Il viaggio in tre parti tra i suoni e le storie di Napoli si conclude con la Napoli underground: affondiamo nel cuore punk di Napoli, tra i suoi locali e i suoi sotterranei, per arrivare a perderci tra i suoni di band storiche come 99 Posse, Almamegretta e 24 Grana. Qui potete trovare la parte uno, e qui la parte due del viaggio. Buona immersione.
Ernesto Razzano è autore di Firenze lo sai, suo primo romanzo uscito per Edizioni 2000diciassette. Scrive di musica per magazine e periodici ed è fondatore del Morgana Music Club di Benevento.
Si ringrazia Toty Ruggieri per le fotografie al Diamond Dogs. In copertina il concerto dei Cristian Death.
Napoli Sotterranea
Ma Napoli ha anche una potente anima underground che trova posto nei cunicoli, nei canali e nei passaggi del suo sottosuolo, stratificato nei secoli da storie e civiltà diverse. Da New York prima e da Londra poi, intanto, parte la rivoluzione del punk, che da fenomeno musicale si trasforma anche in subcultura giovanile, facendo presa sui giovanissimi che trovano finalmente un nuovo modo di essere sé stessi senza dover dare troppo conto agli altri. Sono molte le città italiane in cui il punk ha una certa presa: Bologna tra le prime, con Milano, poi Firenze, Pordenone e via via tante altre, ognuna con le sue peculiarità. È l’ultima grande rivoluzione musicale a livello planetario, qualche tempo dopo ci sarà il grunge di Seattle, ma per quanto diffuso non raggiungerà la profondità con cui il punk è stato capace di parlare a una generazione. La filosofia del Do It Yourself, mette in moto il protagonismo, individuale e collettivo, il “fai da te” accorcia i tempi e il rapporto con la possibilità di fare musica, niente più mediazione tramite le grosse etichette, niente attesa di entrare nelle grazie dei critici musicali, né tanto meno una tecnica da perfezionare all’infinito, si comincia ad autoprodurre dischi, a fondare etichette indipendenti e fanzine su cui scrivere e scriversi in modo da stabilire i primi contatti e mettersi “in rete”, tramite la posta, prima ancora del web. Il punk urlava, io ci sono, noi ci siamo, eccoci. E andava oltre la musica perché i seguaci di questo nuovo genere avevano un loro abbigliamento, un proprio codice di riconoscimento, dal taglio di capelli, con la cresta o colorato, a jeans strappati, anfibi, giubbini di pelle, spille da balia appuntate nella carne viva, borchie appese agli indumenti e un dito medio alzato al sistema a definire distanza e territorio. A Napoli sono pochi inizialmente i punk, non hanno ancora luoghi ben definititi dove trovarsi per suonare o per ascoltare musica. Sono pochi si, ma visibili. Così i primi ritrovi sono i muretti di Piazza del Gesù, Piazza dei Martiri e De Marco, un negozio di dischi, al Vomero, quartiere in cui si trova anche un altro ritrovo, che seppur piccolo è molto frequentato e si chiama Cantina Sica.
“A Napoli e provincia i dissidenti al culto delle Timberland, del Moncler e dei fratelli Vanzina, si compone di varie tribù. Ci sono i punk di Mugnano, quelli di Piazza del Gesù, quelli di Cavalleggeri, che sono un po’ più fashion alla Clash, i metallari della Napoli bene che vanno ogni estate a fare delle presunte vacanze studio a Londra, quelli che invece vengono dalle periferie, i dark del Vomero, e poi ci siamo noi fricchettoni, i figli dei fiori fuori tempo massimo, gli ultimi giapponesi di Woodstock.” Sacha Ricci (99 Posse) in Curre Curre Guagliò di Rosario Dello Iacovo
Foto di Tony Ruggieri: Bisca al Diamond Dogs
Quella che viene riconosciuta come la prima punk band a esibirsi in pubblico va sotto il nome di Underage. Avrà una vita breve, solo qualche anno, ma per più di un motivo sarà una vera apripista, con la manciata di canzoni dell’Ep dal titolo “Africani, Marocchini, Terroni”, stampato dall’etichetta emiliana Attack Punk Records, artefice anche delle uscite dei CCCP – Fedeli alla Linea di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni.
