di Riccardo Riccardi e Seppino Di Trana
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Negli ultimi anni, che valgono tanto visto che di anni ne ha ancora pochi, lo Spring Attitude riesce sempre di più a farsi attendere e desiderare. Ci riesce grazie ad un’idea e ad una personalità forte ed ispirata che vengono fuori non solo durante i giorni del festival ma durante tutto il corso dell’anno.
Le Spring Attitude Waves della scorsa estate ci hanno travolto ancora intontiti dai live di Four Tet, Jon Hopkins, Gold Panda della scorsa edizione e ci hanno deliziato con concerti straordinari (Bonobo, Darkside, Machinedrum..) che hanno fatto rapidamente e inesorabilmente innamorare il pubblico più attento di quel logo SA ormai simbolo di qualità e innovazione (quest’anno il primo giugno hanno proposto Shlohmo). Le meravigliose SA Preview di quest’anno (M+A, The Giornalisti, Jolly Mare, Nils Frahm)hanno iniziato a scaldare e profumare l’aria, con un’attesa che diventava sempre più frizzante e frenetica.
Insomma Spring Attitude sta diventando una lucente presenza, costante e consolatoria, nella Capitale e dire che ne avevamo bisogno è dire poco.
A Roma non siamo più abituati a questo spirito. Non siamo abituati ad avere a che fare con progetti nell’ambito culturale/musicale che non abbiano come principale se non unico fine quello dell’autocompiacimento radical chic o del tirare giù un po’ di soldi senza avere una minima idea di quello che si sta facendo. Tanto per essere chiari: Roma è il posto dove chiamano rock-festival far suonare una sera i Megadeath e la sera dopo David Guetta nello stesso posto. Come violentare la parola Festival.
Un festival è un’entità viva, è la finestra sul mondo di una dimensione musicale e culturale. Spring Attitude sta crescendo in questo senso e lo sta facendo bene, lo fa guardando ai festival europei ma andando ben oltre la semplice imitazione, la ricercatezza con cui, specie quest’anno, sono stati scelti i luoghi del festival ne è l’esempio più fulgido: trovatemi un festival in Europa che abbia delle location paragonabili in termini di importanza artistica e storica oltre che di bellezza. Accanto a questo il cartello ricchissimo di nomi italiani legati ad una scena elettronica che sta attraversando una fase di slancio entusiasmante, dopo anni di vessazioni e repressione, non può che essere un segnale importante di identità.
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MAXXI- Museo delle Arti del XXI secolo
Quest’anno il festival inizia di giovedì, all’interno di una delle più importanti opere di architettura contemporanea al mondo, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, creazione di Zaha Hadid. La cosa è tutt’altro che secondaria dato che il teatro dell’evento diventa esso stesso parte dello spettacolo. Già dall’avvio, affidato a Robert Henke, una delle figure che si può definire, senza troppa paura, più importanti della musica elettronica-digitale degli ultimi decenni, date una letta alla sua biografia se non vi fidate. Il suo live è per orecchie allenate, droni ambient che fanno da base a minimalismi elettronici d’alta scuola, decibel altissimi che rendono le onde sonore quasi tangibili, il tutto immerso nelle luci rosso fuoco che invadono la sala d’ingresso del Museo. Ma il momento in cui l’accoppiata architettura, musica e arte digitale è più fortemente indivisibile, è quando sotto il cielo fresco e stellato di Roma, Edwin Van Der Heide mette in scena il suo LSP; lo show di suoni, laser a bassa frequenza che nella nebbia formano immagini tridimensionali nel maestoso cortile del MAXXI regala ad un pubblico che fa fatica a capacitarsene, senza dubbio la performance più suggestiva e indimenticabili di tutta l’edizione.
In seguito sul lobby stage segue l’enfant prodige Yakamoto Kotzuga, con una performance d’alta classe e maturità inizia a far ballare il foltissimo pubblico che si è accumulato. Contemporaneamente nell’auditorium si esibisce prima Dean Blunt, ma accedervi è impossibile, a cui segue la bellissima performance dei Quiet Ensemble, avanguardia pura tra piante, frutta, luce e oscurità, meritano una menzione d’onore.
A chiudere il tutto ci pensa un aficionado di Roma, John Talabot, come al solito set di estrema qualità, coinvolge il pubblico come non mai, sembrano le due di notte ma sono a malapena le undici e mezzo.
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MACRO, Museo d’Arte Contemporanea di ROma- LA PELANDA
Gli spazi del Macro a Testaccio costituiscono un po’ il campo base di questa edizione, venerdì sera, sabato pomeriggio e domenica sera l’appuntamento è qui, tra i capannoni e le vie di quello che era l’Ex-Mattatoio della Roma di inizio Novecento.
Per l’occasione gli spazi quest’anno sono stati riconcepiti permettendo la creazione di due palchi, di cui uno più grande con un’ estesa platea ed uno più chiuso e raccolto, già presente lo scorso anno, ed un ampio spazio all’esterno. Restyling risultato vincente rendendo l’ambiente molto più vivibile e fruibile da parte dell’enorme folla di gente che ha riempito in particolare la serata di venerdì.
Venerdì è purtroppo anche la serata dei forfait: prima Clap!Clap! e poi i Glass Animals hanno disdetto all’ultimo secondo la partecipazione, rendendo il cartello sicuramente meno allettante. Ad aprire la serata sul palco principale sono stati i caldi e pulsanti ritmi di Ambassadeurs a cui ha fatto seguito la brillante performance di Shigeto. Nel frattempo Populous faceva da mattatore sul Pelanda Stage, tra le performance meno degne di nota di Redinho, Fantastic Mr Fox e Dj Khalab.
