione più che la (rap-)presentazione.
A parere di chi scrive, è un’opera importante, Su Re (2012), non solo per la tradizione cinematografica di matrice cristiana, ma anche per il cinema italiano in generale che, in questo caso, dimostra personalità, coraggio e capacità. Il film è stato particolarmente elogiato dalla rivista specializzata Filmidee che, oltre a ritenere Su Re uno dei vertici del cinema italiano degli ultimi anni, lo proclama “miglior film del 2012”.
Distribuito dalla Sacher Film di Nanni Moretti, Su Re è in sala dal 21 marzo.