Cosa si fa quando una delle tue più care amiche ti viene a trovare a Berlino? Beh, palesemente, puoi portarla a ballare al Berghain, o a vedere il museo di David Hasselloff, coinvolgerla in uno dei festival tematici delle varie tribù metropolitane che si riuniscono in città, o ancora… puoi portarla a sentire uno dei tuoi gruppi italiani preferiti. Approfittando di un momento di sfacciato tempismo, io e la mia amica abbiamo optato per l’ultima ipotesi, trovandoci contemporaneamente catapultati nella penultima, e ci siamo goduti una delle migliori performance dei Soviet Soviet in trasferta, circondati dal popolo dark berlinese.
Infatti, in una città pluralista come questa, è giusto che la Pasqua si celebri con il medesimo rispetto quale che sia la propria fede, non necessariamente limitandosi alla tradizione di pitturare le uova con la famiglia riunita. Noi abbiamo optato per un’altra usanza, quella della annuale rimpatriata dark portata avanti da sette edizioni dalla misteriosa organizzazione che porta lo stesso nome dell’evento, Dark Spring Festival, che si è rivelata anche particolarmente difficile da reperire per la richiesta accrediti – fortunatamente, siamo riusciti a metterci in contatto coi medesimi Soviet Soviet che, deliziosi, hanno provveduto a farci varcare i cancelli del Bi Nuu mettendoci sulla propria guest-list. Così siamo rimasti dalle 6 del pomeriggio fino a notte inoltrata in questo popolare locale di Kreuzberg, capienza 500 posti, alloggiato in parte dei locali della stazione di Schlesischen Tor, tuttora funzionante anche come stazione – a riprova, ne abbiamo infatti parlato giusto nella scorsa puntata – che ha spento le luci pop a cui l’ho sempre associato, per accogliere la comunità dark della capitale tedesca. Intorno a noi, per tutta la serata ci siamo trovati parte di una vasta moltitudine avvolta di borchie e ricoperta di cerone, il cui incontro si è rivelato un’esperienza che è valsa da sola il prezzo del biglietto, e che ha suscitato la mia meraviglia al pari di quando, qualche settimana fa, mi sono ritrovato in un sottoscala di un fabbricato ex-industriale nella parte più esterna al Ring di Sonnenallee per un raduno di gruppi punk. Se c’è una cosa che mi piace di Berlino, è come tutte le sottoculture – e non solo quella della techno, mi perdoneranno ancora una volta gli adepti – trovino spontaneamente una propria dimora e possano esibirsi con disinvoltura nei caratteri più estremi, quale che sia l’età anagrafica degli associati. In entrambi i casi, sia nel precedente contesto punk, che in questa riunione dark, l’età media era più vicina ai quaranta che ai trenta, e decisamente, contava più persone proiettate nei cinquanta che tendenti ai venti: a parte la scelta delle creste multicolori piuttosto che le croci e il mascara che si raggruma in una lacrima sulla guancia, i pantaloni di pelle e il chiodo che accomunano entrambi i gruppi sono stagionati da anni, trattandosi di popolazioni stanziali, e non di un’avventura da pischelli.
I Soviet Soviet, confesso, all’inizia facevo un po’ fatica a vederli in questo contesto, e non solo per le loro magliette bianche e le sneakers ai piedi, ma in realtà le loro sonorità si sono inserite perfettamente nel contesto in cui si sono succeduti gruppi componenti una line-up internazionale e variegata, ben assortita per coprire tutte le varietà di nero offerte dal panorama dark, dalle melodie più lugubri e mortifere, a quelle più brillanti ed emozionali, appunto, dei nostri. Ad aprire, è stato un gruppo locale, i Salvation AMP, suono sinuoso e metallico, ispessito dalla voce di un vocalist col gilet di pelle e le movenze eleganti, ma decisamente troppo affettate. A seguire, i russi Brandeburg mi sono sembrati più vicini al post-punk classico di scuola Joy Division, ma decisamente meno sicuri nella performance live, alquanto impacciati sul palco. Procedendo in ordine di scaletta, un’altra band tedesca si è esibita subito dopo i nostri beniamini di Pesaro, quella dei Golden Apes, un dark molto scuro ma denso di riverberi elettronici synth , probabilmente la performance migliore della serata tra gli altri gruppi che abbiamo ascoltato, al di là dei contorcimenti emo del frontman, che sembrava uscito da una pagina di Death Note. Quindi, gli ultimi due gruppi ad avvicendarsi sono stati i folletti tedesco-americani Frank The Baptist, i più rinomati della serata, e a chiudere, i finlandesi Two Witches, che con straordinaria circolarità, ci hanno restituito l’atmosfera gotica dell’apertura, e che si sono distinti per essere l’unica formazione della serata ad accogliere delle signore, appunto le due streghe nel nome della band.