Sul palco principale quando ormai la serata è arrivata nel culmine sale Romare, acclamato dj brittanico dall’house molto dancefloor- oriented condita da richiami hip-hop che scaldano adeguatamente la platea preparandola al set più atteso della serata. SBTRKT inizia mettendo You and Whose Army, proprio quella, dilatata sopra synth infiniti tra luci blu-ghiaccio che provocano un effetto calamita su tutto il pubblico che si schianta letteralmente sotto al palco. Set divino che butta dentro pezzi da ogni meandro della musica, dai Radiohead a Drake a Jamie XX. La varietà è tale che incontriamo nelle retrovie un tizio che urlava verso la fine del dj-set “Mettece er Piottaaaaaa”.
L’avrete letto già dovunque ma è proprio vero, se dal vivo il producer inglese è una delusione come dj è una bomba.
Ma la gran parte degli eventi organizzati al Macro si svolgono con la luce del giorno dividendosi tra il palco principale scoppiato la sera prima e la godibilissima area all’aperto.
Il sabato c’è Godblesscomputers che si dimostra ispiratissimo e per nulla intimorito dall’ambientazione pomeridiana regalandoci un grandissimo live (per noi è di diritto sul podio del festival) nella luce che filtra dai solari della pelanda. All’aperto a smuovere l’esercito di occhiali da sole, biretta e bambini ci pensa prima l’italiano Sine One, e poi il duo inglese Scratch Perverts, vera chicca di questo pomeriggio, irresistibile set tra hip-hop anni ’90, soul e big beat, il tutto condito da vinili e scratchate d’altri tempi, quanto di più godibile si possa avere durante un tramonto di maggio.
Chiudono i giochi i Ninos Du Brasil, tribalismo duro e crudo, live d’impatto ma che non sorprende più.
La domenica invece sul palco principale c’è Indian Wells che suona dopo un set tirato e divertentissimo di Mr. Roul K all’aperto (a causa delle richieste “e mettece n’altro pezzo” ha finito di suonare un’ora dopo rispetto al previsto) e manda un pubblico di irriducibili totalmente in bambola con le sue atmosfere eteree ed indefinite colorate con i suoi visual d’effetto a tema tennis (proprio qualche ora dopo la vittoria di Djokovic agli Internazionali di tennis). La sensazione è tanto forte da non permetterci di rimanere per il live (a detta dei presenti ottimo) di Clark.
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Spazio Novecento
È il luogo simbolo di questi primi anni dello Spring. Locale maestoso inserito all’interno del Palazzo Dell’Arte Antica, imponente costruzione neoclassica di epoca fascista che compone uno dei quartieri architettonicamente più unici e sorprendenti della città. Ed era pieno (ma a dispetto dei timori di molti non eccessivamente) di gente di ogni tipo.
Due palchi: l’immenso palco principale dove viene confermato l’impianto scenografico dello scorso anno, tutto luci e led e il backroom stage. Proprio in quest’ultimo la prima parte della serata ci regala dei live set straordinari: Youarehere, Drink To Me, Omosumo, tutta roba italiana, tutta roba ad alto tasso adrenalinico-emozionale. Sarà che questi ragazzi vengono da anni di gavetta e palchi del genere sono ovviamente fonte di emozione ed esaltazione, ma le loro performance sono davvero di estrema qualità.
Sul palco grande la serata inizia a prendere piede con Kelela, eleganza e sensualità, voce calda ed irresistibile, ritmi r’n b’ su morbide basi elettroniche, meravigliosa da vedere e sentire.
Una delle esibizioni più attese della serata era l’anteprima mondiale del progetto Siriusmodeselektor, nato dalla collaborazione dei Modeselektor con Siriusmo.
Che dire, date una platea a questi tre che la faranno saltare peggio di un terremoto giapponese; elettronica a puro stampo danzereccio, con una notevole dose di ruffianaggine, aiutata da visual stratosferici con i quali letteralmente dialogano con il pubblico (You have been the best audience we ever had) sono gli ingredienti perfetti per un live quanto meno spettacolare e senza dubbio vincente.
Dopo di loro a notte inoltrata, gli organizzatori dello Spring tirano fuori la carta vincente, il finale migliore che potessero regalare all’edizione di quest’anno, Apparat. Chi l’ha visto nei suoi set anche solo una volta avrà ancora fresco l’emozionale rapimento che ogni volta riesce a creare, un unico grande caleidoscopico magma sonoro che si sprigiona da quella piccola faccia d’angelo, che durante tutto il set è lì con la sua tipica espressione scazzata, ma stasera abbiamo anche intravisto qualche sorriso, mentre la sua musica crea un ponte unico con la platea. Set come sempre di classe sopraffina che tra pezzi di alta scuola come Kill 100 degli X-Press 2 e Go di Moby, e bombe più recenti come Hold on di SBTRKT, conduce fino alle prime luci dell’alba che affiorano dagli immensi finestroni e scaldano la pelle.
Quando, avendo deciso di uscire un po’ prima, ci fermiamo sotto le colonne, tra l’obelisco dell’EUR ed un paninaro sentiamo le note inconfondibili di New Error il giorno è già iniziato da un pezzo. Ed è maestoso!
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Come avrete capito oramai non si può più parlare di Spring Attitude come di un evento più o meno bello di musica elettronica che si svolge in un dato posto ad una certa ora; Spring Attitude è una vera e propria esperienza a tutto tondo in cui il pubblico si trova immerso in un’atmosfera caratterizzata da luoghi incredibili accompagnato da una colonna sonora che è il meglio che la musica contemporanea possa offrire.