“Il primo vero concerto punk a Napoli: 13 aprile 1982. La venue prescelta è lo ZX di Via Atri e il pubblico di indemoniati arriva perlopiù dalla fauna di De Marco Dischi e delle fanzine come Megawave” Caludio Biazzetti
A creare e curare la fanzine Megawave (ma anche Shock e Hate Again tra le prime del sud), è Davide Morgera, batterista degli Underage, (e ancor prima degli Elettroencefalogramma) uno dei primi punk napoletani. Ma se i primi gruppi cominciano a formarsi, le registrazioni cominciano a girare e i posti di ritrovo ad essere sempre più frequentati, mancano ancora dei luoghi appositamente dedicati.
Non sono ancora molti i punk a Napoli, ma di sicuro cominciano a farsi notare per le strade, attirano sempre più l’occhio di chi in qualche modo intravede una propria possibilità di essere fuori da schemi e panni che cominciano a essere stretti. I piccoli gruppi nei vari quartieri aumentano e cominciano a riconoscersi.
“Siamo in coda agli anni di piombo. Sono gli anni dell’epidemia di eroina che, come l’epidemia di crack negli Stati Uniti, cancellerà un’intera generazione di attivisti politici; dello stato che scende a patti con la camorra tramite i servizi segreti, mentre la realtà di tutti i giorni è diventata un’esperienza kafkiana. Non è affatto un eccesso di immaginazione affermare che il tentativo di rivoluzionare il caos che soffocava la città da parte dei giovani di Napoli, come i frequentatori del Diamond Dogs, abbia gettato le basi di fenomeni a venire.” Paolo Pontoniere in Diamond Dogs, Officina post industriale -1984-1987, Napoli di Toty Ruggieri
Foto di Tony Ruggieri: Diamond Dogs
Creste punk, disoccupazione e creatività
“Un portone di ferro arrugginito a Cavone San Gennaro, Rione Sanità, apriva un accesso a un cordone ombelicale di scale ripide che, riemergendo dalle viscere della colina, collegava il club al resto della città sovrastante e questa al suo ventre stratificato: agli acquedotti abbandonati d’epoche immemori, alle chiese paleocristiane, alle cave di tufo Greco-romane, ai cunicoli militari dei Borboni, alle stalle e ai postriboli della Corte dei Miracoli. In fondo si andava a sbattere nella cabina di regia: l’abitacolo di un camion nel quale ogni notte si accavalcavano, registi e registrati, a creare visoni paleo-tecnologiche di futuri digitali che, inconsapevoli della loro valenza, anticipavano di almeno un ventennio l’avvento di un nuovo universo mediatico. La caverna maggiore tutta graffitata in stile mittel-europeo ospitava concerti, danze e azioni teatrali.” Mattia Ruffolo
In questa prima metà degli anni Ottanta in Italia prende forma un vero e proprio circuito Punk Hardcore, che comincia a prendersi degli spazi e a organizzare concerti. Il Virus di Milano è certamente uno dei più importanti insieme al Victor Charlie di Pisa. Gli americani Black Flag rappresentano senza dubbio un riferimento per tutta la nascente scena che sarà capace di diffondersi quasi capillarmente in ogni città. A Napoli, insieme agli Underage, fanno da apripista i Contropotere, che nascono dalla fusione dei padovani Link Larm con i partenopei Elettrokrazia. Prendono forma al quartiere Stella e in seguito daranno vita, al Rione Traiano, al primo centro sociale cittadino, il Tienamment. Sono anni in cui i locali aumentano, resiste dagli anni Settanta il Seventh Sky a San Martino, si aggiungono il Trilogy al Vomero e Room Kay nella zone di Piazza dei Martiri, ma a prendersi la scena tra il 1984 e il 1987 è il Diamond Dogs, (il nome è preso dalla canzone di David Bowie) capace di mischiare le atmosfere centro europee dei club underground con le nascenti pulsioni artistiche e culturali che si facevano sempre più vive nel ventre di Napoli.
