Specchi, Pt.2

II.

Illustrazione a cura di MariaElena Bissoli

Alle due meno dieci sono già davanti al luogo dell’incontro, qualcuno già dentro si sta sbronzando e mi chiede da accendere. I veri artisti li trovi lì, e non passa tanto tra un ubriacone e un poeta, entrambi sanno di non trovare pace nel mondo normale, questione di punti di vista e di specchi, ognuno si riflette in quello che trova più consono. La bottiglia è sempre quella meno dolorosa, ma che soddisfazione. Puntuale come una svizzera arriva, in una mise che sfida più il freddo che la bellezza giovanile in fiore. Il suo sguardo punta dritto alla meta, il mio letto, e la firma sul suo contratto. Si sta al gioco in questo mondo, sennò rischia di ucciderti, e per quello ci sei già tu. Ad ognuno il suo carnefice. Al tavolo c’è Chopin che suona dal cd di qualcuno, per aumentare l’aria di bohème di cui qualcuno non è mai sazio, il tavolo rude, la carta dei vini tra le mie mani, lei e la sua bocca decisa su di me, il fascino di un fiore appena sbocciato mi fa sembrare un vecchio davanti ad un asilo, io non ci sono. Quando ordino il cameriere, pieno di adolescenza nel guardare la mia accompagnatrice o forse soltanto per la sua acne, si stupisce che a quell’ora si possano già fare affari, più per me che per il suo posto da alienati, probabilmente mi avrà preso per un magnaccia, di quelli che si fanno vedere solo in certi posti, con una storia di droga alle spalle, e che si fa le ragazzine perché sua madre lo picchiava e cambiava uomo ogni notte ma, in verità, l’unica puttana seduta a quel tavolo, sono io. Ed entrambi i commensali lo sanno. Ma sono finiti i tempi degli eroi, degli incorruttibili, di quelli che non sanno o non vogliono sapere, anche in questo ci ha corrotto internet, se puoi sempre sapere dove è qualcuno, puoi sapere anche certe cose sul tuo conto ed è da bambini ingannarsi e raccontarsi delle bugie, a quello specchio ci arriviamo tutti. La sua conversazione è banale, mi annoia stare a sentire certe banalità dette e ridette, quando l’obiettivo è un altro, e non lo dico perché mi sopravvaluto, nessuno si sarebbe dato la seccatura di trovare un numero privato di qualcuno se non per ottenere qualcosa. Non arrivo nemmeno al secondo bicchiere, che il mio vestito si è già macchiato e ci dirigiamo verso casa sua.

Nella vita devi capire che puoi contare per qualcuno fra i venti e i trenta, quelli che ci sono dopo sono solo per le coppie sposate e per le certezze, su di te, su quello che vuoi credere, sul tuo Dio o sulla tua amante. Ci hanno concesso dieci anni per essere vivi, il resto lo devi ridare indietro con gli interessi, facendo proseguire la specie, perché qualcun altro si possa arricchire alle sue spalle. Questione di riflessi, per i comuni mortali ancora intrappolati nella mediocrità del vivere. Tutte le grandi rockstar erano loro stesse quando erano in quell’età, poi sono diventati riflessi di ciò che erano prima e quelli più sinceri si sono tolti di mezzo. È la vita dell’artista, bruciarsi nel momento migliore, Busquiat, Cobain e tutti quegli altri miti da ragazzini. Siamo tutti un po’ artisti in quell’età, perché poi ci rassegniamo ai conti da pagare e al fatto che non siamo più eterni. Il suo appartamento è quello tipico di una ragazza di un’età dei sogni e dell’alta società, vicino al centro, al secondo piano, pieno di opere d’arte e degli scontrini pagati dalla madre rimasta vedova, ma poco importa, non sono lì per fare il critico e nemmeno mi importa. Mentre mi mostra il suo ultimo acquisto da harrods le infilo la mano sotto la camicetta, sulla schiena nuda, che al tocco della mia mano vibra. So quello che penserebbe chiunque, so che qualcuno penserebbe che sia soltanto uno che si approfitta dei sogni altrui, un patetico borghese senza pudore. Quello che non si ha si invidia, pure il coraggio, o si diventa scrittori, e allora lo si immagina, ma certe reazioni elettriche sono avvertimenti del nostro corpo che vanno esauditi, dai venti a trenta, prima di perdere ciò che si chiama paura e che dà un altro senso alle cose. Il mondo è di chi si sa vendere, lo sapete, ma è un mondo di merda. Ancora una volta il mio cuore, con il suo dannato battito, supera i rumori nella stanza e mi condanna alla solitudine. Sono le cinque passate, mi si è riaperta la ferita sul viso. Lei dorme accanto a me, il suo viso ha un che di angelico, le rughe sul suo volto sono la certezza di una passione che si è consumata al ritmo dei nostri movimenti, ed è come la pacca sulle spalle del padre che qualcuno non ha mai voluto avere. La sveglio, con la classica espressione di chi, per te, ruberebbe anche la luce alla luna per ringraziarti di quello che gli hai concesso, ed è così. Certe volte la solitudine la si caccia soltanto facendo cose per cui si è nati, l’istinto ad esempio, che ti protegge pure da te stesso. Mi lascia quello che deve essere il suo numero personale e mi dice di chiamarla di nuovo, ma soltanto di mattina, perché il suo ragazzo è molto geloso. Molti uomini e donne hanno un destino strano nel rapporto con gli altri, alcuni nascono soltanto per essere un sogno che qualcuno distrugge e impacchetta nella propria interiorità senza che ti venga lasciata la ricevuta, il destino dell’amante eterno, del sogno proibito, di quello che si vorrebbe ma che non si fa mai l’azzardo di avere, e si lascia solo e nudo davanti a qualcosa di sconosciuto, l’apprezzamento di sé, che dipende inevitabilmente dagli altri, dal loro inferno. Prima di andarmene mi lascia una cartella, il vero motivo dell’appuntamento. Ci sono continui scambi tra le persone, l’attimo di uno sguardo, il resto dal giornalaio, la mancia ad un cameriere simpatico, e nessuno sa mai l’interpretazione che farà quello davanti a lui. Il capitalismo ti toglie di questo intralcio, ogni cosa è inserita nel suo apposito contenitore, e da lì non esce più, alla fantasia umana, ormai, è rimasto ben poco, il cinema forse, e qualche donna particolarmente romantica.


Qui il primo capitolo

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