Siamo pronti a fare a meno della religione?

Le intricatissime trame e sottotrame connesse con tutto quello che sta accadendo in Medio Oriente mi hanno sempre fatto pensare a una domanda piuttosto semplice: come umanità siamo pronti a superare il concetto di religione? In realtà è una domanda più complessa di quello che sembrerebbe, si lega a questioni morali e politiche, è un interrogativo storico e filosofico dibattuto, dalle critiche al cattolicesimo e l’auspicio verso un suo superamento di Friedrich Nietzsche, all’idea di una trascendenza immutabile hegeliana, capovolta solo dal materialismo marxista (che trova i suoi nuovi dei incarnati in nuove ”trascendenze” più terrene e politiche come lo Stato). In effetti, a ben vedere, è difficile trasferire tutto questo complesso di idee e dibattito di idee nel contesto dei paesi islamici, dove la divisione tra politica e religione non è mai avvenuta, e la costruzione degli stati-nazione è ”capitata” ad opera del colonialismo occidentale: l’ipotesi di un superamento della religione sia a un livello individuale (Nietzsche), che collettivo (Marx), resta una costruzione occidentale mai realizzata neppure in Occidente. Dunque, mi piacerebbe dare una risposta positiva alla domanda su se siamo veramente pronti alla rivoluzione morale di superare la religione e le credenze ultraterrene, ma temo di dover dire che, nonostante 2014 anni di cristianesimo, e circa 1400 anni di islamismo (per non parlare dell’ebraismo), l’umanità non sia ancora pronta a trascendere se stessa dall’esperienza religiosa.

Ho sempre creduto che la religione sia stato uno dei modi di indirizzare l’uomo verso una moralità, del resto la base dei comandamenti è più o meno sempre la stessa, dal non uccidere al non rubare: le variazioni dipendono da usanze e ritmi biologici diversi. Dove non è arrivata la religione, e quando se n’è potuto fare a meno, è arrivata la politica, con la costruzione di stati e monopoli della forza veri e propri, ma questa è una storia che riguarda soprattutto l’Occidente. Una storia dislessica e deviante, visto che il comandamento del ”non uccidere” (religioso prima e politico poi) poteva essere infranto a piacimento dai vari eserciti nazionali in guerra, mentre diventava imperdonabile per il cittadino comune. In tutto questo complesso di cose che chiamiamo Occidente non è mancata una storia che si è intrecciata con razzie e razzismi, violente lotte di infrazione di tabù. Perché si è avuta la malafede storica di credere che il richiamo al ”non uccidere” valesse, per esempio, solo nei confini della propria nazione, o per la propria gente, e che l’uomo nigger fosse meno degno di un purosangue inglese. Perché Hitler è riuscito a organizzare uno sterminio razziale in maniera così potente, sfruttando anche il silenzio assenso di una Chiesa cattolica che presumibilmente sarebbe nata per difendere la vita (o almeno, così afferma nei sit in anti-abortisti e quando depreca il sesso per piacere).

Ci sono così tante contraddizioni nelle religioni che sarebbe un bene per l’umanità lasciarle andare al suo vero creatore e ispiratore, quale esso sia. Chiaramente, rispetto la libertà di scelta personale di chi vuol credere a Dio, Allah, Adonay, ma nello stesso tempo mi chiedo quanta morte e amarezza ci risparmieremmo se non provassimo ognuno a difendere il proprio dio, che poi è connesso con la parola ”cultura” e ”nazione” di tanto in tanto, e con le identità (basti pensare a chi parlava di guerre di civiltà, e si inorgogliva il petto con la fede cristiana contro l’Islam; stessa cosa al contrario). Non posso fare a meno di pensare che la religione è un’esperienza dura, che spesso nega la libertà di scelta personale. La libertà alla vita, e alla gioia. In fondo è una questione di felicità negata. Nello stesso tempo capisco che sarebbe difficile ”regolare” il mondo senza la paura di un immaginario al di là: non tutti gli atei sono pronti a non scannarsi tra loro. E del resto i nuovi dei e demoni dell’Occidente sono le icone del capitalismo rampante: vivo per un paio di jeans e in devozione ad Android. Chiaramente bisognerebbe analizzare molto meglio i vari casi di questo magnifico intreccio che non si auto-regola da solo, perché sarebbe bello se Adam Smith avesse avuto ragione (un insieme di egoismi finiscono per diventare un grandioso altruismo), ma Adam Smith era più utopico e ottimista persino di Karl Marx.

E così ci ritroviamo sedotti dalle immagini di mondi occulti, dalla Siria fino alla striscia di Gaza, le rovine di una civiltà intera che non sa a quale gruppo di combattimento affidarsi, perdendo di vista il semplice fatto che non siamo diversi, e che come noi di qua sogniamo di essere liberi di scegliere quotidianamente (e con tutti i problemi che ne conseguono), anche di là c’è chi vorrebbe scegliere: scegliere, per esempio, di non stare né dalla parte di Assad né da quella dell’Isis. C’è una parte di popolazione in questi mondi che sembrano lontani che vive in modo così innocente gli eventi che si susseguono, e questa parte andrebbe preservata tutti i giorni. Se esistesse davvero un’idea sana di ”giustizia” che non tiene in conto questioni basse come religioni, politica, economia. Ma questa giustizia non esiste.

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Postilla su James Foley (in foto in alto): Che differenza c’è tra il guardare o meno il video dell’esecuzione di Foley da parte dell’Isis? Abbiamo letto che potrebbe essere un atto di resistenza non guardare il video, o semplicemente un modo di evitare la nausea. Come quando la madre di Cristo scelse di voltarsi durante la crocefissione, per assicurarsi di non soffrire. Ma la sofferenza di Foley, e in quel vecchio caso di Cristo, non andrebbero piuttosto vissute come per procura insieme a lui? Che cos’è la nostra in confronto a quel vero dolore fisico? Sono posizioni diverse, ognuno può fare quel che vuole, ma non mi sembra una grande idea negare il diritto di vedere quel video all’umanità. Ci sono tanti piccoli altri atti di resistenza che possiamo fare ogni giorno, e non riguardano certo l’affrontare le più dure realtà. In risposta a tutto questo, conserviamo il vitalismo, il diritto di celebrare la vita, di leggere poesia, di ascoltare musica, di crescere individualmente e collettivamente, ben sapendo però quello che succede quando questo vitalismo è negato, cercando di difenderlo il più possibile anche con piccoli gesti di giorno in giorno.

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