Ricordiamolo sempre che Napoli era incerottata dal terremoto, con fiumi di eroina per le strade (come in gran parte dell’Italia di quegli anni), una politica sempre più schiava del malaffare, una disoccupazione giovanile in perenne aumento e un movimento sopravvissuto agli anni Settanta in evidente riflusso. Ma una nuova generazione e una nuova stagione di lotte e impegno sociale era alle porte, anzi già cominciava proprio in quei luoghi a fare le sue prime esperienze di autogestione di spazi e creazione di luoghi alternativi, aggregativi e di un nuovo con un pensiero del futuro. Tutto ciò avrà una ricaduta importante anche dal punto di vista creativo e musicale. Proprio al Diamond Dogs farà le sue prime esperienze in consolle Marco Messina, mentre in un gruppo punk, dal nome Randagi, suona il basso Massimo Jovine, e nel frattempo Luca Persico sugli autobus della tratta Giugliano – Napoli e ritorno (il 160), comincia a familiarizzare col soprannome Zulù. Si prepara la stagione delle occupazioni e delle lotte e comincia a prendere forma anche la vicenda artistica e umana dei 99 Posse. Ma intanto restiamo ancora un attimo alla Sanità, nei cunicoli di Cavone San Gennaro, quando il Diamond Dogs ospita il concerto dei losangelini Cristian Death, portando nelle viscere di Napoli oltre ad un post punk dal sapore gotico, anche quattrocento persone per lo show. È un momento di svolta, sebbene niente sarà facile e scontato, si percepisce che la Napoli artistica, alternativa, certamente più arrabbiata sebbene ancora un po’ confusa, è di nuovo in moto. Cresce una risposta all’edonismo sfrenato (anche nell’accezione economica) degli anni Ottanta e alle discoteche frequentate con ostentazione dalla parte più rampante dalla classe dirigente.
Foto di Tony Ruggieri: Zerbino con il leader dei Cristian Death al Diamond Dogs
Il fermento in città non conosce pause, aumentano i locali, che diventano sempre più punti di ritrovo e condivisione, c’è il Rookery Nook a Corso Garibaldi, crescono luoghi più politicizzati come il Riot a Spaccanapoli. Iniziano a essere una realtà importante anche le radio libere, e viaggiano nell’etere alcuni programmi alternativi che propongono ascolti più ricercati, basati sui nuovi generi musicali. Comincia a emergere una fetta sempre più consistente di giovani che viene definita underground, agli occhi esterni suddivisa in piccole tribù e gruppi di appartenenza, che ascolta musica ancora considerata di nicchia, ma che in realtà non ha nessuna voglia di nascondersi, anzi proprio quando il mondo comincia a cambiare per davvero, parte di questa generazione riesce a fondere la spirito ribelle e la provenienza, per molti di loro, da famiglie operaie e politicizzate dai trascorsi nei movimenti del Sessantotto o degli anni Settanta, con le nuove lotte che si affacciano all’orizzonte, che irromperanno sulla scena nazionale e cittadina, con nuove forme come l’occupazione e la riappropriazione degli spazi, in un nuovo battito vitale, culturale, sociale e politico.
“Mentre nel resto d’Europa l’aggregazione giovanile era soprattutto conseguenza dell’estetica e della musica ascoltata – metallari, new romantics, skinhead, dark, herbert, rude boy, ecc. – a Napoli, i Selvaggi Napoletani, così ribattezzati dai media, diedero vita ad un movimento che cercò anzitutto di opporsi al caos sociale, valoriale, culturale e politico della superficie. La tribù sotterranea dei Selvaggi Napoletani era eterogenea, nessuno ne era escluso e nei tre anni di attività il Diamond Dogs club ospitò artisti, fotografi, musicisti, giornalisti, poeti, scultori, attori e liberi pensatori di ogni tipo e da ogni parte del mondo.” Pasquale Di Prizio
Foto di Tony Ruggieri: Diamond Dogs
Figli di Annibale e delle Lotte
Il mondo cambia sul serio, le cartine appese alle pareti delle scuole di tutto il mondo invecchiano nel volgere di pochi mesi. A Berlino la gente butta giù il muro, cambiando per sempre i confini geografici e umani di un sistema disegnato carta e penna in coda alla Seconda Guerra mondiale, in Cina gli studenti sfidano i carri armati di regime per chiedere libertà. In Italia i partiti sono in disfacimento e i loro capi alla sbarra in tribunale per aver rubato soldi. La mafia attacca le città d’arte con delle bombe che ammazzano inconsapevoli civili per scendere a patti con la politica “emergente”. I movimenti degli studenti e le manifestazioni contro il governo Berlusconi portano milioni di persone in piazza come non succedeva da tempo. Ma intanto in ambito strettamente musicale gli anni Novanta a Napoli si aprono con una sorpresa di quelle grosse. Uno dei tre o quattro musicisti più importanti di sempre arriva per uno show quasi segreto. Sir Paul McCartney ha appena sfornato un disco acustico a decide di fare qualche “piccola tappa”, tra cui anche Napoli.
