Il producer dall’anima soul | Sohn live al Circolo Magnolia di Milano

Una sola cosa poteva convincermi ad affrontare un viaggio di due ore direzione Milano nonostante la febbre: la curiosità di sentire come suona dal vivo Rennen, il secondo album del producer inglese con sede a Vienna, Sohn, che mercoledì 15 Febbraio ha fatto tappa al Circolo Magnolia per l’unica data italiana del tour promozionale del disco.

Arrivo presto, per non perdere i due open act che si preannunciano decisamente interessanti. Da una parte l’italiana LIM, metà femminile degli Iory’s Eyes che ha fatto parecchio parlare di sé col lavoro solista Comet. Un set sognante ed etereo, che purtroppo dura pochissimo: il tempo di innamorarsi di questo strano, androgino folletto che già la vediamo sparire dal palco. Al suo posto sale East India Youth, pseudonimo dell’inglese William Doyle, con all’attivo i due album Total Strife Forever del 2014 e Culture of Volume del 2015. Con un po’ più di tempo a disposizione, ci catapulta in suggestioni new wave che potrebbero calzare alla perfezione come colonna sonora di un film di fantascienza (ascoltate Turn Away e immaginate di volare in groppa a Falkor). Un viaggio sonoro che non si interrompe nemmeno quando tra un brano e l’altro il musicista accorda la chitarra, colmando il vuoto con la registrazione di un cinguettio di uccelli, divertente stratagemma che strappa qualche risata al pubblico e qualche battuta allo stesso William.


Sohn
, accompagnato da tre musicisti, sale sul palco puntuale verso le dieci e mezza, e nonostante la presenza di Trentemoller in contemporanea al vicino Fabrique, a questo punto il tendone che ospita i live invernali del circolo è gremito. Il look che ha caratterizzato le sue precedenti esibizioni, cappuccio calato in testa e felpa oversize in pieno stile clubber, lascia il posto ad un altrettanto iconico cappello hamish e camicia coreana, sempre total black. La presenza sul palco è dimessa, seduto dietro la tastiera è addirittura difficile vederlo attraverso la marea di teste (e smartphone), interagisce poco col pubblico. Ma la sua voce è l’unica presenza di cui c’è bisogno: forte ma al contempo delicata, sempre perfetta senza mai risultare fredda.

La scaletta distribuisce in parti uguali l’attenzione su entrambi i lavori. Si parte alla grande con Tempest, tratta dal primo disco, e per la prima parte lo show rimane su toni soul, con qualche brano leggermente velocizzato per dare spazio alle due batterie digitali che accompagnano. Con Artifice arriva una svolta ritmata che fa iniziare una danza tra il pubblico che non si arresterà più fino alla fine. Arriva anche il singolone Conrad, a chiudere un breve encore di tre pezzi.

Il live, che dura in tutto circa un’ora e mezza, scivola via veloce e senza sbavature, mi porto a casa belle sensazioni, ma un interrogativo: sarà questo il futuro della musica dal vivo? Mi spiego meglio. Da ultratrentenne cresciuta a pane e schitarrate pesanti con tanto di distorsioni e reverb, e avvicinatami all’elettronica in tarda età, vedere qualcuno che non suona fisicamente uno strumento mi provoca ancora una sensazione di straniamento. Se da un lato questo tipo di performance assicura una pulizia del suono e un’esecuzione impeccabili, dall’altra lo spazio di manovra è risicato, e le possibilità di improvvisazione, o di quegli errori che regalano umanità, sono pressoché inesistenti. Forse al nostro serve ancora un po’ di familiarità con palchi prestigiosi per acquisire quella sicurezza che gli garantirà la presenza scenica di cui sopra. Ma per questo c’è tempo, in fondo siamo solo al secondo disco.

Le immagini sono concessione di Radar Concerti

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