Inadeguatezza. Paure. Ansia. Coraggio. Rabbia. Sono i Cara Calma ed è Souvenir, l’album in cui tutto questo si fonde, riuscendo a farci ricordare che la musica ha un compito: raccontare e raccontarsi. Dare voce. Soprattutto a quelle frustrazioni e difficoltà a cui nessuno vorrebbe dare nome ma che poi si ritrova a gridare senza fiato in una canzone.
E qui, nel secondo lavoro pubblicato per Phonarchia Dischi/Cloudhead Records, tra chitarre e distorti, ce ne sono addirittura 10 di brani per gridare. Gridare i nove mesi in giro per l’Italia per farsi conoscere, i 9.275 chilometri percorsi nel primo anno, le prove in saletta, le registrazioni in studio e le emozioni di trovarsi su un palco troppo grande per ricordarsi piccoli ma cantare come ci si sentiva Sulle punte per sembrare grandi, come è titolato il loro primo lavoro. Conservando quell’autentica consapevolezza di crederci tanto ma mai così tanto da sentirsi arrivati e non aver più voglia di rifugiarsi nella musica per scappare da una vita anonima, da un amore che incatena, da un lavoro che schiaccia o solo dalle proprie esitazioni.
«Cammineremo a piedi scalzi, ma senza fretta perché nel buio cerchiamo la certezza, resisteremo al tempo anche se siamo lampi in un mondo di nebbia», garantiscono in Com’era per noi.
E lo è ancora. Oggi la band bresciana si conferma qualcosa che mancava alla scena musicale italiana. Rincorrere somiglianze e richiami, dai Ministri, agli Zen Circus, ma anche Fask o simili, in questo caso sa un po’ di causa persa. Sei una novità quando hai qualcosa da aggiungere anche in un settore, come la musica, troppo spesso saturo. E i Cara Calma lo fanno, aggiungono una visione disillusa, un po’ meno punk delle aspettative, ma più rock e grintosa, – che dal vivo potrebbe acquistare anche quello sporco che, diciamocelo, con le chitarre ci sta – senza synth o scontatezze itpop. Toccando corde semplici e intime ma annegate nelle maschere quotidiane, anche con parentesi simil rock-pop anni 2000 come I mobili che completano il racconto.
Perché è di questo che si tratta, narrare il percorso di un anno per esserci ancora, perché come cantano in Rodica, la canzone che apre l’album nonché primo singolo – «Dimmi che ci sarai un’altra volta» – questa conferma l’hanno avuta. Souvenir dimostra di essere all’altezza del nome che ha. Non una cartolina ma una porta che si spalanca su un viaggio di sensazioni, emozioni, tentativi, sbagli e traguardi. E quando questo viaggio è musicale, è una bella sfida non cadere nel vortice del remake nostalgico e timoroso di se stessi. E sembra proprio che i Cara Calma l’abbiano vinta e quelle vecchie paure se le siano lasciate indietro.
«Da qui si vede tutto, ma spesso sai non me la sento di vedermi ancora piccolo agganciato ancora a un anno fa. L’illusione di essere pronto me la porto fino al mio funerale, ma se mi salvo ti prometto che torno indietro e faccio tutto uguale». Lo dicono in Sono io o sei tu, uno dei brani più grintosi del disco. E se questo è il risultato non potevano assicurare di meglio, di rifare ogni passo, ogni canzone e ogni accordo. E anche le collaborazioni pogando con Ivo Bucci dei Voina in Otto ore (già li immaginiamo) o nel melodico duetto con Luca Romagnoli del Management in Universo. Tutto dimostra che sono pronti a distaccarsi e lasciarsi alle spalle la lunga lista delle band che, comunque, ci provano solo per sentirsi un po’ meno noiosi.
Loro che di giorno fanno altro, tranne Cesare che ha uno studio musicale – Riccardo lavora in un negozio, Gianluca, si occupa del settore commerciale per un’azienda di fornitura elettrica, Fabiano è un impiegato – scappano appena possono nella musica, quando non sono al bar davanti al “pirlo misto”, o anche spritz per il resto d’Italia. Si rifugiano nella saletta di Brescia e nelle loro canzoni. «Non lo fai perché devi ma perché ti piace e ci credi, anche se è pesante far convivere tutto. E pure se sei lucido non ti fermi, è tutto così bello». Ammette Gianluca, lui, al basso, è l’ultimo acquisto della band.
Per i Voina con cui collaborate la calma “è la virtù dei morti”. Per voi che significato ha?
«Io sono arrivato da fan, perché cercavano un bassista, e per fortuna avevano già scelto il nome, così ho evitato la menata di estrarre dal cilindro l’opzione. Ma credo che la calma non sia proprio nelle nostre vene. Non solo per la musica. Anche nel modo di affrontare le cose e lavorare, anzi zero calma».
Lo dicono i numeri. Due dischi in 14 mesi, e poi concerti invernali, tour estivi, video, singoli. È necessità artistica o tempistiche di mercato?