“Del tutto insolita fu quell’unica tappa di Sir McCartney sul suolo partenopeo: l’assoluta atipicità della promozione pre-concerto, le scarne scenografie dello spettacolo, il clima informale e la scaletta di brani più «trasversale» di sempre hanno trasformato il concerto del Palapartenope del 5 giugno 1991 in un autentico cult, entrato nella grande storia dei concerti più importanti per il pubblico-rock italiano.” Michelangelo Iossa
Siamo a giugno del ‘91, e qualche settimana prima, a inizio maggio di quello stesso anno, altre cose importanti per la città e la musica erano appena avvenute. Ma per capirle fino in fondo contestualizziamole partendo da qualche tempo prima.
Una notte, tra natale e capodanno del 1989, a Roma, sulla Nomentana viene avvistata una pantera, la conferma arriva anche da una volante della polizia. Il fatto è certo quindi bisogna trovarla. Le ricerche vanno avanti per un po’ ma senza esito. Intanto a Palermo, da qualche settimana, la facoltà di lettere è occupata dagli studenti, in protesta contro la riforma che avviava un processo di privatizzazione dell’università. In poco tempo questa protesta si estende anche agli studenti medi, e nel giro di qualche settimane gli atenei delle principali città italiane (e molte scuole superiori), sono occupati. Quella pantera che si avvistava ogni tanto ma che non si riusciva a prendere divenne il simbolo di questa protesta con lo slogan “La Pantera siamo noi”. “Sono andato a caccia per i boschi e per le selve d’Italia e non ho trovato quella pantera, che sto ricercando. Ma per poterla trovare, mi è necessario investigare in modo ancora più razionale, affinché, con molto impegno, possa intrappolarla nella mia rete quella che manda dovunque il suo profumo, ma non si fa vedere in nessun luogo.” Scriveva Dante Alighieri nel De Vulgari Eloquentia paragonando la ricerca della pantera a quella del volgare illustre da cui partire per fondare la lingua italiana. A differenza di quella cercata da Dante, in quel periodo, la Pantera, fu vista in ogni città, in ogni università.
Le occupazioni costruirono tra loro una vera e propria rete tenendosi in contatto, in tempo reale, a colpi di fax. Verso la primavera le occupazioni finirono, ma lasciarono un segno di protagonismo importante, perché da quell’esperienza si imparò molto e altri spazi cominciarono a essere occupati. Anche Napoli fu protagonista della Pantera e alcuni incontri, alcune lotte in comune, aprirono nuovi orizzonti, cambiando pezzi importanti della città.
Assemblea del Movimento Studentesco “La Pantera”, presso Scienze Politiche Occupata Napoli
I posti occupati cominciavano ad esistere già qualche tempo prima delle occupazioni studentesche, tanto che nel 1989 lo sfratto violento del centro sociale Leoncavallo a Milano ad opera di una giunta socialista, fu una prima chiamata a raccolta del mondo antagonista e libertario, l’esperienza della Pantera non fece altro che saldare ancora di più questi vincoli, rinvigorirli e renderli più evidenti in ogni città.
La musica divenne un megafono fondamentale. La parola, il testo della canzone, diventa centrale e i posti occupati, i centri sociali, cominciano ad avere le loro voci. Arrivano come un pugno allo stomaco brani come Stop al Panico degli Isola Posse All Stars dall’Isola del Kantiere di Bologna o Batti il tuo Tempo degli Onda Rossa Posse di Roma, fatta ascoltare a una piazza intera dopo l’occupazione di un palco a fine manifestazione. E’ un momento di svolta e da Napoli arrivano brani potenti come Curre Curre Guagliò, Rappresaglia e Rafaniello dei 99 Posse, più marcatamente hip hop, e Figli di Annibale degli Almamegretta con sonorità dub che aprono al trip hop che intanto prende forma in Gran Bretagna con interpreti come Massive Attack e Portishead che in quegli anni frequenteranno molto la città (incluso lo stadio) di Napoli.
