Il nero è il colore delle cantine e dei palchi quando i concerti finiscono, ma è anche il sapore della fatica e dei suoni che più ti entrano dentro, martellanti e ossessivi. È quello spazio in cui si entra da soli per uscire più forti anche se ti senti terribilmente fragile quando lo vivi, è la rabbia del nord Africa in rivolta, che da quell’oscurità ha provato a uscire, e da cui Fertile proviene. La storia degli Stearica è una di quelle tipicamente post rock, in cui il mezzo per produrre quello che si sente è suonare fino alla nausea finché l’idea non coincide con il risultato finale. Basta vedersi una loro esibizione per crederci, e quella al festival de La Villette di Parigi, (si veda anche lo split Stearica invade Acid Mother Temple del 2010) toglie ogni dubbio. Una dedizione così assoluta che necessita di tanto tempo per esplodere in un prodotto completo. Non è un caso che questo Fertile arrivi otto anni dopo Oltre, il primo Lp, a compimento del sodalizio con Monotreme Records (etichetta già di Niagara e M + A). Il risultato, neanche a dirlo, rispecchia tutto il percorso della band, in cui ogni dettaglio non è lasciato alla casualità, ma levigato fino a ottenere una circolarità perfetta. Perché anche il suono sporco, in realtà, è molto meno semplice di quanto potrebbe apparire.
Le nove tracce che compongono Fertile, in cui le parole sono poche o del tutto assenti, rispecchiano quella volontà di dar voce al conflitto quotidiano, dell’uscita verso una liberazione. Amreeka diventa così una preghiera, una necessaria interruzione e un ossessivo ritorno dell’uomo nel suo mondo, in cui la voce di Scott McLoud (Girls Against Boys) viene dalla profondità. Amreeka è, soprattutto, il collante con Shah Mat, lo scacco matto che conclude la partita di Fertile, composta insieme a Colin Stetson (già collaboratore di Tom Waits, Arcade Fire e Bon Iver per citarne solo alcuni). È l’atto finale di un disco cupo e provocatorio, che si muove in un climax violento, come violento è il cammino che porta alla liberazione. Senza indugi o paure, l’apparente indipendenza di ogni traccia dalle altre sviluppa un racconto corale, in cui i brani più pestati e heavy (Geber, Bes, Nur) si bilanciano con quelli dalle melodie relativamente più lievi ( Halite, Tigris).
Non servono tante altre parole, serve solo buttarcisi dentro e farsene sommergere. Gli Stearica si confermano, se ce n’era bisogno, come una band completa, superando quanto già ottenuto in Oltre, per conquistarsi una posizione di tutto rispetto nel nostro panorama post rock ma, soprattutto, in quello internazionale. E come ogni rivolta che si rispetti, ogni volta che si raggiunge un obiettivo, ci si aspetta che questo cammino prosegua, domani, anche qui da noi.