«Era fame, non ci siamo mai posti altre necessità. Ci siamo trovati a fine tour con in mano una dozzina di pezzi che convincevano, e ci siamo detti: registriamoli, buttiamoli fuori e ripartiamo. La voglia di tornare in saletta ha vinto. Abbiamo fatto tutto di corsa, ma è stato giusto, in questo periodo qualsiasi pausa per noi sarebbe stata troppo lunga e stiamo iniziando ad avere risposte positive dal pubblico».
Anche perché il secondo disco è un po’ una bestia nera. Come l’avete affrontata?
«Con il primo album hai voglia di uscire e cominciare a scalare palchi, con il secondo temi perché sai che deve essere giusto. È stato strano, anche gestire pezzi come Com’era per noi o I mobili, più tranquilli e lisci. Ma abbiamo lavorato molto per imporre una nostra identità. E sono convinto che il passo avanti ci sia stato, come ci ha detto Karim Qqru (degli Zen Circus, loro produttore, ndr) quando ha sentito il lavoro. Diciamo che Souvenir sono i Cara calma dritti in faccia. Ci divertiremo a suonarlo nel tour in cui partiremo presto, le prime date già ci sono, inizieremo da Brescia dove presenteremo il disco».
Un disco che, come dice il titolo, è davvero il racconto di un anno. C’è stato un momento in cui avete detto “ma sì molliamo tutto”?
«Mai, non ci ha mai sfiorato. Anzi, siamo al posto giusto e al momento giusto. Mi sento così, con i ragazzi c’è sempre un clima sereno e disteso di amicizia, prima che di band. E si sente sul furgone, palco, in saletta. Insomma, siamo carichi per accelerare e continuare, già guardiamo all’estate».
Emergenti ma non giovanissimi, vi attribuiscono tante somiglianze e volti. Qual è il vostro?
«Veniamo chi dal punk-rock chi dal metal-core ma il feeling una volta insieme è stato immediato e spontaneo: è nato qualcosa di nostro. Con Souvenir vogliamo chiarire ogni dubbio. Capisco che possano esserci influenze ma non sono state cercate. E poi, va detto, oggi che la scena rock italiana è ferma, quando esce una band che suona la chitarra e attacca un distorto subito c’è il richiamo ai pilastri della scena. Non che ci dispiaccia».
Anche con le collaborazioni, con Ivo Bucci e Luca Romagnoli si percepisce questa volontà di distinguervi, di avere uno sguardo diverso, non scontato. È così?
«Credo che ci sia voglia di rock e di musica e bisogna solo intercettarla. Noi, anche grazie ai consigli di Karim di abbracciare ambienti diversi, abbiamo scelto di partire dalla scena alternativa ed è bello perché è dove ci sono mani che aiutano le altre. Con Ivo è nato un ottimo rapporto già con i concerti estivi, è bastata una birra e due chiacchiere. Anche con Luca è stato bello collaborare, semplice. Ma è così, tutti noi amiamo suonare e in questo momento c’è posto per tutti».
E lo fate senza stereotipi e cliché sociali nelle vostre canzoni, ma cedendo spazio a problematiche e debolezze. Oggi la musica, anche con l’indie e i talent, ha ancora questa mission?
«Assolutamente, c’è bisogno e c’è anche richiesta solo che leggi del mercato tendono ad andare in un’altra direzione. Siamo figli dell’X-factor e dei talent, degli show e delle band di successo, quelle consegnate in pacchetto. C’è il giro indie di Calcutta e la trap, a modo loro raccontano storie, ma dovrebbe esserci spazio anche per i Cara Calma, gli Atlante, i Balto, gli Endrigo. Perché chi ha voglia di pogare c’è e deve solo trovare il canale per non far crollare la voglia sotto il mainstream. Ma se solo trovasse uno spazietto, magari in radio…».
Lo spazietto potrebbe costare caro, come piegarsi. Nessuna paura?
«Sono convinto che anche non scendendo a patti, l’offerta, anche delle radio, potrebbe ampliarsi e far appassionare la gente al mondo delle nicchie. Basterebbe dare risonanza e visibilità anche a noi. I Punkreas venivano dai palazzetti, e non erano gli unici. Poi sono scelte, il percorso di un artista è sempre molto intimo e son diverse le motivazioni».
Il vostro è molto biografico, anche nei testi, ma ha una sola voce di narrazione. È così?
«Sono testi molto personali, ci hanno chiesto di parlare in prima persona ma noi vogliamo raccontare i Cara Calma, il tour, le esperienze che ci hanno legato e ci hanno fatto crescere, sperando che resteranno un bel ricordo anche tra 20 anni, quando non riusciremo più a suonare. Come un cyber-ricordo. Un souvenir».
E quando vi immaginate tra 20 anni a sentire il disco, siete in ufficio o dietro le quinte di un palazzetto?
«Ti avrei detto al bar, il nostro punto di ritrovo, ma l’idea del palazzetto è più bella».