“Il 1º maggio 1991 un gruppo di studenti e militanti occupa l’ex scuola “Stefano Falco” in via Emanuele Gianturco 99, nella periferia est di Napoli. L’occupazione dura poco in quanto gli occupanti stessi decidono di abbandonare l’edificio pericolante per spostarsi nell’adiacente ex officina per la rettifica dei motori, abbandonata dal 1977 e di proprietà privata, sita al civico 101. Tale sede diventa quella definitiva e prende il nome di Officina 99.” 99 Posse
Curre Curre Guagliò
A Napoli, per la precisione a Soccavo, come detto c’era il Tienament di ispirazione punk-anarchica, a cui si aggiunge un altro posto che segna la storia della città e di quella nuova musica emergente, il centro sociale Officina 99, occupato all’inizio di Maggio del 1991, in cui fanno le loro prime esperienze gli Almamegretta, prenderanno ancora più vigore i Bisca, che negli anni Ottanta avevano già avuto un percorso importante che li aveva portati a firmare per la fiorentina Ira Records, l’etichetta indipendente forse più importante fino a quel momento che aveva lanciato Litfiba e Diaframma, ed è anche l’ora dei 99 Posse. Ma l’esperienza dei centri sociali non è solo musica: c’è il tentativo, spesso riuscito, di ridare nuova vita a spazi ed edifici abbandonati, di dare ossigeno e alternative ai quartieri e ai suoi abitanti. Officina 99 comincia a farlo da Gianturco con l’obiettivo di dialogare con l’intera città. L’esperienza universitaria delle occupazioni aveva fatto scattare una scintilla che si è sempre di più ingrandita illuminando percorsi costruttivi e visibili in quei primi anni Novanta. Molto vicino a Officina 99, l’esperienza dello SKA (Laboratorio Occupato di Sperimentazione e Kultura Antagonista), nato sull’onda delle lotte studentesche del 1994, situato nel cuore della città, tra Spaccanapoli e il Monastero di Santa Chiara. Nel 1995 agli spazi occupati si aggiunge anche il DAMM, acronimo che sta per Diego Armando Maradona e l’ultima emme per Montesanto, il luogo in cui sorge. Uno spazio molto grande, legato a un progetto mai portato a termine nel post terremoto e abbandonato a se stesso, che si è deciso di far rinascere per dare servizi e opportunità al quartiere.
Officina 99, Napoli
Con gli anni Novanta dunque comincia a cambiare un po’ anche la geografia dei posti per l’aggregazione. Molti locali chiudono, altri aprono. La musica trova nei centri sociali un circuito nazionale importante; ogni centro abitato ha i suoi spazi e dunque anche molti gruppi indipendenti che nascono in queste esperienze hanno una “casa” in ogni città in cui proporre la loro musica e di fatto anche un pubblico che ne condivide il percorso e li attende. Allo stesso tempo, questa esplosione di band, partita dal periodo punk e continuata con le posse, dà la possibilità anche a molti club e locali di proporre programmazioni interessanti e di diventare riferimento artistico- culturale e non solo di svago. L’incrocio di questi fattori favorirà anche la crescita di una scena indipendente nazionale tra il rock e il folk, che talvolta andrà anche oltre i posti occupati. Il Nothing Hill nei pressi di Piazza Dante ospiterà spesso gli Almamegretta, il Velvet allo stesso modo sarà punto di incontro dei nuovi fermenti culturali cittadini. Musica e cinema avranno ancora punti di contatto. I 99 Posse collaboreranno per il film Sud con Gabriele Salvatores, fresco di Oscar con la pellicola Mediterraneo, gli Almamegretta con Pappi Corsicato, e poi ci saranno le prime pellicole di Mario Martone (Morte di un matematico napoletano, L’amore Molesto), con cui collaboreranno gli Argine. A metà del decennio un’altra band destinata a lasciare il segno fa uscire le sue prime canzoni. Prendono il nome da un’antica moneta e si chiamano 24 Grana. Esplosi in pieno periodo dub, manterranno una propria identità spaziando in vari territori sonori, conservando la loro attitudine rock, e una grande capacità di arrivare a tanti giovani grazie sia agli arrangiamenti che alla forza dei testi di Francesco Di Bella: Vesto sempre uguale, Stai mai ‘cca, Kevlar e tantissimi altri brani entrano nell’immaginario collettivo per rimanerci nel tempo.
