Fa sempre un certo effetto andare a vedere un nuovo film di 007 e trovarsi di fronte al nipote figo di Putin.
Certo, ormai ci siamo abituati a Daniel Craig, ma non a uno 007 acciaccato, vecchio, bollito. Bollito nella misura in cui in un blockbuster un tizio che c’ha il fisico di Daniel Craig, che fa le cose che fa Daniel Craig, e che poi fallisce i test per essere riammesso ugualmente in servizio, può in ogni caso essere considerato un bollito per un pubblico di flaccidi mangia pop corn.
La cosa che incuriosisce di questo nuovo capitolo, Skyfall di Sam Mendes – che ha già ricevuto una buona risposta al botteghino e a quanto pare si tratta del miglior Bond all’esordio in Italia – è appunto l’appannamento, il logorio fisico del protagonista che, pronti via, si cimenta in un inseguimento dei suoi e poi viene ucciso.
Tutti lo credono morto e invece non è così. Il nostro eroe torna dopo aver trionfato in gare di shottini alcolici con scorpioni ed essere andato a letto con una tipa vattelapesca, di cui non sapremo nulla, in una spiaggia vattelapesca, chissà dove. La minaccia è di quelle toste: un Javier Bardem davvero convincente nei panni di un ex agente segreto, spietato come Kaiser Soze, pazzo come il Joker ed omosessuale come certi personaggi di Almodovar, che ha in mano una lista di agenti infiltrati in numerose organizzazioni terroristiche che minaccia di rendere pubblica.
Nel frattempo salta in aria il quartier generale di Londra, L’MI6 è sotto processo ed il Primo Ministro sembra volersi sbarazzare di questi agenti vecchi in arnese, capaci solo di combinare disastri (007 compreso). Naturalmente James Bond è James Bond e lo si vedrà tornare in auge, soprattutto quando il cattivone decide di fargli saltare in aria la sua vecchia Aston Martin (dettaglio vintage).
In poche parole: sfiga e disfacimento, una minaccia incombente e tutto il mondo contro. Nella sua rinascita Daniel Craig riesce anche a farsi la bellona di turno – Bérénice Marlohe, ammaliante – e a tornare sufficientemente in forma per battere l’antagonista, laddove tutto ha avuto inizio: la casa d’infanzia dell’agente 007, in Scozia.
La cosa curiosa è che in questi ultimi tempi James Bond non è il solo eroe cinematografico ad aver subito lo stesso trattamento. Pensate all’ultimo Batman: un Bruce Wayne compromesso, mezzo fallito e pure zoppo. Il tema di essere “di troppo”, un eroe retrogrado non più in grado di far fronte alle nuove minacce emerge tanto ne Il cavaliere oscuro – il ritorno quanto in Skyfall. A ben vedere il trailer del prossimo Iron Man riprenderà le stesse tendenze.
Insomma, il trend sembra essere quello di prendere l’eroe indistruttibile di turno e di umanizzarlo, non più nelle sue fragilità emotive – come quando qualche anno fa a Spiderman hanno provato a fargli passare un periodo premestruale – ma nella propria integrità fisica (e tragicità cosmica). Perdita di forma a cui si aggiungono una serie di guai che costringono il protagonista, con due palle così, a passare attraverso a qualche inferno e a vincere la crisi. Questione di karma.
È proprio questo ciò che ci appassiona: la resurrezione dell’eroe. E magari di noi stessi, poveri sfigati, che in lui vorremmo vedere qualcosa di nostro. Come no. Sarà l’effetto della crisi? Può essere. Gli sceneggiatori introiettano le nostre pulsioni e si fanno dare qualche dritta da Mario Monti per buttare giù gli script.
Probabilmente oggi c’è bisogno di questa roba qui, malgrado stiamo attraversando un periodo di rottamazione, di giovanilismo oltranzista e di pensionamenti da disgraziati. Dei vecchi si fa carne da porco in quanto individui che non hanno un ruolo nella società e che costituiscono solamente un impiccio. In questo senso l’epica contemporanea, nel grande schermo, consiste appunto nel sopravvivere. Confermare a se stessi e al mondo di valere ancora qualcosa. E magari risorgere, come l’Araba Fenice o quell’altro tizio di duemila e passa anni fa.
Eppure qualcosa ci ha insegnato l’allegra brigata Stallone (a.k.a The Expendables): la menopausa va di moda ad Hollywood. Viva gli eroi stagionati che devono fare i conti con l’anagrafe. E così ecco Schwarzenegger che torna a vestire i panni di Conan (ma lo vedremo all’opera anche in the The last stand), Bruce Willis che interpreta nuovamente ruoli d’azione e, sempre lui, Sylvester Stallone, alle prese con Bullet to the head e The Tomb, action movie con, guarda caso, l’ex governatore della California. E mi fermo qui perché non voglio anticipare tutti gli altri film, altrimenti non finiamo più.
Altro punto interessante emerso in Skyfall: la continuità narrativa. In poche parole la scelta compiuta è quella di creare un flusso coerente, di episodio in episodio, abbandonando l’idea del lungometraggio a se stante, indipendente ed autoconclusivo (nel quale Bond è sempre lui: inossidabile, imbattibile, brillante, seducente ed immancabilmente mandrillo).
Perciò, se tanto mi dà tanto, se anche 007 è umanamente soggetto al logorio del tempo, allora non è escluso che il prossimo James Bond possa essere interpretato da Robert De Niro, che in quanto a bollitura non è secondo a nessuno. O, perché no, da Sean Connery (che avrebbe dovuto vestire i panni di Kincade, il guardiacaccia scozzese che compare nel finale).
L’eterno ritorno. Un 007 hegeliano per chiudere il ciclo oppure scommettere in un ennesimo prequel clamoroso, con un nuovo interprete appena uscito da una pubblicità di costumi da bagno?
A quanto pare squadra che vince non si cambia. Ci terremo Mr. Craig fino al 2016 (ha recentemente firmato per altri due film). Bene così. Esistono pur sempre gli antidolorifici, la chirurgia estetica ed il Viagra.