Tutte le foto sono di Stefano Masselli
“Sono passati sei mesi dall’inizio del 2024 ed è ancora gennaio”. Quante volte abbiamo pronunciato questa frase negli ultimi giorni del primo e del più lungo mese dell’anno, che ha il pregio e il difetto di metterci davanti a pianificazioni di ogni genere e a sfide da affrontare nei restanti undici. Sapere, però, di avere un appuntamento segnato in agenda proprio il 31 gennaio mi ha sollevato, perché oggettivamente le aspettative che porta con sé questo mese sono sempre troppe per vivere le giornate con leggerezza.
Quest’anno pochi, ma buoni obiettivi da raggiungere e andare al concerto degli Slowdive era senz’altro uno di questi. Esserci arrivata provata dopo una settimana di influenza fa capire quanto tenessi davvero a questo evento. Il motivo principale per cui seguo e ammiro la band di Reading è la loro capacità di trasformarsi pur rimanendo sé stessi. Trovatela un’altra formazione che, tra scioglimenti e reunion, maldicenze ed elogi, abbia saputo rimettersi in piedi più forte di prima dopo vent’anni di inattività.
Torniamo al resoconto del concerto. È un mercoledì sera d’inverno a Milano, non fa particolarmente freddo e di fronte all’Alcatraz si snoda un lungo serpentone umano. Coppie, gruppi di amici, qualche genitore con i figli, il pubblico è estremamente eterogeneo. L’età anagrafica dei presenti va dai cinquanta ai vent’anni. Inutile cercare un target specifico, c’è chi segue gli Slowdive dagli anni ‘90 e chi li ha riscoperti dalla reunion del 2014 o dagli ultimi due album del 2017 e del 2023.
Gli Slowdive parlano a tutte le generazioni, fanno uno shoegaze delicato e potente allo stesso tempo, che fa sognare, divertire, ma anche riflettere. La setlist preparata dal quintetto inglese porta sul palco nuovi brani tratti da Everything is Alive e dall’omonimo Slowdive, ma anche brani storici come Catch the Breeze, When the Sun Hits o Alison che fanno brillare gli occhi a chiunque.
L’Alcatraz è sold out ed è difficile trovare un posto dove godersi lo spettacolo senza avere davanti una persona alta 1.90, ma poco importa, l’atmosfera che si respira nel locale e la musica fanno trascendere anche intoppi (ricorrenti per noi medio-bass*) di questo tipo. La dimensione in cui ci trasportano Neil Halstead, Rachel Goswell, Christian Savill, Simon Scott e Nick Chaplin è lontana anni luce da dove siamo, potremmo essere nei fondali marini o nello spazio, in una bolla che ci protegge dai pericoli circostanti.
Rachel Goswell ha ancora la voce di quella ragazza di vent’anni con i capelli ramati e lo sguardo penetrante impressa sulla copertina di Souvlaki e sulle foto in bianco e nero che la ritraevano insieme agli altri componenti della band. Oggi, però, la frontwoman degli Slowdive è una donna adulta dal fare calmo ed energico, capace di empatizzare con il pubblico e di interrompere l’esecuzione di Kisses, il singolo di lancio di , per segnalare un malore in sala e di riprendere dall’inizio il brano, ma solo dopo aver controllato l’arrivo dei soccorsi.
La magia continua nell’encore quando la band attacca a suonare le prime, inconfondibili note di Sugar For The Pill, un manifesto senza tempo per i romantici a cui è stato spezzato il cuore e con Dagger, la tenera ballad che chiude il disco 1 di Souvlaki, per poi concludersi in un crescendo di emozioni che si dipanano nell’aria con una meravigliosa cover di Golden Hair di Syd Barrett, ormai grande classico anche degli Slowdive.
Nonostante abbia la tendenza a idealizzare e di conseguenza a illudermi, quando le luci in sala si accendono, realizzo di aver assistito a uno dei concerti più belli e intensi degli ultimi anni. Sarà perché con gli Slowdive ho in comune l’anno di nascita e probabilmente anche il segno zodiacale, ma poche band sono in grado di portare sul palco una performance così armoniosa e vivace. Equilibrio emotivo, musica per le orecchie di una Bilancia ascendente Acquario.
Scaletta
Shanty
Star Roving
Catch the Breeze
Skin in the game
Crazy for You
Souvlaki Space Station
Chained to a cloud
Slomo
Kisses
Alison
When the Sun Hits
40 Days
Sugar for the Pill
Dagger
Golden Hair (Syd Barrett cover)