Francesco Di Bella
C’è anche il Rap
Oltre, e talvolta insieme, alle posse, a Napoli comincia a svilupparsi anche una scena rap importante. Si formano le prime crew, che comprendono le quattro discipline dell’hip hop: il rap (Mcing), Djing, writing e il ballo (inizialmente break dance). Alle origini troviamo certamente La Famiglia, la band di Dj Simi, Polo e ShaOne, gli ultimi due anche importanti writer, parte di una crew più ampia dal nome KTM, ormai la più storica delle crew partenopee, che comprende tra gli altri firme come Kaf, Chop e in seguito anche quel Jorit che ora disegna volti illustri sulle facciate dei palazzi di Napoli e del mondo. Si mette un moto un mondo rap (non solo a Napoli) destinato alla ribalta, nel giro di qualche anno, primeggiando in cima alle classifiche, seppure un po’ svuotato della sua forza e sostanza originaria, cosa che invece non manca in quei primi anni. Speaker Cenzou lo troviamo a collaborare con i 99 Posse degli esordi, quelli con anche Papa J, prima di debuttare a suo nome col disco Il Bambino Cattivo, ospitando Meg (già 99 Posse anche lei). Il collettivo rap ClanVesuvio (1997), si compone di Pepp ‘o Red e Lucariello (che per un periodo sarà la voce degli Almamegretta) e di Luchè e ‘Ntò che diventeranno poi Co’sang, dando una svolta con il loro primo disco (Chi more pe’ mme), saldando definitivamente il rap con i territori e le periferie. In questo senso, sebbene di genere diverso, va sottolineato l’esordio della band di Scampia ‘A 67, di Daniele Sanzone, un urlo viscerale contro la camorra, che Sanzone porterà avanti anche con il suo libro Camorra Sound. Sarà poi anche il tempo di Clementino. Napoli, e la Campania più in generale, hanno dato tanto a questo genere musicale e in questo senso vale la pena aggiungere uno dei fondatori di quella che è ormai definita Old School a livello nazionale, che è lo scafatese (e girovago) Giovanni Pellino, in arte Neffa, che, dopo essere passato anche per i sentieri dell’hardcore punk con i Negazione, e l’esperienza rap con gli Isola Posse alla Stars, insieme a Deda e Dj Gruff, fonda i Sanguemisto, che con il disco SxM pongono una pietra angolare al genere in Italia.
Meg, 99 Posse
La Musica non si Ferma
Molti dei collegamenti che abbiamo affrontato non sono semplici influenze, ma esperienze fatte in carne ed ossa, che hanno segnato le scelte di tanti che si sono avvicinati alla musica, scoprendola direttamente, magari una sera a un concerto, incontrandosi nei negozi di dischi o da amici e fratelli più grandi . È il caso di un altro importante musicista di quelli dalla personalità artistica ricca e variegata, un esploratore di altre culture con i piedi ben piantati nelle sue note. Si tratta di Daniele Sepe, musicista con particolare predilezione per il sax, che una sera, nel lontano 1976 si trova ad assistere a un concerto dei Napoli Centrale alla Galleria Umberto:
“Rimasi fulminato. Sono corso a comprare il loro disco “Mattanza”, e da allora la mia maniera di pensare alla musica cambiò. Non sto esagerando.”
E ancora
“Qualche anno dopo mi capitò tra le mani un cd di quelli che si chiamavano Showmen e dentro c’era una versione funk di “Tarantella del Gargano”. Anche in quel caso mi si aprì la cervella e pensai: Allora se po fa!” Daniele Sepe in “Je sto ‘cca… James Senese”, di Carmine Aymone.
Daniele Sepe con la sua opera ricerca e interpreta musiche di altre culture, in una continua contaminazione che lo tiene comunque sempre ben collocato sia in quella Napoli antifascista dei primi anni Novanta di lotte e centri sociali che in quella sonora dei nuovi fermenti artistici che continuano ad alimentarsi dalle parti del Vesuvio.
