Nella scena rock britannica degli ultimi anni i Fontaines D.C. si sono forse distinti come il gruppo più introspettivo. Se gruppi come gli IDLES sono vocati al puro punk di chitarre, la band irlandese ha provato a setacciare strade inedite, i testi di Grian Chatten, quel suo modo di declamare, un sound espressione di disagio, striature post-punk e garage, che hanno fatto guadagnare alla band una nicchia molto decisa di estimatori. Skinty Fia è il terzo album dei Fontaines D.C., un disco dove il disagio sonoro trova un’espressione melodica più marcata rispetto ai lavori precedenti, non sorprende allora che Skinty Fia abbia pure creato uno squarcio tra gli ascoltatori del gruppo. Con tutto i distinguo del caso, Skinty Fia è un po’ quel momento in cui i Fontaines D.C. passano da Bleach a Nevermind. Basta ascoltare un paio di volte un singolo come I Love You per ritrovarsi a canticchiarlo nella testa quasi per riflesso – e forse è questa la “dannazione del cervo” che evoca il titolo dell’album. Il grande cervo irlandese che compare sulla copertina del disco è estinto da secoli, nel suo spaesamento all’interno di un appartamento i Fontaines D.C. sembrano rimarcare un contatto con i simboli più antichi dell’identità d’Irlanda. In effetti l’intero nuovo album gioca con il tema della terra nativa e dell’identità, come la traccia di apertura con titolo in irlandese In ár gCroíthe go deo, o quella Bloomsday che è un omaggio a James Joyce. L’identità, i testi grigio-cupi, la vita a Londra, Joyce e i dubliners di Dublin City, vecchie storie popolari tramandate nel tempo; c’è tutto questo nel nuovo album dei Fontaines, ma poi c’è anche la musica, che è la cosa più interessante.
Già dai primi pezzi la voce di Grian Chatten ha la capacità di attaccarsi alle pareti del cervello. Non si tratta solamente del modo in cui Chatten modula la voce ma anche della maniera in cui riesce a farla aderire alle sonorità della band. Il ritmo è lento e scuro, il retrogusto è quello di un pezzo dei Joy Division o di una rivisitazione in stile Interpol di certi suoni andati perduti, il disagio è quello di una sensibilità slowcore, la batteria è a tratti trionfale, le chitarre sono apparizioni scuro-lucenti, di tanto in tanto viene a trovarci un coro dipanato, una malinconia shoegaze, un’impulsiva melodia. Chatten è bravissimo a trasmettere quel senso di estraneità e perdizione che pervade tutto il disco, e quel suo modo di cantare – che sentiamo con forza e epica nelle ripetizioni di How Cold Love Is – ha un effetto immediato, da rapimento alle orecchie.
Non sono più tantissimi i gruppi o i musicisti capaci di trascinare dentro un’atmosfera o un umore. Parliamo sempre meno del marchio stilistico di una band e sempre più di collezioni di suoni, se non di playlist che si riconoscono per associazioni di atmosfere e umori, che sia il post-punk britannico o il cantautorato indie. I Fontaines D.C. sono una di quelle rare realtà che sono riuscite a trovare un’atmosfera tutta loro, un umore generazionale che ha una sua specificità. Nel breve processo di ricerca di identità e sonorità della band, Skinty Fia è forse il disco in cui i Fontaines D.C. sembrano aver trovato il punto più originale di quello che stavano cercando. Non sono gli IDLES né gli Shame, non hanno i tratti esistenzialisti dei Joy Division o le compulsioni underground dei Fall – sono dei malinconici spiriti irlandesi che anche mentre cantano d’amore sembrano farlo sopra le macerie del mondo – e allontanandosi dalla schiettezza appena più rabbiosa e grezza dei primi due album è naturale che possano pure scontentare qualche ascoltatore. Ma c’è una bellezza inedita nel nuovo album, e i Fontaines D.C. si dimostrano ambiziosi al punto da voler lasciare un segno preciso e distintivo nella musica rock contemporanea.
Bloomsday è tanto scura e disagiata quanto melodica, stonata e sporca, disturbata e monocorde, da fare a cazzotti con una ballata soffice e stoica come The Couple Across the Way. Ci sono lente cavalcate di disturbo come Big Shot, e ci sono i due singoli che hanno preceduto la pubblicazione del disco – Jackie Down The Line e I Love You – che esplodono sontuosi come le due grandi epopee dell’album, due pezzi che sembrano riemersi da un rock d’altro tempo ma che si adattano benissimo alla nuova avanguardia rock. Come giovani cercatori di heart of gold, i Fontaines D.C. hanno estratto le loro canzoni da scure miniere e scantinati luminescenti d’Irlanda. Skinty Fia è un disco malato, per ammalati di certi suoni, per quelli che possono perdersi con piacere nel cupio dissolvi urlante di Nabokov che chiude il disco.