Per quanto l’attesa sia stata più che piacevole, comunque, quando abbiamo visto i Soviet Soviet salire sul palco, numero tre in scaletta, ci siamo ricordati immediatamente della ragione per cui eravamo lì. Il postpunk veloce, decisamente più punk che post, a cui ci hanno abituato ha subito fatto piazza pulita della pesantezza dei gruppi che li hanno introdotti, come il classico raggio di sole che buca all’improvviso il cielo grigio di Berlino. Difficile restare fermi quando i nostri, dopo alcuni problemi tecnici nei primi pezzi, ingranano e portano avanti il solito energico live, e le dita di Andrea, sul basso, procedono instancabili insieme alle sue gambe, mentre saltella per tutta l’esibizione da una parte all’altra del palco (con buona pace del jack che spesso e volentieri abbandona l’amplificatore). Il basso vibrante e sostenutissimo che accompagna la voce adolescenziale e sempre arrabbiata, sostenuto dalla frenetica batteria e dai riff scintillanti che sprizzano fuori dalla chitarra, suonano di quel qualcosa che ti dimostra che si può ancora suonare postpunk senza essere banali a trentacinque anni dalla sepoltura – ci si permetta il particolare gotico – di Ian Curtis, mantenendo un atteggiamento tranquillo e disinvolto, evitando pose impostate e l’abbigliamento eccessivo, decisamente più adatti al millennio trascorso, ma esibendo tutta la propria personalità nella performance musicale.
Per i ragazzi di Pesaro, la partecipazione al festival è stata una delle tappe del tour europeo a supporto dell’uscita del nuovo disco Nice, che ha toccato principalmente date in Germania (Friburgo, Trier, e Lipsia, oltre alla capitale) perché, mi dicono i ragazzi al loro banchetto a fine concerto, la loro agenzia di booking è tedesca, e ha sede a Berlino – cosa che li rende molto più indicati per la nostra rubrica degli altri gruppi italiani passati e che passeranno da queste parti – ma anche alcune uscite in Svizzera, a Dudingen, e quindi in giro per un po’ di capitali mitteleuropee, ossia, Praga, Vienna e Zagabria. Un tour di riscaldamento, insomma, anche se mi è sembrato che i ragazzi fossero già a pieni giri, prima di dedicarsi con costanza alla promozione nazionale, in una serie di appuntamenti che li porterà in giro per tutta la penisola a partire dal 9 aprile a Pavia. Non si è trattato di certo del loro primo tour europeo, essendo i Soviet Soviet una realtà nostrana che vanta un certo seguito anche internazionale: a riprova, a dispetto delle mie aspettative e di quanto sostenuto in occasione del live dei conterranei Be Forest, di italiani in sala ne abbiamo avvistati, e soprattutto, sentiti, pochissimi. Ciò nonostante, e nonostante le divergenze nel look da ragazzi alternativi di periferia, il live ha riscosso un entusiasmo genuino tra il pubblico, con una scaletta di un’oretta che ha messo insieme un numero elevatissimo di pezzi e che si è conclusa con applausi e proteste di rito per la necessità di liberare il palco senza poter concedere bis.
E insomma, anche i Soviet Soviet, come i Be Forest, alla prova internazionale ci hanno convinto tantissimo. Peccato non averli potuti confrontare con i newyorkesi Diiv, annunciati al Lido pochi giorni dopo, ma che hanno dovuto annullare il tour all’ultimo momento per problemi di salute: sarebbe stata una bella sfida a colpi dello stesso postpunk frenetico e crepuscolare.