Negli anni Novanta inizia anche il cammino del chitarrista e compositore Antonio Onorato, che sviluppando un percorso sonoro personale si pone in continuità con questa ricerca di contaminazione e fusione di suoni dal mondo con le sue radici partenopee. La musica non si ferma, come un fiume che scorre riempie rivoli e prende vie diverse, talvolta deviando e scavando il proprio letto. È in continua trasformazione, si contamina, sviluppa emanazioni sonore e subculture, forma nuove aggregazioni e tribù che si riconoscono come parti dello stesso universo. Senza voler mettere in correlazione meccanica ogni cosa che si crea bisogna però cogliere delle derivazioni e delle linee di tendenza. A Napoli negli anni Novanta si sviluppa moltissimo anche la musica elettronica. Alcune cose vengono da lontano, sembra strano a dirsi, ma partono proprio dal punk, dalle sue evoluzioni in post punk prima e nella new wave dopo, soprattutto quando grazie alle nuove tecnologie si contamina con l’elettronica, e trova in alcune sperimentazioni, come quelle industrial o drum’n’bass, una linea di collegamento mutata nel tempo, fino a certa techno legata ai rave o ai club alternativi. In particolare a Napoli si è sviluppata molto la parte più sperimentale e meno commerciale dell’elettronica, radicandosi anche nell’underground senza troppo clamore ma con grande profondità. Ma Napoli, come già ribadito, ha tante anime e anche quella più tradizionale continua la propria strada. Il mondo neomelodico cresce costantemente anche grazie allo spazio nelle feste private e di piazza e sulle televisioni e radio private che lo trasformano in un fenomeno non solo più cittadino, ma quanto meno meridionale, dal basso Lazio alla Sicilia. In questi anni Nino D’angelo si avvicina a sonorità più cantautorali-folk mentre dal magma neomelodico emerge Gigi D’Alessio che entra nel panorama nazional popolare.
La Città Obliqua
I Novanta sono anche gli anni in cui comincia a cambiare la fruizione della musica, i vinili vanno definitivamente in pensione, i cd la fanno da padrone (almeno per qualche decennio prima di avviarsi a scomparire a loro volta) e i nastri sempre più impolverati delle audio cassette lasciano il posto ai brani in digitale, ai file. Queste trasformazioni non sono soltanto formali, ma cambiano le modalità di ascolto, trasformando anche l’ascoltatore nella sua essenza più profonda di “ricercatore” di musica. Ma se questo è un aspetto su cui forse non è il caso di soffermarsi in questo contesto, quanto meno vale la pena riflettere sul fatto che la digitalizzazione della musica e la connessione tramite web facilita, è vero, lo scambio di musica e la conoscenza a distanza, ma probabilmente limita, e limiterà, la costruzione di nuove scene musicali che, invece, come abbiamo visto, si sono nutrite di incontri di persona, aggregazioni sociali e scambi reali.
La musica ha un fortissimo legame con le vicende storiche e sociali, col grande percorso umano, ne diventa un’espressione, certamente legata agli umori e alle possibilità del tempo. E Napoli in tutto questo ne è stato un esempio cristallino, anche in momenti tragici come gli anni della guerra. Dell’America ha preso quell’anima musicale che a scavare fino in fondo ha una forte matrice africana, suoni che si sono sviluppati o sono nati dalle migrazioni, a partire da quelle forzate come la deportazione degli schiavi. A parte lo spirito positivo e propositivo della World Music che ha tentato di allargare i confini sonori, ma andando poco oltre l’aspetto commerciale, la grande storia della musica è ancora raccontata come storia della musica occidentale. Questo racconto finisce nella Napoli di fine Novecento perché probabilmente l’onda lunga di quanto iniziato nel cuore di quella guerra, al riparo dalle bombe, si va a esaurire proprio al volgere del millennio. Le forti spinte al cambiamento, non solo musicale, ma anche culturale che questi decenni hanno provato a dare probabilmente non sono bastate o non sono state recepite fino in fondo e correttamente per un cambiamento profondo. Ma la musica non finisce, ci saranno certamente nuovi eventi che saranno la scintilla per far riaccendere nuovi focolai sonori, nuove lotte sociali forse, altri movimenti, o musiche che arriveranno da lontano e si mescoleranno ancora una volta a quelle che si aggirano dalle parti del porto. O forse si continuerà a raccontare con le canzoni le trasformazioni della città, dalle vecchie scalinatelle, alla funicolare, fino ai progetti delle scale mobili della città obliqua. Una cosa è certa, dopo quanto affrontato e percepito in questo lungo viaggio, che se c’è una città capace di far rinascere “scene musicali” e mettere in connessione umana, diretta, non digitale le persone, questa è Napoli, per tutta questa storia che si porta dietro e dentro, “un cammino che esiste da sempre/il tesoro della città antica.”
Non è piana non è verticale/è una linea che sale in collina
è una strada che parte dal mare/il percorso della città obliqua.
Scale mobili sotto la luna/diagonali e passaggi segreti
Un cammino che esiste da sempre/il tesoro della città antica…
La città obliqua – Edoardo Bennato