La superstar del design Stefan Sagmeister, ha deciso tre anni fa di intraprendere un nuovo viaggio per capire le cause della felicità. A tutti capita prima o poi di ritrovarsi in qualche ostello per backpacker dall’altra parte del mondo, accompagnati costantemente da quell’impercettibile ansia da prestazione che ti viene quando ti accorgi che potrebbe essere una delle ultime occasioni per fare nuove esperienze e scoprire chi sei. A me è capitato nel’’estate dei miei 27 anni, a Sagmeister nel suo venticinquesimo anno di carriera. Ma a differenza dal mio, il suo viaggio si è trasformato in The Happy Film un documentario sulla felicità che ha riscontrato ottimi consensi dalla critica e dal pubblico, cosa per nulla scontata vista l’ambizione del progetto. Su consiglio di uno psicologo Sagmeister sperimenta tre diverse vie per la felicità: la meditazione, la terapia e le droghe. E quasi come fosse una cavia dentro una gabbia, mostra al pubblico ogni aspetto della sua vita privata ed emotiva, senza tralasciare gli effetti indesiderati di questa ricerca folle e disperata. Ma al di là dei concetti espressi nella pellicola, mi ha colpito un cosa: mentre guardavo il film non potevo fare a meno di chiedermi che cosa avevo di fronte. Infatti non riuscivo minimamente a capire se quello che stavo guardando era solo un documentario o qualcosa di più. Perché in fondo le conclusioni a cui Sagmeister arriva sono abbastanza prevedibili, ma è il modo in cui vengono presentate che mi ha lasciato interdetto. Il film, infatti, a partire dai titoli di testa, è costellato di spunti visivi veramente originali che spesso distraggono completamente dalla storia. C’è un’annosa questione che riempie da molti anni pagine e pagine di articoli universitari dalla dubbia importanza che riguarda il dibattito tra arte e design, ovvero se il design può essere considerato arte e in che termini può essere considerato tale. Secondo molti il design non è altro che il fratello minore dell’arte figurativa, un’arte pratica, finalizzata alla vendita. Per altri, invece, è un’arte vera e propria, e di conseguenza il designer diventa una figura più vicina a un pittore o a uno scultore che a un pubblicitario.
All’interno di questo inutile dibattito Stefan Sagmeister rappresenta secondo me un caso che potrebbe mettere tutti d’accordo, almeno per un paio d’ore. Quindi, in questa sede vorrei utilizzare il designer austriaco per rispondere a questa domanda: chi è Stefan Sagmeister? Può essere considerato un artista? E se sì, in quali termini? Metodo di ricerca Come abbiamo già detto, guardando ͞The Happy Film si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un esperimento che vede Stefan Sagmeister come cavia. Sfrutterò dunque questa occasione per studiare i suoi comportamenti e rispondere alle domande che mi attanagliano da quando ho messo play al suo film. Prima di iniziare delineiamo una brevissima biografia dell’artista. Scusate, designer. Negli ultimi 25 anni, Stefan Sagmeister è stata una delle luci più brillanti del graphic design, talmente brillante che spesso è stato addirittura esposto in gallerie d’arte di fama internazionale. Tra i suoi lavori più conosciuti troviamo gli artwork per gli album di Lou Reed, The Rolling Stones, David Byrne, Aerosmith e Pat Metheny. Lavori che gli valsero numerose nomine ai Grammy e due premi.
Ipotesi numero 1 – Sagmeister non è un artista. Come sostiene in un’intervista in cui racconta il momento i cui ha avuto l’idea di di The Happy Film, Sagmeister sentiva che il suo lavoro di designer fosse in quel momento soltanto una perdita di tempo e iniziava in lui a nascere l’esigenza di creare qualcosa da cui il suo pubblico potesse trarre giovamento. Ma che cosa fare? Sagmeister inizia una riflessione a partire da una sua solida convinzione, la creatività trova la sua fonte nella felicità e non nella malinconia. L’esatto opposto di quello che comunemente pensiamo. Infatti, quante volte, immaginando la vita dei nostri artisti preferiti, ci troviamo di fronte a uomini e donne sofferenti, che traggono ispirazione dai propri dolori, quasi come ci fosse un collegamento diretto tra la tela, lo spartito, o le pagine bianche di un libro, e la loro ferita aperta, mentale o fisica che sia? Se questa fosse la regola allora potremmo tranquillamente concludere che Sagmeister non è affatto un artista. In fondo è lui stesso ad ammettere, dialogando con uno psicologo, che ha avuto una vita tendenzialmente felice e priva di quelle ferite esistenziali che nelle nostre menti accomunano tutti gli artisti. Ma se una parte di me si è già messa l’anima in pace, questa conclusione ancora non mi convince del tutto. Non tanto per la sua avventatezza, ma perché non riesce ancora a distogliermi da quel impulso a considerare il designer austriaco un artista, specialmente quando ripenso ai titoli di testa del suo film.
