Il nuovo alter ego di St. Vincent

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Quando inizia la sua carriera da St.Vincent, Annie Clark ha un look innocente: faccia pulita, stile indie e un carattere timido – una “Polyanna asessuata” – in contrasto all’estremo virtuosismo della sua chitarra e all’ermetismo delle sue canzoni.

Nel 2011 pubblica Strange Mercy e introduce il suo nuovo alter ego: “una Judy Garland sotto barbiturici”. Dalla copertina ai testi, sono tanti gli aspetti che lasciano i suoi ascoltatori interdetti e allo stesso tempo affascinati: è “l’effetto St. Vincent”, una sorta di colpo di fulmine che esercita in chi ne è colto un’attrazione irresistibile verso un’entità artistica pressoché inaccessibile.

“Chi è davvero St. Vincent? E perché non riesco a togliermela dalla testa? È così figa che non capisco se vorrei essere come lei o con lei tutto il tempo.”

Siamo nel 2021 e, dopo aver visto “la leader cult del futuro” (in St. Vincent) e “la dominatrice di un istituto mentale” (in Masseduction), abbiamo il piacere di conoscere “la star di Hollywood con il trucco di tre giorni prima” nel suo ultimo album Daddy’s Home, in uscita il 14 maggio.

Candy Darling

And your wig, blonde, rolls home waving from the latest uptown train
I never wanna leave your perfect candy dream
So candy darling I brought bodega roses for your feet and candy my sweet
I hope you will be coming home to me

Candy Darling, attrice transgender e stella di punta della Factory di Andy Warhol, è la principale ispirazione per il concept e l’artwork di Daddy’s Home. Ha il glamour di Greta Garbo ma vive in un contesto sporco e squallido come la New York dei primi anni Settanta. Già Lou Reed ne cantava le avventure in Candy Says.
In tutte le interviste rilasciate per il lancio del disco, Clark parla di un periodo “post-idealismo dei figli dei fiori e pre-nichilismo dei punk, in cui la vita era pessima ma la musica era fantastica”, in qualche modo simile a quello in cui viviamo adesso, in cui stiamo ancora cercando di capire dove andare.

So I went to the park just to watch the little children
The mothers saw my heels and they said I wasn’t welcome
So I, I went back home, I was feelin’ kinda queasy

Il nuovo alter ego, ispirato a Candy Darling, cammina per le strade di New York, va all’alimentari ma non ha soldi, va al parco con i tacchi in mano per guardare i bambini e le mamme la mandano via. Così si apre Pay Your Way in Pain il primo singolo del disco, già abbondantemente descritto dai media come “Prince-esque” o “Bowie-esque” (dall’era di Young Americans). È il racconto di una lotta, dice Clark, che caratterizza ogni aspetto delle nostre esistenze: “Penso che viviamo in un mondo in cui spesso dobbiamo scegliere tra la sopravvivenza e la dignità”.

Il video della canzone è stato girato da Bill Benz e ricalca pedissequamente le principali caratteristiche dei programmi tv degli anni ’70: in formato 4:3, coi colori sbavati e psichedelici, le inquadrature sfumate e ondeggianti, le luci a coprire tutto.

Sono tanti i libri, i film e i documentari che restituiscono il sapore della New York di quegli anni, ma c’è una serie in particolare che ne condensa bene le atmosfere: The Deuce della HBO, che ha come protagonista proprio Candy, un’attrice porno ambiziosa interpretata da Maggie Gyllenhaal.

Dazed and Confused

Annie Clark fa parte di quella generazione che negli anni ’90 ha visto a ripetizione il film Dazed and Confused (1993) di Richard Linklater, e ha sviluppato la nostalgia degli anni ’70, pur non avendoli vissuti. Grazie a suo padre, ha scoperto gli Steely Dan, Sly & the Family Stone e Stevie Wonder. Ecco, musicalmente, questo disco è influenzato dal “regno di Stevie Wonder dal 1971-76”. Tanto groove, tanta improvvisazione, tanti sintetizzatori, tanto Wurlitzer e tanto sitar elettrico. Quel suono che ti fa venir voglia di bere un whisky e fumare uno spinello, dice.

C’è anche un brano quasi lisergico, che sembra più una cover dei Pink Floyd. Si chiama Live In The Dream e dura più di sei minuti.

Like the heroines of Cassavetes
I’m underneath the influence daily

In The Laughing Man, St. Vincent cita anche il film A Woman Under The Influence (1974) di John Cassavetes, in cui Gena Rowlands interpreta la moglie casalinga, bizzarra e psicotica, e madre di tre figli; un ritratto delle donne dell’epoca che oggi è considerato significativo per la cultura e la storia degli States.

So who am I tryna be?
A benzo beauty queen?

Jayne Mansfield, Joni Mitchell, Marylin Monroe, Tori Amos, Nina Simone: in The Melting of the Sun St. Vincent paga un caloroso tributo alle grandi artiste che sono venute prima di lei e che hanno aperto per lei la strada nel difficile ambiente dello showbiz. La canzone è accompagnata dalle coriste Lynne Fiddmont-Lindsey e Kenya Hathaway e dal vivo rende ancora meglio, come abbiamo potuto constatare nell’episodio di Saturday Night Live.

Daddy’s Home

St. Vincent è stata vittima e carnefice delle PR diverse volte. Vittima quando il Daily Mail scoprì che suo padre nel 2011 – lo stesso anno di Strange Mercy – era andato in prigione per una frode da 43 milioni di dollari. In quel caso Annie pagò caro il prezzo della popolarità causata dalla relazione con la supermodella Cara Delevingne, e per molto tempo evitò di parlare della sua famiglia con i giornalisti. Col segno di poi, alcuni testi di Strange Mercy diventano oggi più chiari: ora sappiamo chi è “il padre in esilio per quanti anni Dio solo lo sa”.

Il successo internazionale degli ultimi anni, i Grammy Awards, le collaborazioni ultrastellari (David Byrne, Nirvana, Gorillaz e, last but not least, Paul McCartney) e un team di PR della MBC guidato da Barbara Charone – la stessa di Madonna – oggi le garantiscono lo status di intoccabile. Rilascia interviste quasi esclusivamente a media mainstream – noi ci abbiamo provato ma siamo troppo indie – e ha il potere di “uccidere un’intervista” quando non è di suo gradimento. È la PR, bellezza!

We’re all born innocent but some good saints get screwed
Hell, where can you run when the outlaw’s inside you?

Suo padre torna a casa nel 2019, dopo dieci anni di prigione, e Annie decide di raccontare la storia a modo suo, con umorismo, cinismo e compassione. Nella terza canzone, omonima dell’album, descrive un episodio in cui va a visitare suo padre in cella e firma degli autografi su degli scontrini di Target per i detenuti e le loro famiglie. L’assurdo: il ridicolo nella tragedia. Oggi Clark dichiara che lei stessa è diventata Daddy, perché vive con più responsabilità ma senza pregiudizi, accentando che le persone sono complicate e nessuno è senza colpe o dolori. Nemmeno lei.

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