sPAZIO 211 è un locale non troppo grande e che si riempie in fretta, ma che si distingue per la vivacità del suo pubblico e l’intensissima programmazione: si può dire, senza esagerare, che sia oggi il locale dove passano tutti i gruppi principali dell’indie italiano e internazionale che si fermano a Torino. È situato nel quartiere di Barriera di Milano, che si trova sempre a Torino e non ha niente a che spartire con la Lombardia, se non il fatto di condividere lo stesso ambiente di periferia delle principali città lombarde, fatto di stradoni e palazzoni grigi e decadenti ricoperti da coloratissimi graffiti e circondati da parchi desolati, campetti tenuti male, piccole botteghe multietniche e centri commerciali.
Il contesto ideale, insomma, per il concerto di chiusura degli Spartiti, progetto allestito da Max Collini e Jukka Reverberi in cui si evolvono e si incrociano due delle identità più caratteristiche dell’indie italiano degli ultimi anni. Ideale perché riproduce a Torino lo stesso ambiente di Reggio Emilia in cui Collini e Reverberi sono cresciuti e che hanno riportato nei testi e nei suoni che hanno riprodotto sul palco per cinquanta volte esatte, dalla prima uscita appunto a Reggio Emilia, nel marzo del 2016, all’ultima, ottobre 2017.
Max non si lascia distrarre da convenevoli, sale sul palco all’improvviso una mezz’ora dopo l’orario concordato, esordendo con il suo ormai atteso saluto: “compagni”, e poi attacca col primo brano, “Io non ce la faccio”, che mette in musica l’incipit del romanzo Bassotuba non c’è più del corregionale Paolo Nori. Seguono, a catena, tutti gli altri pezzi di Austerità, l’EP messo su dal duo nel 2016, e Servizio d’ordine, l’EP lanciato quest’anno, nella seconda parte del tour. Il primo è Banca Locale, uno dei pezzi più amati e che forse più ricordano le atmosfere del progetto precedente di Collini, quegli Offlaga Disco Pax che probabilmente rimpiangeremo per sempre, pur senza togliere nulla alla meravigliosa sinergia che Max e Jukka sfoggiano insieme nella loro performance, che è completata dai visuals del regista Filippo Biagianti, ormai parte integrante del progetto e che riporta il numero di menti coinvolte nel processo creativo al tre che rimanda alla perfezione. Il pubblico è il classico pubblico degli appassionati, e coinvolge persone di età varia venute un po’ da tutta la zona nonché da fuori, per esempio un compagno proveniente dal Canton Ticino che Max saluta personalmente.
A conclusione di una generosa scaletta di quasi due ore, gli Spartiti si congedano con una cover dei Massimo Volume, Qualcosa sulla vita, che porta Collini a rievocare, come in ogni serata, il caro Enrico Fontanelli che glie l’aveva introdotta e l’aveva proposta come cover per il loro gruppo precedente. Max lascia il palco, visibilmente emozionato, abbassando il capo, mentre Riverberi si scatena in una suite di chitarra e pedali di grande intensità, e vi torna solo per i saluti finali. Ripensare a Fontanelli mi riporta al periodo in cui è venuto a mancare, in cui vivevo in Inghilterra, e alla sera in cui mi trovavo a Londra e mi sono trovato a passare per Brick Lane tappezzata di manifesti con la sua foto e l’invito al tributo alla scomparsa così prematura di questo musicista così amato. E mi fa tornare in mente la prima volta che ho sentito questa cover, a Milano, l’anno scorso, più o meno in questo periodo, avvolto nel rigore un po’ asettico e a tratti fighetto del Santeria Social Club, appagato per aver potuto finalmente vedere live uno dei progetti che aspettavo da più a lungo, mentre appunto vivevo fuori Italia.
All’uscita saluto Max al solito banchetto, come a Milano mi chiede se il concerto mi è piaciuto, con la sua solita affabilità che attira una pronta, e ovvia, risposta. Gli strappo una delle locandine realizzate appositamente per questo evento, che richiama il Sessantotto francese, dietro la promessa di un report per questo live conclusivo, promessa mantenuta. Come potrebbe non piacermi l’esibizione di una delle più originali proposte della musica italiana contemporanea, che vive un periodo così scarno di proposte interessanti.
Come potrebbero mai deludere questi due personaggi che hanno preferito mantenersi fedeli alla dimensione indipendente dei loro progetti musicali piuttosto che riversarsi sul mercato del mainstream finto alternativo, e che continuano a proporre un’alternativa tutta nazionale alla canzonetta sanremese, ai mediocri cantautori hipster e ai gruppi senza fantasia che riadattano suoni rubacchiati a bands americane o inglesi, portando a una maturazione e un’intensità tutta propria questo genere di narrato su basi suonate dal vivo inaugurato in tempi non sospetti dai CSI, e ripreso magistralmente dai Massimo Volume che vengono pure omaggiati con rispetto e senza competizione. Così mentre ci prepariamo a rivedere Collini come parte dell’ensemble riunita da Massimo Zamboni nel progetto I Soviet + l’elettricità, tra qualche settimana al Teatro Colosseo, e aspettiamo Reverberi che torna in studio per il nuovo disco dei Giardini di Mirò, speriamo di rivederli presto tornare insieme, per riaprire i loro Spartiti.