Non potremo nemmeno dire che sarà il tempo a dimostrarci che sbagliavamo. Il tempo di imparare dagli errori per la democrazia è già finito insieme a tutte le belle speranze della sua giovinezza e ai sogni, forse, che l’hanno condannata. Non sarà il tempo perché nonostante l’uomo sia l’unica specie al mondo in grado di produrre e tramandare ricordi, nella maggior parte dei casi, non li usa per comprendere il proprio presente. Ci siamo impoveriti ed è questo il grande peccato che abbiamo ricevuto e che, con grande sofferenza se l’ambiente ce lo concederà, daremo in eredità. Non saranno i soldi a mancare, quelli che sono sempre troppo pochi, per dare alla propria vita un’idea di successo dimenticando quanto costano – agli altri – le nostre ricchezze. Saranno i ricordi collettivi. Sarà, in qualche modo, l’esistenza stessa di chi ci ha preceduto ad andare persa, finché non accadrà anche a noi e finiremo cancellati da una pagina di storia che, probabilmente, non avrà nulla da raccontare. L’esito più doloroso di chi non sa raccogliere, del resto, è non essere in grado di seminare e le erbe cattive, le più difficili da estirpare, saranno scambiate per fragili fiori luminosi.
Per un cortocircuito ci accorgeremo di essere al buio. Saranno le scintille impazzite provenienti dai contatori a ricordarci che la luce era qualcos’altro che, noi, eravamo qualcos’altro. Più uniti, più vicini, insieme. Vi abbiamo visto, nonostante la discesa della nebbia e il rumore di questo caos, baciare la terra dove passava chi vi ha convinto di essere come voi, perché utilizzava le vostre parole o, soltanto, vi ha dato più ragione degli altri. Pensavate che dare un discorso articolato alle vostre paure vi avrebbe reso più forti ma la verità è che vi ha fatto solo odiare di più. Quello che vi rimarrà sulle labbra sarà solo la polvere di quella terra, amara come la muffa che cresce fra i piedi delle statue di chi si dimenticherà presto delle sue promesse. Capitani, sì, ma di sventure, così determinati da scavare nel profondo e guidare navi colme di risentimento attraverso oceani di solitudini, piantando la propria bandiera in ogni terra che si sono proposti di liberare. Navigatori astuti, la cui voce forte serve a nascondere la tragedia della perdita della memoria. Come una merce, o una fotografia da condividere fra gli amici, il cambiamento ha assunto i connotati di un istinto senza coscienza, di chi lo vuole a tutti i costi ma non sa nemmeno il perché o a cosa porti voler cambiare il presente senza un’idea di futuro.
Un ricordo vale più di ogni impresa ed è più di un’idea, è sostanza viva che si manifesta con il suono delle campane di un paese ormai fantasma. È un allenamento necessario alla costituzione di un pensiero profondo, svolge il compito che gli anticorpi hanno per il contrasto di un virus all’interno dell’organismo. Ma come per ridurre una distanza non esistono medicine, per proteggere il proliferare di un pensiero sporco una volta che si manifesta e attecchisce non c’è altra possibilità se non la memoria. Il ricordo configura e protegge il pensiero, permette una visione di insieme che, in sua assenza, si attiene al particolare quotidiano e ascolta la pancia più che la testa.
È stato un lavoro di precisione durato più di vent’anni di cavalierato, compiuto da professionisti tutt’altro che improvvisati, gli stessi che oggi raccolgono i frutti della propria opera compiuta, trasformare la memoria in una sede di immagini transitorie, incollata all’oggi e all’istante, incapace di produrre o conservare un punto di vista. Renderla volubile ai cambiamenti e costringerla a mutare velocemente fino a renderla un’appendice, una coperta troppo corta che espone la carne. Ed è proprio questa fragilità, il freddo del vento ostile, ad aver convinto le persone a perdere la fiducia e riporla in chi, abbracciandoli, gli restituisce una sensazione momentanea di calore più che il calore stesso. Prosperano nelle branche del risentimento come cannibali strafatti di potere, infervorano e dividono l’opinione pubblica con tesi contraddittorie e mai verificate, pontificano sulle disgrazie affinché si parli costantemente di loro. La logica del bulimico riempimento pubblicitario del consumatore, dove il falso non si distingue più dal vero, e convince la collettività che una mezza falsità sia preferibile alla verità intera.
L’unica cosa che avevamo era il dubbio, costante, che avvolgeva tutto. Loro si sono presi la verità e l’hanno resa la realtà di un bar di paese, stimolando l’appetito di questi carnivori con lo stesso sangue fresco che gli scorre nelle vene. Sarà questo il prezzo che saremo costretti a pagare. Convincerli a ricordare. Scendere nella fossa dei leoni per difendere quello che ci resta. Il diritto alla memoria, l’offensiva del ricordo. L’illusione peggiore sarà sentirci migliori perché quello è il destino di chi non sarà mai compreso. Hanno eretto torri di cristallo per indicarci da lontano e renderci ostili quando, tutto quello che abbiamo sempre voluto, era dare vigore alla democrazia.