Ipotesi numero 2 – Sagmeister è un artista. Proviamo allora con la tesi opposta. Sagmeister ha costruito un’intera carriera attorno il suo corpo. La nudità diventa per lui un modo di trasmettere una promessa di audacia, spirito, coraggio e impegno. Come nel poster creato nel 1999 per una lezione AIGA e negli annunci creati nel 1994 per la fondazione della sua prima agenzia, la Sagmeister Inc, il designer si mette letteralmente a nudo di fronte ai suoi studenti, in un caso, e clienti, nell’altro. Ma qui a mio parere siamo di fronte a un corpo che diventa oggetto, un corpo che vuole provocare e sconvolgere platee di giacche e cravatte, un corpo però che è spogliato di tutto, anche dei messaggi più profondi che porta inevitabilmente con sé quando viene posto sotto la luce giusta. Il corpo di Sagmeister è pura forma, un oggetto potente è incredibilmente familiare a tutti. In fondo se il design è la sintesi tra funzionalità ed estetica, il corpo umano è probabilmente l’esempio più alto di design.Allora, se vogliamo considerare Sagmeister un artista, dobbiamo però scordarci della classica arte per l’arte e accontentarci di un’accezione di arte più pratica e letterale, ovvero come arte come artigianalità.
Ma anche questa conclusione non mi soddisfa a pieno. È vero che Sagmeister nei suoi lavori non evoca concetti alti e si limita a una realizzazione tecnica ineccepibile, ma c’è ancora qualcosa, soprattutto nella personalità del designer, che mi fa credere che sotto sotto di fronte a noi ci sia un vero artista. Se no non si spiegherebbe quella stima reverenziale e quell’amore incondizionato che ogni giorno illustratori, graphic designer e creativi di ogni genere dimostrano a Sagmeister.
Ipotesi finale – Stefan Sagmeister è una rockstar. Può sembrare un’affermazione bizzarra, ma con un attenta analisi sembra funzionare: Stefan Sagmeister è una rockstar. Se a livello tecnico non è possibile considerare la nostra cavia un’artista, tranne che per una sua accezione molto debole (artigiano), a livello personale e d’immagine è tutta un’altra storia. Infatti, artista è un termine con molte sfaccettature e non capita raramente di definire qualcuno artista per azioni che non c’entrano nulla con il mondo delle belle arti. Abbiamo a che fare nel nostro quotidiano con un ampia gamma di artisti, che vanno dall’artista della truffa, alla pop star che viene osannata come grande artista da milioni di ragazzini. Sarà forse ingiusto considerare queste persone degli artisti?
Secondo me no, in fondo essere un artista non è altro che una questione di riconoscimento, e se milioni di persone si trovano d’accordo nel ritenere Justin Bieber un grande artista, non possiamo che rassegnarci e accettare questa dura verità. Anche quando si tratta di belle arti il discorso non cambia: non sono forse i critici e i galleristi a decidere se qualcuno merita di essere considerato un artista oppure un semplice pittore?
Torniamo a Sagmeister e vediamo perché è una rockstar e di conseguenza un artista. Primo, Sagmeister è un esibizionista e non esita un secondo a mostrare le sue nudità. Quasi come un Ozzy Osbourne agli albori crea scompiglio abbassandosi i pantaloni in ogni occasione, ancora meglio quando è veramente inaspettato come per il lancio istituzionale della propria società. Secondo, il suo habitat naturale è il palcoscenico. Sagmeister è infatti uno speaker tra i più acclamati per i TED Talks di tutto il mondo. Terzo, non perde mai l’occasione di provocare, sia con i suoi comportamenti sia con i suoi lavori, basti pensare alla sua celebre opera Style = Fart. Quarto, l’esteriorità spesso supera il contenuto. Se i Kiss sono una delle band più famose di tutti i tempi e non di certo per meriti musicali, Sagmeister è allora uno degli artisti più famosi al mondo pur non creando, come abbiamo detto, delle vere e proprie opere d’arte. Il suo approccio visivo, i suoi artwork visionari, il suo lettering rivoluzionario, il suo stile unico, superano di gran lunga i contenuti e i concetti trasmessi. Ed è paradossale pensare che l’autore di Style = Fart faccia proprio dello stile il suo cavallo di battaglia. Quinto, ha vinto dei Grammy Awards, con le copertine dei dischi, ma pur sempre di Grammy si tratta. Sesto, ha una vita invidiabile ma non si sente felice. Ultimo, fa uso di droghe.
Possiamo dunque concludere che Stefan Sagmeister è un artista, un vero artista, come lo sono Bob Dylan, Miley Cyrus e Mozart, ma anche Van Gogh e Rembrandt. È un artista perché noi lo consideriamo tale, anche se alcuni dei suoi lavori sono commissionati da dei brand e le sue opere a volte assumono delle oscure sfaccettature di marketing. Ma in fondo non è la stessa cosa per le opere di Damien Hirst? Concludo con una piccola rassicurazione: questo esperimento è frutto dell’esibizionismo quasi patologico di Stefan Sagmeister e durante la ricerca nessun designer è stato maltratto.