Ma poi l’inverno la porta lontano
e ogni volta che mi lascia si dimentica
che noi ci siamo sporcati di sangue e sabbia
e poi abbiamo lasciato alle spalle il mondo,
ormai siamo solo una storia del mare.
Così recita una delle strofe di Una storia del mare di Antonio Dimartino. E per chi quell’album lo ha ascoltato fino a consumarlo è inevitabile pensare proprio a quelle parole leggendo il nuovo romanzo illustrato di Giulio Macaione: Stella di mare, edito Bao Publishing. Dopo tutto è l’autore stesso – siciliano come Dimartino (e anche come me) ma bolognese di adozione – a confessare l’influenza sulla sua opera di Un paese ci vuole, album che custodisce quel pezzo bellissimo.
No, io non sopporto davvero l’inverno. – dice Dimartino ancora poco più in là nel testo, e per fortuna l’inverno non è raffigurato tra le pagine di Stella di mare. Da maggio a settembre viviamo l’estate di Stefano che a 24 anni ha mollato l’università, non ha un sogno, un progetto per il futuro; vive in una stasi disturbata dai dispetti di una sorella più piccola ma più intraprendente e da una madre che tutto vuole tranne che osservare il figlio lasciarsi andare all’incedere del tempo. Ed è proprio il tempo il primo nemico di Stefano: un tempo che scorre inesorabilmente e lascia in ritardo ancora prima di avere la possibilità di fermarsi e riprendere fiato; un tempo che è entità inconcreta ma in grado di distanziare quanto i chilometri. Stefano vive infatti nella consueta attesa, anno dopo anno, di Marina – amica di infanzia e sua sirena del nord che gli concede archi di tempo limitati nell’agosto caldo di Cafalù, per poi di nuovo scomparire in un mare che neanche i nuovi mezzi tecnologici riescono a solcare.
La figura di Marina è ammaliante; irresistibile quanto evanescente e il suo definirsi sirena descrive perfettamente l’effetto lento e logorante su Stefano. Mentre si consuma il suo piccolo dramma personale, arriva sui giornali la notizia di avvistamenti anomali in largo. Una strana specie di pesce non ancora identificata che lascia tutti sorpresi e spaventati. Tutti tranne due persone che pensano purtroppo di conoscere fin troppo bene cosa si nasconde nelle profondità di quel mare che lambisce tutta la costa senza mai fermarsi: una è Vico, un pescatore segnato irrimediabilmente in volto e schernito dal paese, che trascorre le sue giornate tra il porticciolo e il largo, a svolgere il suo mestiere ma nell’instancabile tentativo di catturare quelle creature marine che tanto tempo fa gli tolsero un amico e con lui un intimo segreto; l’altra è Matilde – la pazza alla finestra da Stefano è profondamente terrorizzato – che proprio contro le sirene inveisce, urla; quelle sirene puttane che rubano i mariti alle donne e che a lei hanno tolto Giuseppe, trascinandolo in chissà quale regno celato dalle onde.
Stefano arranca in giorni densi e vuoti nell’attesa della donna amata, e con essa la realizzazione di un sogno. Vico e Matilde attendono a loro volta, l’una vendetta, l’altro riscatto e una qualche consolazione, nel tormento di una perdita che non riesce a trovare sollievo, e probabilmente non potrà mai farlo.
Matilde è impazzita, Vico ancora no, e con resilienza resta incastonato in un porticciolo bellissimo e allo stesso tempo tragico. Un porticciolo e un paese intero ritratto da Macaione con dovizia di particolari e onestà.
Da bravo siciliano non fa sconti alla sua terra: non manca l’immondizia che deturpa il paesaggio e rivela la tendenza all’incuria; e da bravo siciliano che se n’è andato però, la sua terra, continua a narrarla, dipingerla, farla scenario delle proprie storie in modo autentico e sentito, come era già stato in Basilicò (sempre pubblicato con Bao Publishing).
C’è qualcosa dell’essere siciliani che probabilmente solo i siciliani possono capire; quel qualcosa che, prima di rendere meridionali, condanna all’essere isolani. Perennemente circondati da un mare che è insieme salvezza e maledizione, che intrappola ma che poi manca quando è distante. Un mare che nella storia di Stella di mare prende vita in queste figure per metà antropomorfe in grado di suggestionare per poi trascinare in un abisso nero e senza scampo, a cui Stefano non può e non deve arrivare così giovane.
Nonostante questo legame con la sua terra, l’opera di Macaione riesce a svincolarsi dalla trappola di divenire un prodotto fruibile solo in un territorio circoscritto. Stella di mare riesce ad avere un respiro universale, che rende omaggio alla Sicilia ma anche a un’intera generazione persa nell’incertezza di un futuro che non sono in grado di costruirsi, non sempre solo per incapacità personali. E’ un racconto breve, dopo tutto (neanche 200 pagine), ma carico di avvenimenti ed emozioni che non sfuggono alla matita digitale di Macaione, ma che risultano sempre equilibrati e in grado di toccare corde intime di ogni lettore.
Dopo tutto è anche un’opera che deve tanto alla musica, dal titolo, all’ispirazione, fino a essere anche elemento portante di alcune tavole, ma in cui anche il silenzio, compagno instancabile dell’attesa, diviene protagonista e dà tanto in termini di introspezione, definizione dei personaggi e del vivere di Stefano. Macaione si riconferma maestro nel tratteggiare e caratterizzare i suoi personaggi, ognuno con la propria umanità, tanto che impossibile non riuscire a sentirli vicini e immergersi nella loro realtà. Il suo stile è ormai riconoscibile, dal disegno all’abilità di creare storie quasi cinematografiche.
Il tutto in una Cefalù bellissima, bagnata dal sole e lambita dal viola dei tramonti, con una scelta bicromatica che infonde all’opera quel tocco di malinconia: per gli amori strappati, i sogni sfiniti, per un’estate che ancora una volta se ne va lasciandoci comunque diversi da prima.