Intelligenze musicali come quella di Tom Jenkinson aka Squarepusher ne esistono poche, tanto particolari e cangianti al punto da risultare confuse e insensate. Un produttore che ha spaziato tra generi diversi e apparentemente lontani, ha viaggiato lontano ed è tornato indietro, provando a descrivere in 12 album in studio (e innumerevoli EP e produzioni secondarie), tutto ciò che gli è passato per la testa a partire dal ’94. Per capire questo mostro della musica elettronica è necessario però, fare un salto temporale di quasi 30 anni e iniziare trattando del contesto in cui è fiorito questo musicista britannico.
Erano gli anni in cui Aphex Twin aveva fatto presagire, attraverso le sue prime produzioni, che stesse per arrivare una rivoluzione, un big bang musicale da cui sarebbe nata la cosiddetta IDM (Intelligent Dance Music) e che avrebbe consacrato la Warp Record. Etichetta che grazie alla serie “Artificial Intelligence” ha sancito questa svolta, proiettandosi quasi automaticamente nell’immediato futuro della musica elettronica. Un suono nuovo basato sui contrasti e sul remix di tutte quelle intuizioni geniali che sono diventati poi veri e propri generi musicali. Il connubio tra analogico e digitale in primis, quello tra ritmo e melodia che apparentemente sembrano su due livelli diversi ma che in realtà convivono alla perfezione. Il cocktail fatale a base di ambient, techno e avanguardie classiche. Secondogenito di quella realtà, per primo venne l’ambient che in seguito si diramò in ulteriori generi (Drum ‘n’ Bass, Breakbeat, l’hard techno e l’acid), l’IDM di fatto non era nient’altro che sonorità scarsamente radiofoniche, ricche di virtuosismi sonori, in cui è difficile ritrovare la canonica quartina cassa-rullante, caratteristica che la rende più propensa all’ascolto che al ballo. Così la definì Alan Parry, creatore e curatore del primo spazio online dedicato a questo genere, un ambiente nel web 1.0 in cui i nerd inglesi discutevano di musica elettronica.
In questo panorama oltre alla Warp divennero importantissime anche altre due etichette: la Planet-Mu di Mike Paradinas e la Rephlex Records di Richard D. James, quest’ultima divenne un vero e proprio trampolino di lancio per tutti coloro che avevano abbracciato questa “subcultura” fino al punto di produrre loro stessi questa musica cervellotica e futuristica. Proprio in questo ambiente mosse i primi passi il ventunenne Tom Jenkinson, un raver con la passione smodata per il jazz. Inizia nel 1994 pubblicando un primo EP a suo nome e poi Alroy Road Tracks sotto lo pseudonimo di Duke Of Arringay. Abbandona subito questo nomignolo, iniziando a firmarsi come Squarepusher.
Nel 1996 il giovane Jenkinson svolta la sua carriera, l’IDM è in costante ascesa e insieme ad altri pionieri ha il terreno fertile su cui creare una cultura musicale basata sulla sperimentazione più assoluta e libera. L’astronave Squarepusher decolla ufficialmente con Feed Me Weird Things, in cui si inizia a capire quale sarà la sua strada, un disco in cui il jazz è fondamentale e si annida tra i ritmi d’n’b, un disco che si colloca esattamente a metà tra l’elettronica e la jazz fusion. Lasciata la Rephlex, decide di firmare con la Warp che si accaparra l’esclusiva su tutte le produzioni di questo giovane talentuosissimo. Diventerà una colonna portante dell’etichetta, in una liaison che continua ancora oggi. Apre con Port Rhombus, EP in cui il jazz è ancora presente rispetto agli elementi elettronici, esistenti in qualche cambio ritmo di batteria tra gli imponenti riff di basso, come in Problem Child, un antipasto rispetto ad Hard Normal Daddy. Questo disco è una novità assoluta per l’epoca, arriva dopo alcuni dei migliori EP di Aphex Twin e alza a sua volta l’asticella. È l’esempio più limpido ed efficace della resa delle idee di Squarepusher e si può dire anche un buonissimo esempio di IDM, in cui inserisce quei suoni che oggi possiamo definire unici del genere. È ingombrante la sua passione per il jazz che qui viene inserito come preziosismo all’interno di alcuni brani (Papalon o Male Pill part 13). Suona perfetto in tutte le sue parti, il primo disco è un successo.
