La spiacevole vicenda che ha coinvolto i pesaresi Soviet Soviet è da qualche giorno oggetto di numerosi articoli apparsi sulla stampa specializzata e non.
Atterrati a Seattle l’8 marzo per la partecipazione al SXSW festival ed un breve tour promozionale negli USA, i tre musicisti sono stati sottoposti a controlli di routine che sono culminati in una situazione paradossale, e ad oggi ancora non del tutto chiara.
Come si legge nel comunicato rilasciato dopo il rimpatrio, i tre musicisti, sbarcati negli States con regolare permesso di viaggio ESTA, hanno dichiarato che il tour che avrebbero intrapreso non prevedeva alcun compenso, e che non si trattava quindi di un viaggio di lavoro. Purtroppo la ferrea burocrazia statunitense non si piega davanti a nessun tipo di ingenuità o dimenticanza, seppur in buona fede: gli agenti hanno trattenuto ed interrogato i tre per diverse ore, e a nulla sono servite le loro dichiarazioni o quelle del rappresentate americano dell’etichetta. Bollato l’accaduto come tentativo di introduzione clandestina, sono stati loro confiscati i beni personali, inclusi i cellulari, privati di qualsiasi possibilità di contattare le famiglie, incarcerati e successivamente espulsi dal paese ed imbarcati su un volo verso casa. Il motivo del contendere, a quanto pare, è stata la constatazione che alcuni dei concerti prevedevano il pagamento di un biglietto d’entrata, indizio che ha fatto giungere alla conclusione che la band avesse dichiarato il falso.
In Italia le prime voci hanno iniziato a girare la sera del 9 marzo, quando non si aveva ancora nessuna notizia ufficiale. Tutto quello che si poteva leggere era il commento dell’emittente radiofonica KEXP che doveva ospitare la band, e le reazioni degli ascoltatori, alcuni dei quali si scusavano a nome del proprio governo, indicando il presidente Trump come responsabile indiretto dell’accaduto. Troppo poco per poter costruire un articolo, ma troppo succulento per lasciarsi scappare l’occasione di cavalcare l’onda dell’indignazione: alcune testate di settore provano comunque ad imbastire una news, lasciando intendere che l’accaduto fosse dovuto alle restrizioni dettate dal neo insediato governo. Naturalmente il commento al vetriolo dei lettori non si fa attendere.
Quello che è realmente accaduto probabilmente ha a che fare con fattori che poco hanno a che vedere con il “travel ban” imposto dalla nuova presidenza, che colpisce principalmente i paesi a maggioranza musulmana. Se è vero che le regole si sono inasprite per chi intende viaggiare negli States, è anche vero che la legge, in vigore già con la precedente presidenza Obama, prevede per gli artisti e gli atleti il possesso di un visto specifico, anche per esibirsi a titolo gratuito. Un incidente imputabile probabilmente all’ingenuità o ad un difetto contrattuale: lo stesso SXSW diffida dall’organizzare eventi collaterali, e si riserva il diritto di segnalare le generalità all’immigrazione, come constatato dall’artista Told Slant con questo tweet dopo aver annullato la sua esibizione. Circostanze simili a quelle dei nostri Soviet Soviet hanno interessato negli stessi giorni anche la band australiana Splashh che doveva esibirsi allo stesso modo per SXSW. In questo caso sono loro stessi a fomentare l’odio verso Trump, corredando il loro breve e non esattamente esplicativo comunicato con un’ironica foto del presidente, “bannato” a sua volta .
Massima solidarietà alla band: questa escalation di terrore e xenofobia sta portando il mondo verso una deriva in cui sembrano venire meno i basilari diritti della dignità umana a fronte di una protezione eccessiva che ormai suona più come uno strumento di controllo, di cui una nazione come gli Stati Uniti d’America si è fatta portavoce e paladina fin dagli accadimenti dell’11 Settembre. D’altra parte, la faziosità con cui la notizia è stata trattata deve far riflettere sulla possibilità di riuscire a leggere con obiettività l’operato di Trump. Un personaggio che si è fatto icona della paura del diverso che sembra affliggere il mondo da qualche anno a questa parte, reiterando orrori storici che ci saremmo giurati pronti a non ripetere mai più, ma che rischia in questo caso di diventare pretesto per una controinformazione approssimativa ed altrettanto nociva.