Dopo altri EP, nel ’98 esce il terzo disco Music Is Rotted One Note, da qui in avanti avremo un altro cambio radicale, abbandona il ritmo incalzante a favore di una ricerca volta all’avantgarde, è in rottura rispetto a Hard Normal Daddy. Un disco in cui si notano tutte le contraddizioni che lo accompagneranno per tutta la sua carriera. Una buona produzione, tecnicamente perfetta, come tutte quelle che seguiranno ma con alcuni passaggi poco comprensibili o azzardati. La carriera di questo folle gallese prosegue tra intuizioni geniali e divagazioni sconnesse fino ad oggi. Dopo venticinque anni di musica non ha mai smesso di studiare, scommettere (Ufabulum o la posizione di leader nella band dotata di caschi luminosi: Shobaleader One) e sperimentare (come la soundtrack del programma per bambini CBeebies o il disco per il collettivo robot, Z-Machines).
Cinque anni di inattività, che per la furia produttiva di Tom Jenkinson sono un’eternità e decide di riprovarci, con un azzardo, portando le lancette dell’orologio a quell’ormai archiviato periodo degli anni ’90. C’è da dire che il contesto musicale odierno è cambiato totalmente rispetto anche a soli 5 anni fa. Quelli che erano considerati i “topi di biblioteca dell’elettronica”, oggi sono divinità, celebrate dal pubblico e dalla critica. Basti pensare ad Aphex Twin che è invitato come headliner in giro per il globo o alla reverenza che si ha quando si parla di Autechre, µ-Ziq o Boards of Canada.
Col passare del tempo gli ascoltatori si sono abituati, vuoi per moda, vuoi per nostalgia a questi generi musicali schizofrenici e cervellotici. Per queste ragioni un disco come Be Up A Hello, nel 2020, ha totalmente un pubblico nuovo e differente. Il “ritorno a casa” di Squarepusher è uscito il 31 Gennaio. Si riappropria del suo moniker, spolvera letteralmente la vecchia strumentazione e decide di riprovarci con un esempio magistrale di drill n’ bass. Oltre ad aver abbandonato tutti i diversi software, creati e sperimentati da lui stesso in questi anni, torna a rapportarsi nuovamente con la macchina come una volta.
Il disco apre con Oberlove e Hitsonu che potrebbero essere entrambe nella soundtrack di un videogioco per il Super Nintendo, suoni in 8-bit, note lunghe e acuti random che si stagliano contro il ritmo rimbalzante stile puzzlegame. Subito dopo abbiamo un’altra doppietta interessante, formata da Nervelevers e SpeedCrank, due tracce impregnate di nostalgia in cui si sente la drum ‘n’ bass e tutta l’eredità della musica nerd in cui è cresciuto. Violente come il sound della giungla urbana negli anni ’90 e vagamente dubstep a tratti. Detroit People Mover è invece un brevissimo spazio di pace nel cuore di Be Up A Hello, il momento in cui la macchina assume una forma più umana e accomodante. Un’ avanguardia sensibile e necessaria per prendersi una pausa di riflessione, come quando ci si sposta sui mezzi pubblici per muoversi da una serata verso un’altra. Con Vortrack imbocca una strada più oscura, si tratta di un pezzo grezzo, acido e vagamente barcollante. Troppo confusionario, ma efficace nella sua complessità e articolazione, che stordisce e sfianca l’ascoltatore.
Be Up A Hello si chiude con Mekrev Bass, basso glitchato e sample 8-bit che si smaterializzano, potrebbe essere il suono di un videogame cabinato, abbandonato sotto una violenta grandine. L’ultimissima traccia è però 80 Ondula, un pezzo sperimentale e catartico dopo la serie di deliri a cui sottopone chi l’ascolta.
Nel complesso, si tratta di un lavoro che è sicuramente un esercizio di stile: il compito a casa di Jenkinson che consegna ai fan, desiderosi di un suo ritorno alle origini. Non c’è nulla di totalmente nuovo o folle in questo LP, è un bell’esempio di come ci si ritrova quando si tenta di scappare o di annullarsi in un software. Un disco che è un ibrido perfetto tra l’uomo e la macchina, un binomio dal quale siamo già ossessionati nella nostra vita quotidiana, e sempre di più col tempo che passa.